sabato 16 gennaio 2016

L'AMORE NON SI SPIEGA

<<Signorina disdica tutti gli appuntamenti di domani mattina, ritornerò in studio alle diciasette>> disse con cipiglio Carlo alla segretaria. La giovane donna fu colpita da quel secco e perentorio ordine. Era molto raro che il suo datore di lavoro desse disposizioni così precise con quel tono di voce.  
<<E per il fascicolo della causa del s >>  <<Lo metta sulla scrivania>> non le lasciò il tempo di terminare la frase. La interruppe con  voce ancora più energica, per evitare altre domande.
 Carlo mise nella borsa di pelle una  cartella gialla, la chiuse, indossò il soprabito e all'improvviso  disse, rompendo il silenzio:
<<Buona notte, signorina>>. E si avviò verso l’uscita.
 << Buona notte, avvocato>>, si limitò a rispondere la segretaria, che era rimasta particolarmente colpita dal quel comportamento distaccato di Carlo. In fondo, dopo dieci anni di valida collaborazione, oltre alla stima professionale, tra loro due, era nata anche una certa complicità confidenziale.     
  Carlo chiuse la porta alle sue spalle e si fermò sull'uscio dello studio. Non sapeva più perché aspettavi lì.  Camminò per un po’ su e giù davanti alla porta, poi si decise. Erano le dieci e trenta di sera. Attraversò la strada. 
  Invece di andare verso il luogo dove aveva parcheggiato la macchina, imboccò il viale semideserto sotto i platani che avevano perso le foglie. Nella luce bianca dei lampioni, sempre diritto , sembrava corre verso l’infinito. Carlo percorreva il viale dalla parte giusta senza una meta. La libreria era chiusa. Ma dietro le vetrine fasci di luci sui libri esposti. Sagome di commesse intorno alla cassa. Ancora una luce di una gioielleria. Una panchina era semicoperta dalle foglie secche. Poche macchine.
  Carlo percorreva quella strada, ma per andare dove?  Camminava in fretta. All'ingresso di un edificio settecentesco si fermò. L’ingresso era illuminato. Dietro l’ampia vetrina  due ragazze con gonne bianche, camicette blu e cappellino bianco in testa sostavano nella hall  vicino al bancone dell’accettazione. Quell’edificio lo riportò indietro negli anni: era la clinica dove  Lia aveva partorito Jacopo, il loro bambino. Avvertì un senso di vuoto. Fu preso da un attacco di panico.  Iniziò a respirare a bocca aperta.  Provava una leggera nausea..
 Fece dietrofront. Ripercorse in senso inverso il viale. I suoi passi risuonavano  ancora più forti dell’andata. Attraversò l’incrocio e raggiunse l’auto.  Appena dentro, si sdraiò sul sedile. Riprese a respirare regolarmente. L’attacco di panico era svanito.
 Si avviò di colpo. Poco dopo aprì il finestrino per respirare aria pura. La nausea persisteva. Non prese la solita via, ma voltò a sinistra. Si sentì più rilassato quando arrivò in piazza illuminata a giorno dai lampioni . Alcune persone che tornavano a casa , altre camminavano serenamente sul marciapiede. Un gruppetto di cani randagi. Macchine parcheggiate nei pressi dei bar. Un vigile notturno che si accendeva una sigaretta. Riprese il solito percorso e parcheggiò sulla strada di fronte al palazzo invece di portare la macchina nel garage. Prese l’ascensore. Raggiunse il terzo piano.  Da sei mesi era rimasto solo nell’appartamento.
 Si sedette sul divano del salotto, accese la lampadina del treppiedi con il paralume giallo paglierino che si trovava vicino al divano sulla sua destra. Un fascio di luce bianca illuminò alcune riviste sul basso tavolino posta al centro del divano. Carlo accavallò le gambe, tirò fuori dalla borsa la cartella gialla. Lesse il titolo:Udienza preliminare di separazione consensuale e affidamento congiunto tra i coniugi... Ore 9,30….L’indomani avrebbe incontrato in tribunale dopo mesi Lia, la sua ex moglie. Lia, Lia, ripeteva mentalmente. Avvertì ancora una volta il vuoto interno. Il cuore che batteva nella gola. Respirò profondamente per reprimere  un nuovo attacco di panico. Si sentì meglio. Chiuse gli occhi.
Come in un incubo, ritornò a vivere quel giorno di novembre. Nell’occorrenza  del ponte dell’Immacolata, Lia e Carlo avevamo organizzato un breve soggiorno a Cortina. Nel tardo pomeriggio prima della partenza, entrambi i coniugi  preparavano i bagagli a mano nella stanza da letto.
<<Per domani , a Cortina, il meteo prevede  meno tre la minima e un grado la massima.>> esordì Carlo. Lia non apparve sorpresa, sembrava  intenta nel suo lavoro.
<<Lia, hai un’aria assente…mi hai sentito?>>.
 Lia non aveva il coraggio di dirgli che nella sua testa  l’aveva già lasciato. Poi tutto d’un fiato:
 <<Non vengo con te a Cortina>>, rispose con un tono di voce gelido.
 Carlo la guardò con sorpresa
<< Cosa ti succede?>>.
  Lia non rispose. Chiamò la filippina, la loro collaboratrice domestica e le chiese di prendere i bagagli e di seguirla.
Carlo le andava dietro come un attore, al quale l’ansia aveva tolto la parole in una scena drammatica. Sentì chiudere la porta dell’appartamento e la discesa              dell’ascensore. Poi, ancora incredulo, guidò i passi verso la finestra. Aprì l’imposta.  Attraverso i vetri la vide entrare in un grossa macchina scura preceduta da Jacopo  e dalla filippina.  L’auto si avviò di scatto. Si dileguò tra il traffico serale.

