martedì 19 agosto 2014

LIBRI-libri

GOL DI RAPINA di Pippo Russo.
  Sinossi
A partire dagli anni Novanta il calcio ha subito una mutazione genetica, da cui è uscito trasformato in termini sia culturali che economici. L’ex grande rito odi significati diversi rispetto a quelli agonistici. Soprattutto, per molti attori esso è diventato uno straordinario business da colonizzare incontrando scarse resistenze. Sollecitato dalla pressione verso una modernizzazione vera o presunta, il calcio si è scoperto facilmente permeabile da soggetti e interessi man mano più opachi, ma tutti o quasi accomunati da una caratteristica: l’ansia di fare del gioco una macchina da soldi, per poi distribuirli  fuori dal calcio. Con l’inizio dei XXI secolo il meccanismo  è stato messo a punto, e dopo l’esplosione della crisi economica del 2007 – che ha colpito il calcio come ogni altro comparto economico – ha trovato condizioni favorevoli  per diffondersi e legittimarsi. La situazione odierna parla di interi subcontinenti in cui il calcio è sotto il controllo di attori economico-finanziari esterni al calcio stesso: fondi d’investimento misteriosi con sede legale presso paradisi fiscali, oligarchi ansiosi di riciclare denari di dubbia provenienza, potentissimi agenti capaci di controllare eserciti di calciatori e allenatori impegnati presso i campionati d’ogni angoli del mondo. Una situazione che, nella migliore delle ipotesi, vede ampliare a dismisura la zona grigia fra legalità e illegalità.
Nota critica.
In questo libro l’autore, Pippo Russo, attento ricercatore sociale, con una splendida analisi su personaggi, enti e situazioni toglie il coperchio al calcio globale, compreso il nostro in cui vige la congiura del silenzio, colto tra intrecci oscuri e schegge lucenti. Un volume interessante, scritto con un linguaggio leggero e vivace che attribuisce al testo un ritmo veloce e incalzante.

                                                                                          E.C.

sabato 16 agosto 2014

SCRITTI DI PSICOCRITICA


 


Martedì 17 giugno, alle ore 19, nella Sala delle Conferenze della Biblioteca Comunale di San Vito dei Normanni, sita in via Mazzini, è stato presentato l’ultimo lavoro del Prof.re Enrico Castrovilli, medico, psicologo analista e letterato: SCRITTI DI PSICOCRITICA, Ediz. Progedit. Il volume comprende 23 saggi di profili psicologici di poeti e narratori italiani contemporanei. La serata è stata introdotta e coordinata dalla giornalista Dott:ssa Silvia Di Dio. Sono intervenuti i Proff. Lorenzo Caiolo, Mimmo Tardio, Giuseppe Cecere Jr. il Dottor Ernesto Marinò e Benito D’Agnano.
Gli interventi hanno evidenziato il corposo ed impegnativo lavoro di lettura di centinaia di testi svolto con meticolosità e ricerca certosina da parte dell’autore. È stato anche messo in chiaro come egli, pur operando su autori di generazioni diverse, alcuni del secondo Novecento, parecchi molto giovani e contemporanei, abbia messo insieme personaggi i quali hanno praticato una scrittura interessante che gli ha permesso di poter indagare negli angoli più riposti della coscienza, dove soggiorna l’angoscia personale, e di codificare dubbi e domande di particolare intensità. Nella conversazione sono stati chiamati in causa tanti autori dei 23, che pur essendo volti sconosciuti nella letteratura, sono in possesso di quello spessore psicologico che permette loro di esprimersi al meglio ed essere annoverati fra i grandi. E l’aver portato alla luce volti nuovi, degni di essere conosciuti, perché hanno dimostrato di avere da dire qualcosa di originale, è senza meno l’altro grande pregio dell’opera del Prof.re Castrovilli. Gli interventi più ampi e significativi sono stati dedicati alla figura del nostro conterraneo, Dott. Giuseppe Di Viesto. Ognuno dei relatori  ha messo a punto una delle meravigliose sfaccettature di quel diamante che è stata la produzione letteraria di questo straordinario autore. A conclusione c’è stato l’intervento dell’Architetto Vito Di Viesto che, dopo aver brevemente parlato della grandezza umana del fratello, ha creato un momento di intensa emozione declamando una poesia inedita del Dottore:<<Compleanno>>.
 La Dott.ssa Di Dio ha chiuso col saluto ai presenti, cedendo il microfono all’autore, molto soddisfatto per la bella e riuscitissima serata, che ha proceduto con i ringraziamenti ai relatori e al pubblico presente.
   SanVito dei Normanni, 17/06/2014                             Benito D’Agnano   

giovedì 7 agosto 2014

TEMPO LIBERO O CONDIZINATO?

