domenica 1 dicembre 2019

LA FRAGILITÀ’ UMANA, UNA EMOZIONE DEBOLE


Da una sensazione di stretta al torace in seguito ad uno scontro verbale con un familiare o con un caro amico, all'improvviso e apparente immotivato vuoto mentale alla vigilia di un esame a scuola o all'università oppure di un importante dibattito pubblico e, ancora, la sensazione d’angoscia alla notizia di una grave malattia fisica, la nostra umana fragilità è presente in diverse forme in ogni ora e in ogni stagione della 
nostra vita.
  Come definire e percepire la fragilità umana?
 Il concetto di fragilità è stato oggetto di continuo interesse in questi ultimi decenni e, benché ampio spazio vi sia stato dato dalla letteratura scientifica non si è raggiunto pieno accordo sui criteri per individuarlo. Tuttavia, per quanto riguarda la nostra ricerca, il Professore Eugenio Borgna, psichiatra e fenomenologo di fama, sostiene che a differenza di quanto abitualmente i dizionari considerano la fragilità come indice di gracilità, di scarsa consistenza, di debolezza, oggi le cose sono cambiate nel senso semantico, perché  accanto ai significati ora indicati, il dizionario ( Il Dizionario analogico della lingua italiana edito nel 2011 da Zanichelli) assegna alla fragilità i significati di sensibilità, di vulnerabilità, di delicatezza e del loro possibile incrinarsi nel corso della vita. Borgna conclude definendo la fragilità come qualcosa che facilmente si rompe, e fragile è un equilibrio psichico che facilmente si frantuma.
  Presente sin dalla nascita, la fragilità umana come una via attraversa zigzagando e oscillando le varie stagioni dell’esistenza, lambendo varie aree tematiche talora apparentemente lontane tra loro.  Se, quindi, la fragilità è una esperienza umana, ci sono anche momenti in cui la presenza, o almeno la sua percezione, si accentua, o si inaridisce, ma in ogni caso dovremmo educarci a riconoscerla negli altri e in noi.
  Su questo particolare aspetto pare che la cultura contemporanea non dia risposte adeguate, o sufficienti. Il nostro, infatti, è il tempo della ricerca dell’effimero, del benessere psicofisico e della rinuncia delle mete di alto profilo. Un siffatto vivere permette di favorire il nascere di tipi ideali: l’uomo efficiente fisicamente e psicologicamente, esteticamente disposto al perfetto, in continua ricerca di successo. Ma dietro la facciata di tanta sicurezza e forza, fioriscono diversi drammi d’inferiorità psicofisica, dipendenza e solitudine, grettezza ed egoismo.
  Dal punto di vista psicologico, il problema non ha facili risoluzioni, anche se non manchino echi di future speranze. Rimangono soprattutto da risolvere i molteplici fattori che oggi rendono la persona indifesa ed esposta alle intemperie quotidiane della vita e resi più crudi da una cultura che ha insegnato e continua ad insegnare a nascondere le debolezze, a non far emergere i difetti che impediscono di far risaltare i pregi e la stima di se stessi.
 Di seguito, analizzeremo brevemente alcune situazioni di particolare disagio psichico:
-         L’arrivo del bambino.
Nelle prime fasi di vita, il neonato deve ricevere dai genitori, e in modo particolare dalla madre, moltissime cure, perché noi siamo, tra i primati, gli individui più vulnerabili. Compito abbastanza arduo per molte giovane madri, che oggi sono disoccupate e non hanno disponibilità economiche per accogliere e crescere la propria creatura.
-         La malattia.
 La malattia modifica il modo di vivere di ciascuno di noi, ci rende fragili nell'anima e nel corpo, e bisognevoli di accoglienza di chi circonda il letto. Spesso i ritmi quotidiani della famiglia si dissestano, creando un notevole disagio assistenziale e organizzativo tra i componenti.
-         Relazioni interpersonali.
La nostra fragilità si svolge e si articola con l’ambiente naturale e con gli altri esseri umani. Questa innata capacità di stare insieme, è a volte resa difficile dalla presa di coscienza della propria debolezza psichica. Tuttavia, non essendo auto sufficienti, siamo aperti alle parole e ai gesti degli altri.
-         La condizione anziana.
Un evidente pregiudizio assedia  la terza età della vita nella sua fragilità, di questa età considerata inutile, forse perché gli anziani non possono più avere un ruolo attivo nella società contemporanea; e non è facile sfuggire al fascino malefico del pregiudizio che nel suo intimo nasconde il disprezzo per la debolezza psicofisica  che si manifesta nella vita incrinata dalla malattia, dagli handicap e dalla condizione anziana intesa come una vita nella quale le emozioni e gli stati d’anima si inaridiscono e si svuotano di aspetto spirituale e religioso. Ma ciò non risponde al vero, perché la vita emozionale rimane autentica e dotata di senso anche nella condizione di terza età.
   L’anziano va dunque considerato soggetto attivo alla costruzione della società, secondo le possibilità di ciascuno. In tal senso una società matura è chiamata a non tralasciare l’anziano bensì a promuoverne le risorse di cultura, di trasmissioni di valori e di vissuti, di abilità e capacità attuali individuali e di spiritualità.
   Argomento attuale, la fragilità umana, di grande interesse, che sarà oggetto dei nostri prossimi interventi.
                                                                      





