mercoledì 28 novembre 2012

INTERVISTA. Temperamente.it

Ospite del nostro salotto virtuale è Enrico Castrovilli, autore de La psicocritica. Appunti e interventi sulla poesia e sulla narrativa del Novecento, il saggio edito per la collana Università & Ricerca di Libellula Edizioni che abbiamo recensito qui.
Professor Castrovilli, inizierei la nostra chiacchierata affrontando proprio questo aspetto del libro, ovvero la sua “collocazione”. Personalmente, le prime cose che guardo in un saggio sono la bibliografia e la collana, e i suoi Appunti, pur rientrando in una collana universitaria, costituiscono a conti fatti un’opera divulgativa estremamente chiara e comprensibile da parte di un pubblico anche molto eterogeneo. Vuole spiegare allora ai lettori di Temperamente.it che cos’è la psicocritica?
Diciamo subito che il saggio non è stato scritto  solo per i lettori di nicchia. La Psicocritica è sì indirizzata al mondo accademico perché affronta con occhio nuovo e con pari dignità di genere il variegato ambiente della critica letteraria, ma nel contempo non usa il linguaggio specialistico di questa difficile materia e così il testo per la sua chiarezza espositiva si offre a una lettura comprensibile a tutti. In poche parola, la Psicocritica non si occupa della potenzialità stilistica e dei virtuosismi dell’autore ma dell’uomo stesso che si cela dietro l’artista e che si confronta con la sua umanità.
In uno dei suoi saggi, lei invita a fare molta attenzione a quella cattiva critica che, esasperata ed eccessiva, finisce inevitabilmente per attribuire agli autori dei propositi ad essi estranei. Cito testualmente: «[…] ai silenzi si conferiscono significati di spazi psicologici d’attesa e di ricerca interiore; agli oggetti, il significato di simboli primordiali, come se tutti i silenzi possano essere considerati spazi psicologici d’attesa o tutti gli oggetti simboli di sicura interpretazione psicanalitica». Professore, mi pare di capire che qui si sta parlando di una diffusa, quanto scorretta, decifrazione delle immagini poetiche. Quali limiti deve dunque porsi un critico letterario? E quali uno psicocritico?
Il campo dei significati è contaminato da un’agghiacciante miriade di virus interpretativi, per il fatto che entrano in gioco la formazione professionale, la passione e l’ideologia degli addetti ai lavori. Secondo alcuni studiosi accademici, il critico letterario deve essere non un selettore ma un mediatore tra lo scrittore e il lettore, inoltre deve avere ben chiaro i limiti tra le esigenze creative e il mezzo d’indagine, tra il pubblico e il privato, tra il vero e il falso. Oltre a questi spazi circoscritti, lo psicocritico lascia libero il lettore di accettare o rifiutare il messaggio che sicuramente viaggia sotto le parole.
Uno dei concetti più affascinanti del suo libro, quello di angoscia poetica, viene da lei definito come «un meccanismo psicologico con cui il poeta coglie i disagi della psiche e li tramuta in segni vitalistici precisi, autonomi e personali». Quanto è importante per uno scrittore/poeta cogliere i propri disagi e convertirli in strumenti operativi e creativi?
Il disagio si tramuta in angoscia poetica e/o esistenziale quando, di fronte a un foglio bianco, una tela ancora vergine o un blocco di marmo intatto, l’io corporeo del soggetto trasumana in una entità psicologica pura e scrive, dipinge e scolpisce senza esorcizzare  questo male mai del tutto e tuttavia elaborandolo con sorprendente esito estetico, mosso dalla volontà di esprimere ciò che sente.
Il filosofo Gilles Deleuze ha scritto una volta che il guaio con la critica di oggi è che ci si schiera spesso contro, riducendo tutto alla propria taglia e alla chiacchiera. In effetti, basta fare un giro sul web per rendersi conto di quante persone leggano la narrativa con un atteggiamento da “caccia all’errore”. Qual è secondo lei il modo corretto di porsi dinanzi a un’opera letteraria, sia essa classica o contemporanea?
Per primo atto, bisogna togliersi i paraocchi ideologici e allontanare i pregiudizi personali, quindi approcciarsi a un testo con uno sguardo intimo e profondo :ad un buon critico letterario non si richiede soltanto un attento lavoro d’analisi psicologica o di altro genere ma di essere capace di dare risposte semplici, non di risolvere, agli indecifrabili e caotici enigmi dell’esistenza.