Equilibrio tra ambiente e personalità. Dalla Trascendenza la vera scelta
Il problema del tempo libero è divenuto rilevante nella nostra società. Ma anche nell’età greco-romana non era sconosciuto e ci si occupò del tempo libero indipendentemente dagli sviluppi della tecnica. Pure  gli schiavi avevano diritto al tempo libero e in alcune circostanze era severamente proibito farli lavorare.
Aristotele intuì che il tempo libero è la sorgente di ogni forma di cultura e di civiltà.
I Greci dice Aristotele “tentarono ogni ramo del sapere” perché consideravano il “sapere” il tratto più caratteristico dell’essere umano. L’uomo naturalmente vuol sapere (dapprima disinteressatamente) e ciò dimostra in lui la realtà dello spirito che, avendo proprie esigenze, rivela anche le proprie finalità che vanno oltre la materia aprendosi all’Infinito.
Svilupparono tutte le scienze e soprattutto la filosofia  con la quale si intende ogni razionale concezione generale della realtà e della posizione dell’uomo in essa. Un sapere non remunerativo in senso materiale, ma utile, anzi necessario, per vivere bene come impone la presenza dello spirito nella persona.
Il carattere unitario della filosofia di Aristotele non trascura le specializzazioni derivate dallo sviluppo delle singole discipline. Con l’ellenismo si attribuisce alla riflessione filosofica il compito di orientare e guidare il comportamento individuale.
Però la vera filosofia è una sola ed è falso che ogni tempo deve avere “la sua filosofia”, come se l’intelletto umano fosse costituzionalmente incapace di cogliere “l’essere in sé delle cose”: quello vero per tutti, ovunque e sempre.
Lo storicismo, che considera la verità figlia del tempo, contraddice se stesso, come del resto ogni teoria che presume di negare il valore del pensiero: chi non è certo, è preferibile che taccia.
Per lo storicismo ogni evento particolare è sempre giustificabile solo per la ragione che accade, indipendentemente da ogni suo rapporto ad una Norma assoluta che lo trascenda. Tale coincidenza del “valore” col “fatto” implica la soppressione di ogni vero valore di qualsiasi fatto; quindi un giudizio pessimistico della vita perché appunto lo storicismo quale disumana forma d’immanentismo ateo, è negatore del diritto, dissolto nel fluire dell’esistenza.
Ogni nefandezza se accade, giustifica se stessa con conseguenze inimmaginabili per la dignità umana e il creato.
La filosofia è una, come una è la realtà di cui si interessa; e uno è il punto di vista da cui si pone per interpretarla: l’e s s e r e, oggetto della Metafisica.
Non si dà dunque filosofia che non sia metafisica, che possa cioè procedere prescindendo dall’essere; il quale essendo esclusivamente intelligibile, supera la sfera dei fenomeni, ossia il campo di tutte le scienze sperimentali.
Però la metafisica trae l’essere non dalle idee o da giudizi e teorie preconcette dei “filosofi” bensì dall’essere dell’esistente che, all’inizio di tutta la ricerca, è offerto dai sensi esterni e che è il fondamento primo della filosofia realistica. Filosofia avente per oggetto la verità oggettiva delle cose, non le interpretazioni dei filosofi, anche se lo studio dei loro contributi favorisce la ricerca filosofica.
Solo la riflessione metafisica è onnicomprensiva e definitiva nello sforzo di una interpretazione unitaria e globale delle “cose”, tenendo presente che l’ente più reale d’ogni altro è la persona.
Ora, se onnicomprensiva e definitiva, solo la metafisica dà il vero senso e valore della realtà, però nelle scuole italiane viene trascurata con grave nocumento della formazione dei giovani.
Che cosa c’entra la filosofia col tempo libero?
Serve per impostare bene la propria vita: solo considerando il vero senso della realtà, grazie ad una realistica comprensione comprensiva, può essere fatta una migliore scelta per dirigere bene il proprio comportamento. E  solo una scelta convinta su basi reali e spirituali diventa personale senza cadere nello sfruttamento e nel plagio. La persona non si fa rubare il proprio bene: là dove il tempo libero è del tutto mercificato non è vero tempo libero.
Accanto a una maggiore disponibilità di tempo è sorta una vera e propria industria del tempo libero diretta, da un lato, ad assecondare talune scelte individuali fornendo le strutture e i mezzi per la loro realizzazione e dall’altro ad offrire essa stessa modalità di impiego del tempo libero con lo scopo, più o meno esplicito, di condizionare la scelta “soggettiva” dell’utente, visto come un consumatore da indurre a compiere scelte uniformi, vissute come scelte elettive e personalizzanti.
Il tempo libero è l’attività che pone un uomo al di fuori del compimento del suo ruolo funzionale nella società e la sua pianificazione è considerata come una funzione delle condizioni ambientali e delle condizioni della personalità. Vi sono forme diverse  di pianificazione del tempo libero come per esempio un divertimento sfruttato con intelligenza oppure una serie di occupazioni passivamente subite anche in vacanza.
Ora, se non basta a volte la vita per far arguire la Trascendenza, è sufficiente la morte per indurre chiunque ad affermarla, scoprendo la radicale inconsistenza delle cose, la miseria infinita dell’uomo: chiunque egli sia, quali che siano i suoi talenti, i suoi meriti. La morte, infatti ristabilisce l’equilibrio, quale nessuna di tutte le possibili rivendicazioni e rivoluzioni sociali potrà mai realizzare.
Essa suggella l’opera di una Provvidenza che a ciascuno dà il s u o, rivelandosi inesorabile soprattutto nel confondere la presunzione e la protervia dei malvagi. Per tutto ciò il messaggio della morte non è quello della f i n e, ma annunzio di liberazione, quindi invito alla saggezza, la quale non è apatia, ma moderazione; non rinunzia , ma equilibrio; non fuga, ma sintesi nella subordinazione del temporale all’eterno.
Essa insegna, allora, “l’uso” del relativo (perché “mezzo”) per disporre al conseguimento gioioso dell’assoluto (ossia del “fine”).
Gesù non biasima né affetti né piaceri né ricchezze anche se ne indica i pericoli; ma è severo nel condannare quell’assolutizzazione di tali beni che impediscono la visione dei più veri e ne soffocano il desiderio: “Non è possibile servire a due padroni”.
Al riguardo una decisione radicale è indispensabile per ristabilire un equilibrio interiore e razionalizzare ogni scelta particolare.
Stando così le cose occorre uno stile di vita non dipendente da un condizionamento meccanico operato dall’ambiente circostante. La persona deve rendersi capace di utilizzare le risorse di ciò che la circonda in funzione dei bisogni e delle aspirazioni giuste ed equilibrate della propria personalità.
All’interno di questo processo si operano le scelte soggettive quelle che caratterizzano il vero tempo libero: una gerarchia tra le attività fisiche, intellettuali, sociali; una distribuzione del proprio tempo in modo da rendere equilibrato il rapporto con il gruppo, l’altro, se stessi; un arricchimento della vita quotidiana saldamente integrata in un universo di sani principi culturali, sociali, politici, religiosi ecc.
Le condizioni di sottosviluppo culturale, sportivo, ricreativo, ludico in cui versa la fruizione del tempo libero poggia su un sistema scolastico di base incapace di fornire a tutti adeguate competenze di partenza anche per colpa di genitori poco formati, dei mezzi di comunicazione di massa che comunicano poco o niente di positivamente buono e di cattivi esempi politico-sociali incapaci di far acquisire e usare strumenti culturali che umanizzano l’individuo umano.
                                                                                                        Francesco Recchia
                                              