lunedì 4 novembre 2019

LA PIGRIZIA UN’EMOZIONE SCOMODA

A volte quando ci svegliamo o durante la giornata dopo un periodo di duro lavoro, ci sentiamo stanchi più del solito, e pensando a tutto ciò che dobbiamo fare ci sembra troppo noioso o difficile. Arriva all'improvviso la pigrizia come una mancanza di determinazione nel compiere un’azione di cui si riconosce l’importanza e si traveste con nomi differenti, quali: ozio, fiacchezza, poltroneria, accidia, fannullaggine.
 La pigrizia, quindi, può giungere per varie ragioni. Certe volte arriva con le abitudini giornaliere, quando svolgiamo le medesime attività, e pure a volerle sostituire con altre, abbiamo timore di farlo. In questi casi, la pigrizia diventa una scusa per far restare le cose come sono. Essa diviene un avversario da sconfiggere in qualunque modo in quanto mette a rischio la nostra felicità.
 Talora può essere generata dalla stanchezza psicofisica. In questi casi, dopo un periodo di faticosi impegni, non si ha voglia di fare niente e il solo pensiero di compiere ulteriori compiti ci causa una terribile emicrania. Naturalmente, in questa circostanza la pigrizia è come una specie di meccanismo di difesa, un campanello d’allarme che abbiamo bisogno di riposare e recuperare le forze.
 In realtà, se ci giriamo indietro e analizziamo gli attimi in cui siamo attaccati dalla pigrizia, è possibile comprendere un modello comune: erano tutte circostanza in cui eravamo obbligati ad accollarci qualche rischio; il pericolo di cambiare alcuni oggetti nella propria vita o di far fronte a un serio problema. La pigrizia fa da dispositivo di difesa di fronte a condizioni che sembravano più grandi di noi dal punto di vista conoscitivo ed emotivo. La pigrizia ci proteggeva dal possibile cambiamento proprio perché sappiamo bene che il nostro cervello non è certamente a suo comodo con i cambiamenti, ma preferisce vie già sperimentate.
 Ciò nonostante, la pigrizia è la strada più corta verso il malcontento. Al di là a essere una sensazione fastidiosa, ci ostacola il cammino facendoci rimandare decisioni importanti ed eluderci di prendere in visione nuovi argomenti che potrebbero aiutarci a migliorare.
 Giunti sin qui abbiamo analizzato e compreso che la pigrizia non può essere la nostra emozione più esperta. Allora, in che modo possiamo gestirla?
 Un metodo efficace consiste nel fare delle minime attività ogni giorno, in tal modo da avere la percezione di non essere vessati o costretti. La cosa migliore sarebbe quella d’ iniziare a produrre qualcosa che non risulti troppo audace, così da sentirci accoglienti, ma che nel contempo rappresenti una piccola spia.
 A d’esempio, è regola importante riflettere con attenzione sul presente, cercando di tenersi occupati anche nel tempo libero invece di dissipare la mattinata a letto o sul divano, provare a impegnarsi magari in cucina, a svolgere qualche attività sportiva, o in alternativa a fare una semplice passeggiata. Se permettiamo che questi suggerimenti positivi sostituiscano la pigrizia, se sviluppiamo la capacità, ogni cosa diventerà molto più facile.
 Di frequente il pensiero di fallire è il motivo principale per cui molte persone rimandano le attività.  Tra tutte le cause del rimandare a dopo le nostre attività, la paura di fallire è certamente un’emozione delle più condizionanti.
 Infatti chi ha paura di sbagliare di solito è molto preoccupato di cosa si possa pensare delle sue capacità e perciò preferisce oziare. Analizzare correttamente e in modo imparziale le proprie paure ed evidenziare la nostra attenzione su di noi stessi e non sugli altri ci permetterà di affrontare la quotidianità senza sentirsi giudicati.
 A questo punto è reale fissare un obiettivo, aumentare un poco l’impegno ogni giorno: porsi una nuova competizione. Constateremo che l’attività chiama altra attività e a poco a poco la pigrizia ci lascerà in pace. Ogni qualvolta che riusciremo a svolgere nuovi impegni saremo sicuramente felici, e ciò sarà di stimolo per uscire dalla nostra zona accogliente stimolandoci a fare nuove azioni positive. Un mattino ci sveglieremo e la pigrizia ci ha lasciati e al suo posto vi sarà una persona più produttiva e soprattutto sicura di sé.