                                                                  E. C.

sabato 9 gennaio 2016

LA CONDIZIONE ANZIANA

Il progresso tecnologico del terzo millennio, se dal punto di visto comunicativo, economico e sanitario ha offerto un notevole vantaggio alle persone, da quello morale non ha raggiunto livelli qualitativi sufficienti. Riporto di seguito l’esempio della scarsa attenzione all'attuale condizione anziana, che la frenetica vita quotidiana della nostre città più sviluppate tende a locare ai margini più nascosti della società civile.
  Certamente, concluso il ciclo produttivo ed uscito dal mondo del lavoro, l’anziano entra a far parte di un mondo a sé. Un modo dell’ultima età della vita, di questa vita considerata inutile forse perché l’anziano non svolge più un ruolo attivo, un ambiente circondato dal filo spinato del pregiudizio che nasconde nel suo seno la tendenza a escludere, in modi a volte ambigui e sottili, chi non ha la capacità ad adeguarsi ai nuovi valori dominanti del progresso ( velocità, efficienza, successo) e, nello specifico, chi per vulnerabilità, debolezza manifesta penose malattie, insufficienza psicofisica, incapacità gestionale, che lo costringe a misurarsi quotidianamente con i propri limiti e la propria fragilità e desolante condizione di essere umano.
  Dalla scienza abbiamo appreso che l’invecchiamento è un ineluttabile fenomeno biologico graduale e individuale, che inizia in tempi diversi nei vari organi e apparati provocando importanti modificazioni quantitative e qualitative a livello fisico (articolazioni, capelli, pelle e così via), cognitivo ( attenzione,memoria, linguaggio ) e psichico (ansia, depressione, demenza).
  Secondo la scienza, quindi, l’invecchiamento è il risultato “normale”, fisiologico dell’ultima parte del ciclo vitale che va dalla maturità alla morte. Il pregiudizio, invece,  mette in risalto, amplifica, generalizza i difetti, le difficoltà, la fragilità emotiva di questo periodo di disabilità e di decadimento fisico; inoltre incita ad affermare la corrispondenza fra la condizione umana, intesa come una vita in cui le emozioni e gli stati d’animo si inaridisco, e il destino biologico e ad essa  segue l’assunto, tenebroso e celato, di una vita che non vale più la pena viverla quando è giunta a quell’età così fragile e lontana dai valori oggi dominanti.
  Ora bisogna ricordare che l’uomo è una unità bio-psico-sociale e ha delle dimensioni molto correlate tra di loro. Noi, infatti, non siamo un  insieme di archi vitali chiusi e fossilizzati dalla sfera biologica ma esistenze immerse sin dalla nascita nelle relazioni con altri e, per tanto, siamo condizionati nei nostri specifici comportamenti per l’intero arco della vita dal le relazioni interpersonali (costituite da un insieme d’individui  che irrompono nel nostro spazio vitale, cui rispondiamo in forma singola) e sociali (un rapporto tra due  o più persone che orientano reciprocamente le loro opinioni. Possono essere profonde e stabili ma anche transitorie  e superficiali).
  Certamente, nella società attuale molti atteggiamenti personali e non solo, tendono ad esaltare il culto dell’efficienza e del lavoro; per cui, il lavoro  non appare come un mezzo fondamentale per procurarsi da vivere, ma come un valore assoluto di carattere “etico-sociale”, che ha la facoltà di decidere  il percorso della nostra strada terrena.  Sarà, quindi, la perdita del senso della vita anziana a influenzare  l’ambiente culturale in cui trascorrono l’ultimo periodo della vita gli anziani, prima ancora che non  i cedimenti psicosociali dipendenti dalla perdita dei parenti cari,dalla solitudine e dall’avvicinarsi della fine della vita. Argomenti, questi, che possono generare tempeste emozionali e malattie organiche e psichiatre da cui in seguito non sarà facile guarire.
   Per quanto riguarda il vissuto emozionale, diremo che studi più recenti hanno  evidenziato, nella condizione anziana, la presenza  di una vita affettiva caratterizzata tanto da emozioni positive  quanto quelle negative, entrambe dipendenti da  atteggiamenti di relazione con l’ambiente: la soddisfazione ha a che fare con l’autorealizzazione, la paura con il timore di non essere in grado di far fronte da soli alle sfide dell’ambiente.   
  Si deve quindi riconoscere che la senescenza non è l’età dell’isolamento e della solitudine, ma una forma di vita nella quale tale condizione può verificarsi con una certa frequenza e alla quale la società civile deve dedicare tutta la propria attenzione, sostenendo persone che presentano una particolare fragilità e sforzandosi innanzitutto di comprendere il problema individuale di chiunque invecchi con difficoltà, e d’intervenire in modo adeguato.

                                                                  E. C.