Parlando di ansia, la maggioranza delle
persone conosce perfettamente a che cosa ci si riferisce: l’ansia è un’emozione
primaria di per sé utile all'adattamento. Se pensiamo, infatti, che senza ansia
e paura, l’essere umano non avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere ai
numerosi pericoli dell’ambiente. L’ansia ha dunque
funzione adattiva, che il nostro organismo
adotta per avvisarci di un imminente pericolo.
Escludendo questi casi limiti, pensiamo che se
l’attacco d’ansia permane il tempo utile per far fronte adeguatamente un’attività
quale, a esempio, un esame, un colloquio di lavoro, una particolare circostanza
in cui è essenziale una rilevante quota di attenzione e impegno, dice che in
uno stato emotivo adeguato all'acquisizione di un nostro obiettivo. Una certa
quota di ansia è dunque utile nelle nostre attività quotidiane, quando, però,
in alcune situazioni l’ansia supera una certa soglia allora diventa uno stato
problematico, può immobilizzare l’individuo, trasformarsi in panico, in breve,
può diventare patologica.
L’ansia
patologica si differenzia da quella consueta per il fatto che è caratterizzata
da uno stato permanente di tensione psichica, che, a differenza di ciò che accade
nelle normali ansie, impedisce al soggetto di modificare le sue risposte,
facendo precipitare le sue prestazioni e unendosi a sensazioni di disagio e
sofferenza.
Nella
società contemporanea l’interesse dell’uomo è transitato dalla pura
conservazione della specie alla ricerca degli ottimi risultati personali e
della notorietà sociale.
Quello
su cui ci si confronta e che assorbe sempre più l’uomo contemporaneo è il
pensiero del successo collegato al lavoro, all'avere beni di consumo (casa,
auto, abbigliamento, tecnologia domestica, vacanze) che mette a rischio con
molta facilità di essere coinvolto anche il valore affettivo: famiglia, coppia,
amici.
Entro
questo modo di vedere i ritmi di vita aumentano velocemente, gli eventi
lasciano poco spazio alla riflessione se non attraverso pensieri
preconfezionati, tipo: sto andando male…devo dare di più del mio collega.
Allorquando questi modelli di esprimersi
diventano i soli pensieri intorno cui gira la nostra esistenza, ecco giungere
l’ansia come suadente timore di non avere più nulla. L’ansia di scoppiare, di
restare indietro, di essere esclusi.
Va da
sé che i turbamenti si trasformano in vere e proprie fissazioni, così profonde,
persecutorie, che irrompono anche negli attimi e nei momenti inattesi, impedendo
l’operosità della vita quotidiana.
L’apparire dell’ansia allora raffigura
l’avvenimento interno che ci affretta a sostare a meditare sul significato
delle nostre iniziative, da cui siamo stati certamente dominati. Oltre la
qualità delle nostre attività e degli esiti di vita conseguiti, l’ansia esegue
in ogni caso la sua attività fondamentale: pone in confronto le nostre azioni
automatizzate e ci costringe al raffronto con noi stessi.
L’ansia
prende origine da un esempio culturale (che può essere individuale o sociale)
del non desiderare mai di fermarsi un attimo a meditare, poiché fermarsi è
sprecare tempo prezioso, uno sfoggio che non possiamo attribuirci, perché colui
che si arresta è perso, perché noi abbiamo l’obbligo di essere sempre al posto
giusto nell'attimo giusto è conoscere sempre cosa svolgere. L’ansia ci rammenta
che tutte queste cose non sono altre che fantasie, ingannevoli abilità, agiti
emotivi, che ci danno soltanto illusione di essere proprietari della nostra
vita ma col passare del tempo ci logorano dentro e ci ostacolano di vivere
dimensione di stabilità e in salute psicofisica.
L’ansia, quindi, ha il compito di fare a pezzi
il suddetto inganno, a mandare via e a metterci nello stato da fare una
fermata, aspirare un lungo respiro e confrontarci con noi stessi dentro una
circostanza riorganizzata.
Possiamo concludere dicendo che l’ansia
normale è adattiva, invece quella patologica è disadattiva.