martedì 1 ottobre 2019

L’IMBARAZZO UN’EMOZIONE DI BREVE DURATA


 A differenza della vergogna – che è un’emozione molto intensa e duratura - l’imbarazzo è un vissuto emotivo meno inteso e limitato nel tempo, perché dipende dalla situazione occasionale.
 Insomma, l’imbarazzo è uno stato emotivo più o meno inteso e di durata variabile (da pochissimi secondi a pochi minuti) che si manifesta esclusivamente in una situazione sociale, caratterizzato da modificazioni psicofisiologiche e manifestazioni comportamentali che esprimono un certo disagio psichico.
Nel corso delle attività quotidiane tutti noi abbiamo provato l’esperienza dell’imbarazzo. Questo è un’emozione strettamente connessa alla presenza e allo sguardo di un’altra persona. Di solito proviamo imbarazzo quando pensiamo che  altri stiano giudicando o possono giudicare in modo critico il nostro comportamento. Proviamo imbarazzo allorquando avvertiamo la sensazione di essere esaminati dagli altri e ciò è vissuto come un serio pericolo per la nostra immagine che desideriamo dare a noi stessi. La maggior parte degli studiosi che si sono interessati di studiare questa emozione, infatti, convengono nel collegare strettamente l’esperienza dell’imbarazzo a situazioni che mettono in crisi l’immagine pubblica dell’individuo. Perché nasca questo tipo di emozione, quindi, necessita che gli attori presenti in scena siano almeno due: colui che si imbarazza e chi causa o assiste all'imbarazzo.
 L’espressione specifica dell’imbarazzo (il rossore, l’agitazione motoria, le alterazioni della voce), di là a indicare agli altri l’emozione che stiamo provando, fanno manifestare nuovo imbarazzo. A livello comportamentale l’imbarazzo si manifesta con un modo tipico: si distoglie lo sguardo dall'interlocutore, si assume un portamento inflessibile o, al contrario, compiono movimenti irrequieti degli arti e delle mani, si alterna la posizione continuamente. Quando ci sentiamo imbarazzati si mira ad allentare la tensione emotiva mettendo in atto comportamenti quali toccarsi ripetutamente i capelli o giocherellare con piccoli oggetti. Il tono della voce diventa più acuto, a volte si balbetta, nel discorso ci sono frequenti esitazioni o lunghe pause tra una parole e l’altra. A livello psicofisiologico il segnale tipico dell’imbarazzo è rappresentato dal rossore improvviso di viso e collo, accompagnato da respirazione irregolare , aumento di sudorazione, secchezza delle fauci.
 Tra le considerazioni più imbarazzanti ce ne sono alcune a che fare con il nostro stato emotivo e la nostra fisiologia: sudare, arrossire, balbettare. Inoltre proviamo imbarazzo anche quando mettiamo il piede in fallo, cadiamo, rovesciamo oggetti, quando per sbaglio o per distrazione rompiamo qualche oggetto prezioso. Ci sentiamo imbarazzati quando si è costretti a riportare in un negozio della merce che desideriamo sostituire o cambiare o quando acquistiamo qualcosa per cui potremmo sentirci giudicati.
 Ciò può accadere in quanto siamo convinti che saremmo certamente giudicati negativamente. Di conseguenza, bisogna individuare questi pensieri negativi e le seguenti emozioni che producono e poi impegnarsi attivamente per sostituirli con altri positivi.
 In ultima analisi diciamo che alcune persone cambiano le proprie abitudini per evitare di finire in situazioni imbarazzanti e ciò è comprensibile, perché l’imbarazzo è una sensazione spiacevole. Tuttavia se in quel particolare momento ci accade di non trovare la parola giusta, meglio tacere. Le frasi di circostanza servono solo a superare il proprio imbarazzo e a non comunicare affinità. E come tali – le frasi - sono comprese.