Andrea Corona

RECENSIONE: Temperamente.it

È proprio vero, «ogni recensione rappresenta una pagina di diario, un diario di lettura».Queste parole della “temperina” Simona valgono a maggior ragione quando i libri che proponiamo sono legati da una continuità tematica e concettuale. Da par mio, dunque, se nell’ultima recensione ho trattato del ritmo e della rima, di Leopardi e della “dissoluzione linguistica” in Dino Campana, non potevo esimermi dal parlare, su questa nuova pagina del mio diario, de La psicocritica di Enrico Castrovilli (Libellula Edizioni, 10 euro). Premetto: questo è un saggio di critica letteraria, e non di altro (psicopatologia, psicanalisi, psicoterapia). La psicocritica, infatti, non intende far altro che configurarsi come quella branca della critica letteraria che si interessa alle motivazioni – anche inconsce, ma non per questo trattate come dei sintomi nevrotici – dei romanzieri e dei poeti. Ovvero, «l’occhio dello psicocritico non deve cogliere il lato psicopatologico di un’opera, ma la forza, l’aspetto creativo e partecipativo della vita dello scrittore».
Ecco, allora, che a proposito di un’opera come Lo Zibaldone di Leopardi, il compito dello psicocritico non sarà quello di scoprirne il contenuto latente, ma quello di indagare le motivazioni, gli stati affettivi e i bisogni che forniscono la chiave per leggere lo stato d’animo dello scrittore/poeta, e di farlo attraverso domande quali: che posto occupano la fantasia e l’amore nell’opera leopardiana? Quali furono le motivazioni psico-sociali (e non psicopatologiche) che spinsero il poeta a considerare la felicità come un sogno, il piacere come un’illusione e la virtù e la sensibilità come fragili doni dell’infanzia? Lascio scoprire le risposte al potenziale acquirente del volume, per rivolgere l’attenzione a quegli Autori del Novecento letterario che costituiscono il fuoco di questi “appunti e interventi” indicati nel sottotitolo.
Secondo Castrovilli, se l’ansia, l’inquietudine e la ricerca di un nuovo modo di vivere costituiscono i motivi conduttori del Canzoniere di Umberto Saba, quella che ci sta parlando è la scrittura di un’anima vagante da un punto all’altro di se stessa; se la lirica di Andrea Zanzotto appare così misteriosa e irreale, quasi a voler immergere il lettore nel buio e nella luce al contempo, lo si deve a un desiderio/bisogno di liberare la mente dai residui delle conoscenze acquisite e «trovare qualcosa che fosse prima dell’uomo». E ancora: dietro l’apparente disordine di quegli aggregati di parole e frasi che troviamo ne La Chimera, in Genova e nella Notte di Dino Campana si nasconde «una mistica traduzione del dolore psichico e dell’angoscia poetica». A tal proposito, se mere esigenze di spazio mi permettono di menzionare soltanto en passant la presenza, nel volume, di articoli su Montale, Ungaretti, Pavese, Moravia e Pasolini, vorrei soffermarmi proprio su questo concetto di angoscia poetica. Provare ansia – scrive Castrovilli – dinanzi a fenomeni del tutto naturali come la vecchiaia, la morte o la tendenza a sentirsi diversi dai coetanei, non è la manifestazione di un’anomalia mentale, ma di un’espressione inerente alla nostra natura umana.
Vale a dire che quando un poeta come Zanzotto o Campana tenta di allargare la propria sfera emozionale e cognitiva inoltrandosi in terreni incerti e inesplorati, abbandonando modelli di vita e di cultura “collaudati” da secoli di storia, il suo disagio psichico e il suo turbamento psicologico saranno del tutto giustificati e la stessa angoscia poetica diventa un importante fattore dell’evoluzione intellettuale dell’artista, nonché dell’acquisizione di una maggiore autonomia dei suoi stessi strumenti operativi e creativi. In altri termini, secondo l’occhio dello psicocritico Castrovilli, «l’angoscia poetica è un meccanismo psicologico con cui il poeta coglie i disagi della psiche e li tramuta in segni vitalistici precisi, autonomi e personali». La poesia e in generale lo scrivere, dunque, non hanno soltanto la funzione “liberatoria”, nel senso psicologico del termine, ma soprattutto e principalmente di ricerca, di sviluppo e di crescita della personalità; hanno cioè «funzione di rendere universali le idee, le riflessioni e le interpretazioni di un poeta-scrittore di un certo periodo storico; per offrire ai contemporanei, secondo la propria visione, gli enigmi della vita, che da sempre angosciano l’uomo».
In conclusione, se ho scelto di recensire questa raccolta di saggi (che vanno dal 1982 al 2011, racchiudendo trent’anni di studi del suo autore) è semplicemente perché credo possano piacere e interessare ai lettori di Temperamente. Personalmente, posso dire che lo stile argomentativo-espositivo del libro è estremamente chiaro, e che l’intero volume si lascia consultare facilmente e anche con un certo piacere. In più, dettaglio non minore, un prezzo di 10 euro per una raccolta di 20 saggi è davvero il minimo sindacale.
Andrea Corona
Enrico Castrovilli, La psicocritica. Appunti e interventi sulla poesia e sulla narrativa del Novecento, Libellula Edizioni, Università & Ricerca,Lecce 2011, 210 pp., 10 euro