venerdì 1 agosto 2014

LIBRI-libri

La vita in tempo di pace, di Francesco Pecoraro.
SINOSSI
L’ingegner Ivo Brandani è sempre vissuto in tempo di pace. Quando il libro incomincia, il 29 maggio 2015, Ivo ha sessantanove anni, è disilluso, arrabbiato, morbosamente attaccato alla vita. Lavora per conto di una multinazionale a un progetto segreto e sconcertante, la ricostruzione in materiali sintetici della barriera corallina del Mar Rosso: quella vera sta morendo per l’inquinamento atmosferico. Nel limbo sognante di un viaggio di ritorno dall’Egitto, si ricompongono a ritroso le varie fasi della sua esistenza di piccolo borghese: la decadenza profonda degli anni Duemila, i soprusi e le ipocrisie di un Paese travolto dal servilismo e dalla burocrazia, il sogno illusorio di un luogo incontaminato e incorruttibile, l’Egeo. E poi, ancora indietro nel tempo, le lotte studentesche degli anni sessanta, la scoperta dell’amore e del sesso, fino ad arrivare al mondo barbarico del dopoguerra, in cui Brandani ha vissuto gli incubi e le sfide della prima infanzia. Chirurgo e torrenziale, divagante e avvincente, “La vita in tempo di pace” racconta, dal punto di vista di un antieroe lucidissimo, la storia del nostro paese e le contraddizioni della nostra borghesia: le debolezze, le aspirazioni, gli slanci e le sporcizie, quel che ci illudevano di essere e quel che alla fine, nostro malgrado, siamo diventati.
NOTA CRITICA
Ambientato nell’epoca di una Roma, luogo di nascita di Ivo e “refrattaria ad ogni idea di ordine, di giusto, di ben fatto”, il romanzo è un flusso di coscienza che scorre lungo le sue cinquecento pagine, la cui nota emotiva dominante è rappresenta da una serie di difficoltà psicologiche che vanno dalla ipersensibilità, all’inerzia, che rendono l’io narrante un soggetto insicuro, mediocre, inetto,ossessivo perseguitato dalla catastrofe. Da questa breve analisi  del comportamento, viene fuori certamente un personaggio originale, figlio come tanti di noi delle contraddizioni e della sensibilità del nostro dopoguerra, che ha la capacità di scavare prima dentro di sé e poi di analizzare con chiarezza lo spettacolo misero offerto da una società, in cui nulla più di vivo è rimasto.  
  Un libro intenso, interessante, di grande qualità che tratta più di natura che di storia e soprattutto analizza e mette in evidenza il comportamento nevrotico dell’ingegnere Ivo Brandani, simbolo, questi, della fragilità psicologica degli esseri umani soggetti biologici che, come tutti i microrganismi della natura, non possono sottrarsi al dolore psichico senza alcun risarcimento morale.
                                                                                                               E.C.