domenica 1 settembre 2019

IL RIMORSO UN’EMOZIONE POSITIVA E BENEFICA


In psicologia il rimorso è considerato uno stato d’animo che la maggioranza delle persone prova durante la vita, prende origine dalla certezza di aver adottato un comportamento scorretto contro uno specifico codice morale ed è, come esito finale, l’ingresso del senso di colpa.
 Il rimorso, e la successiva evenienza di provare senso di colpa, rappresenta uno stato d’animo forse di stare bene che può collegarsi a una condizione di salute psicologica.
Entrambi, rimorso e senso di colpa, sono emozioni che arrivano dalla certezza di aver adottato un comportamento inadeguato e, quindi, inducono la persona a correggere il proprio agire.
 Per quanto odioso possa essere, il rimorso è quell'emozione che ci sollecita a riconsiderare di nuovo il nostro comportamento o le nostre scelte, a saggiare empatia con le persone cui abbiamo semmai procurato danno e a riallineare il nostro modo d’agire a valori e principi che presumiamo essere giusti.
 Inteso in questo senso, il rimorso ci solleciterebbe a meditare su noi stessi e a valutare tutto ciò che facciamo da una opinione diversa o che avevamo messo da parte.
 Pertanto, secondo la psicologia il rimorso è un’emozione di grande interesse connessa alla integrazione, all'autocoscienza e alla organizzazione della personalità.
 Tuttavia non tutte le persone hanno la capacità di provare rimorso. Queste persone, - definite dalla psicopatologia “personalità sociopatiche” - infatti, oltre le loro prove tangibili sul piano comportamentale, sono caratterizzate da una specifica inadeguatezza di provare rimorso, senso di colpa o empatia per le sofferenze altrui.
  Vi sono altre persone che coltivano nel proprio animo per molto tempo il risentimento per vari motivi. Spesso alcuni adulti si portano dietro sentimenti del genere risalenti all'infanzia, impressi nella mente in modo particolareggiato. Può riguardare un caso per esempio di mancanza d’affetto da parte dei genitori, come rifiuto da parte dei compagni o di un insegnate, o di una ingiustizia  o crudeltà subita da parte di adulti, e di altre esperienze dolorose. Chi custodisce nell'animo  simili risentimenti, rinnova spesso nella mente quegli episodi, e il fenomeno può continuare anche quando la persona che ha recato l’offesa non esiste più.
 Non ha alcuna importanza se questi sentimenti potevano avere una plausibile giustificazione al tempo in cui ebbe luogo la tragica esperienza: il motivo è che portarseli nell'intimo causa dei costi fisici ed emotivi molto pesanti. Quando si conservano nello scrigno mentale tali sentimenti, la prima azione che bisogna riconoscere è che fonte ultima del nostro stress siamo noi, e nessun altro.
 L’eccesso di rimorsi, tuttavia, è interpretato come un segnale di diversi scompensi nell'equilibrio psichico della persona, può associarsi a numerose psicopatologie quali, a esempio, ossessive compulsive, con gli acquisti in modo infrenabili e macchinabili (sempre seguiti dall'immancabile rimorso) e dare forma ad eccessivi sensi di colpa immotivati.
 È un bene essere consapevoli delle proprie responsabilità, ma ciò non deve dare il via a un processo estremo e irrealistico, proprio perché un rimorso continuo costituisce un serio ostacolo alla nostra crescita psicofisica.
 Nella gestione dell’emozione del rimorso, il giusto apporto della ragione ci viene in soccorso, aiutandoci a trovare una via di mezzo tra il senso di colpa autolesionistico e la totale responsabilità delle proprie azioni.

mercoledì 14 agosto 2019

L’ABBANDONO È UN’EMOZIONE DA CONOSCERE

 La paura di essere abbandonati è un’esperienza abbastanza comune tra le persone, ovvero il timore di rimanere soli, per sempre privi di un legame affettivo, senza che nessuno si occupi di loro. Ciascuno di noi, infatti, può avvertire il timore di essere abbandonato, ma in linea generale la maggior parte ci convive senza alcuna conseguenza specifica.
 Alle volte questa paura non è correttamente amministrata e di conseguenza si tramuta in vera e propria sindrome tramite l’espressione di un disagio psichico fino all'angoscia più nera o alla depressione.
  Questa emozione può colpire sia i bambini (in modo particolare verso la figura materna), sia gli adulti. Si ha paura che la persona cara possa andare via o addirittura morire e si rimane sempre della certezza che nonostante il tutto proceda bene prima o poi si finirà soli. Ci si avverte uno stato emotivo dipendente dall'altra persona e non si ammettono le separazioni, anche di breve durata, per la paura di non avere più la relazione d’ intimità.
 Predisposizione naturale o famiglie in cui lutti o veri abbandoni sono stati trascurati o peggio ignorati, questi elementi possono causare nei componenti la sindrome che procura una disposizione patologica di cui non si riesce più a controllarla.
 Nella persona adulta che patisce di sindrome dell’abbandono è come se dominasse un pezzo bambino che necessita di cure. Quel bambino triste costituisce la parte infantile che è stata trascurata emotivamente. Non ci si rende conto che le cure verso quel bambino trascurato possono essere offerte dall'adulta che è diventata.
 Da tale fragilità interiore si palesano tutta una serie di comportamenti nocivi che mirano a esorcizzare l’abbandono da parte dell’altro: gelosia morbosa, controllo esagerato, ricatti morali, annullamento di sé e la perdita d’ imparzialità nei riguardi della relazione. Tutti indicatori che se non sono tenuti adeguatamente a bada vanno  inevitabilmente a concludersi in una dipendenza affettiva con tutte le conseguenze che molto bene conosciamo.
 Per poter superare un abbandono occorre il tempo solamente se impariamo a
utilizzarlo: serve per apprendere la radice del dolore, serve per capire come mai viviamo un allontanamento come un abbandono, serve per comprendere che inutili sensi di colpa ci allontanano solo dal cuore del problema, serve a prendere coscienza delle proprie responsabilità, che non significa necessariamente colpe. Il tempo serve a superare l’abbandono quando quello spazio temporale a nostra disposizione impariamo ad attraversarlo, quando apprendiamo a contattare il tempo in cui si è verificato quello specifico abbandono remoto che ci impedisce di svolgere le nostre attività quotidiane e i nostri rapporti sociali in modo sereno, quando impariamo a vivere i nostri rapporti interpersonali senza caricarli del fardello dei nostri fantasmi.
 Certamente l’abbandono è un’emozione che si può superare, tuttavia non esiste un unico metodo per metterlo in atto, pertanto non facciamoci incantare da patetici video o da moltissime ricette che ci narrano con voce suadente il modo con cui guarire le ferite. Per poter superare un eventuale abbandono ognuno di noi deve poter trovare il metodo di guarire la propria ferita. Che scotta terribilmente. Ma a bruciare non è la perdita attuale della persona amata o di un lavoro, ma il dolore remoto che quello attuale ha soltanto risvegliato.
 Superare l’abbandono è possibile, realizzabile, bisogna trovare la forza dentro di sé per mettersi in discussione, per andare a cercare un modello diverso di affrontare le avversità della vita. Per cui, percepiamo la rabbia, la tristezza o la gelosia quando arrivano, senza forzarci di mandarle via, solo così verranno messe in campo nuove energie psichiche per trovare le soluzioni più giuste per noi.
 In questo modo, scopriremo che mentre si chiude una porta, si aprono nuove possibilità, ad esempio, si ripropone un incarico di lavoro che aspettavamo da tempo o arriva una certa telefonata inaspettata che apre nuovi orizzonti, interessi  o modi di essere.

lunedì 15 luglio 2019

EGOISMO, EMOZIONE DA CONOSCERE


Per la maggioranza dei giudizi l’egoista  è colui che pensi in assoluto a se stesso,  facendo in modo da raggiungere un favore personale, spesso a danno di altre persone.
 L’egoismo autentico si rivela in molti comportamenti di vario genere, ma alla sua base c’è una visione molto opportunistica e focalizzata su se stessa, la quale convince la persona a muoversi solo quando vi è la sicurezza che ne deriverà un utile personale.
 Purtroppo, però non termina qui. L’egoismo, infatti, si può manifestare anche in forme più ambigue e dannose, e ciò accade quando pur di ottenere un vantaggio personale si è disposti a mettere sotto i piedi le altre persone. L’egoismo può quindi sfociare nell'invidia.
 Per la sua natura, l’egoista trascorre la sua vita in un circolo chiuso; sembra incapace di vedere e di ascoltare ciò che gli interessa personalmente: lui è il tutto e il restante non gli riguarda.
 Non è per nulla contento della vita che svolge quotidianamente e spesso preferisce stare da solo, sia per scelta che per forza. Insomma, il minimo che possiamo dire dell’egoista è che lui desidera trascurare il suo ambiente umano.
 Il rimprovero consueto fatto all'egoista è quello di amare se stesso per poter dare amore alle altre persone. Tuttavia, prima di confermare l’eccessivo amore che l’egoista prova per se steso, domandiamoci invece se effettivamente si amano davvero. E, nel caso opposto, da dove proviene il fatto di non avere alcun pensiero in mente che loro stessi?
 Nei primi stadi di evoluzione, il bambino è basato soltanto verso la gratificazione dei propri bisogni: essere accudito, nutrito, stimolato, consolato, amato. Si tratta di circostanze insostituibili per la sopravvivenza. È soltanto dopo aver raggiunto un minimo d’ indipendenza che il bambino si schiuderà man mano a un ambiente sempre maggiore (dalla madre ai componenti della famiglia), dalla famiglia alla scuola materna, e così via. 
 Comunque, per rendere favorevole che questa progressiva apertura verso l’esterno sia priva di ogni tipo di ostacoli, è essenziale che il bambino abbia ricevuto una buona dose di amore per credere in se stesso e per volersi bene. Solo in questo modo egli potrà iniziare a restituire l’amore che ha ricevuto per primo. In caso contrario, il bambino può restare bloccato a questo stadio di sviluppo in cui pare che il mondo intero sia diretto esclusivamente verso di lui.
 Insomma, la persona egoista che si prende ogni bene per vantaggio personale non prova nessun godimento nello scambiare e nel donare affetto. Questa persona è priva d’amore per se stessa, anzi, si affligge per il motivo opposto. La sua avidità, la necessità urgente di togliere alla vita ciò che potrebbe ottenere in modo diverso, un buon segno è sicuramente non quello di un’abbondanza d’amore verso se stessi, ma quello di una difficoltà a credere in se stessi.
 Non è, quindi, l’amore per se stessi all'origine dell’egoismo, quanto piuttosto l’attaccamento più o meno patologico a un’immagine superata di sé, quella del bambino stupendo cui non deve mai mancare nessuna cosa.
 Ci possiamo liberare dall'egoismo?
Secondo la psicologia sì. Per prima cosa bisogna prendere coscienza di questa forma di fragilità psichica e delle conseguenze negative che genera a se stessi. Soltanto in quel momento sarà possibile liberarsi poco la volta dal circolo vizioso in cui l’egoismo ci mantiene rinchiusi, tipo: dagli altri non ci aspettiamo niente di buono…accettiamo ciò che l’occasione offre…spesso permetto che mi raggirino e così via.

lunedì 1 luglio 2019

FOBIA UN’EMOZIONE NEGATIVA


 La fobia è una paura estrema, irrazionale e sproporzionata per oggetti, situazioni, animali, persone che non rappresentano una reale minaccia e con cui gli altri individui si confrontano senza particolari tormenti psicologici. Le più frequenti sono le fobie sociali, come la paura di parlare in pubblico e le fobie specifiche, come la paura di volare, degli insetti, dei cani,  gatti e così via.
 Il soggetto affetto da una fobia è perfettamente conscio di riconoscere che la sua paura  è assurda e che non dipende da un reale pericolo dell’oggetto, attività o condizione temuta, ma che i suoi motivi  si trovano altrove, ossia nel proprio percorso evolutivo,  nonostante  molti  privilegiano convivere con fobie angosciose e limitanti invece di capirne le origini e liberarsene, avendo timore anche nei confronti di un altro percorso che lo conduce non soltanto di liberarsi dei sintomi molesti ma pure delle nuove  limitazioni a essi congiunti, venendo a conoscenza delle cause.
 Le fobie, quindi, non sono altre che paure ingiustificate di animali o di una particolare situazione, il contatto con i quali determina nella persona una intensa reazione di paura o angoscia.
 Una persona che soffre di una fobia, come ad esempio la paura dei gatti e  ragni, può accadere di essere sopraffatta dal terrore, al solo pensiero di entrare in contatto con un piccolo e docile animale, come un gattino anche neonato o pure con una timida lucertola. Questo succede pure per azioni svolte in modo naturale da moltissime persone (passare per un luogo aperto, andare in un negozio, partecipare a un congresso e così via). Pertanto se la persona, ad esempio, soffre di claustrofobia entrerà in un esagerato stato d’ansia fino al terrore, al pensiero di essere costretta a entrare in un treno o nella metropolitana perché la paura di cui diventerà preda, sarà quella di non poter uscire come vorrebbe se all'improvviso ci fosse un pericolo.
 Le persone colpite da disturbi fobici, sono coscienti dell’assurdità del loro disturbo, ma nel contempo non hanno la forza di controllare la loro paura. L’ansia generata dalla fobia, rivela una serie di espressioni a livello psicofisiologico.
 A tale livello i sintomi più comuni sono i seguenti: vertigini, extrasistole, tachicardia, disturbi gastrici con nausea, diarrea, senso di soffocamento, malanni urinari, rossore, sudorazione eccessiva, tremore e spossatezza.
 Un comportamento particolare che mettiamo in atto quando abbiamo paura è quello della fuga dalla situazione temuta, che negli uomini delle caverne era finalizzato alla propria salvaguardia. D'altronde, quando si ha paura di qualcosa, si sta male ed è abbastanza normale voler fuggire: la fuga è un’ottima tattica di emergenza.
 Sin qui abbiamo parlato di fobie specifiche, resta di analizzare brevemente quelle di origine sociale.
 Per fobia sociale s’intende la paura di prendere iniziative di fronte agli altri, nel   timore che il proprio agire possa mostrarsi sgradevole o umiliante per colui che le fa e di ricevere come esito dei giudizi negativi. In breve consiste in una fobia che porta a evitare all’incirca la maggioranza dei momenti sociali, per paura di commettere  qualche azione errata e di conseguenza essere giudicati male per questo. Le persone affetta da fobia sociale,  temono circostanze in cui sono costretta a produrre qualcosa davanti agli altri, come per esempio presentare una relazione o semplicemente parlare con amici ma spesso solo magiare o fare una telefonata in presenza di altri. Le persone con fobia sociale sono moltissimo timorose che i segni della propria ansia siano o diventino manifesti agli occhi degli altri, come la loro tendenza ad arrossire e sudare facilmente, oppure avere degli attacchi di aritmia cardiaca.
 Per concludere un consiglio utile per affrontare fobie è quello di fare una lista delle situazioni o delle paure che limitano la nostra vita e che desideriamo superare: immaginate ad esempio quella specifica situazione e analizzate attentamente le possibili reazioni. Qual è l’azione che ci fa più paura? Come possiamo superarla senza fuggire? Quali sono i nostri punti fragili, ma anche le nostre potenziali energie interne?
 Successivamente proviamo a esporci in modo graduale alle situazioni che causano la fobia, valorizzando i risultati ottenuti, per quanto minimi. Occorre essere decisi nel perseguirli e premiarsi ogni qual volta che se ne ottiene un successo. Anche un piccolo risultato positivo è già una grande vittoria.

sabato 15 giugno 2019

IL DISPREZZO UN’EMOZIONE SOCIALE

 Il disprezzo è un’emozione che viene espressa in modo prevalente nelle situazioni d’ interazione sociale. Secondo gli studiosi il disprezzo verso un’altra persona è provocato soprattutto da comportamenti trasgressivi di norme morali o convenzioni sociali, dal tradimento della fiducia, da aggressività e violenza, da atteggiamenti immotivati di superiorità, da sincerità e falsità. Si è anche constatato che vi sono differenze significative tra maschi e femmine nello sperimentare disprezzo: per i maschi il tradimento della fiducia e atteggiamenti immotivati di superiorità sono le cause scatenanti più frequenti; invece per le donne i motivi scatenati più rappresentati sono le trasgressioni di norme morali e la falsità.
 Si tratta, quindi, di una emozione sociale che si attiva quando il suo scopo è minacciato.
 L’oggetto del disprezzo è il comportamento della persona in alcuni atteggiamenti particolari che richiama un giudizio morale che porta al dissenso.
 Il ricevente è l’individuo che rivela comportamenti giudicati negativi, ha atteggiamenti di superiorità o tradisce la fiducia. Allorquando questo succede, si ritengono danneggiati, per guanto riguarda la collettività,  gli obiettivi sociali (conservare  le regole della società), morali (la religione), legali oppure in uno specifico gruppo di appartenenza, gli scopi specifici del gruppo stesso e ci si prepara a scontrarsi con un avversario ritenuto pericoloso. L’individuo o il gruppo, ritenuto responsabile di un simile comportamento è riconosciuto disprezzabile per quel specifico comportamento ed esprimendo  disprezzo, non si permette più il ripetersi di quella condotta.
 Lo scopo della persona oggetto di offesa è quello di salvaguardare le norme morali e gli accordi comuni della società, o del gruppo di appartenenza, da quei soggetti che possono comprometterle; il disprezzo è un’emozione adeguata alla loro difesa all'interno della comunità o di un terminato gruppo di appartenenza.
 Possiamo individuare il disprezzo sul volto di un nostro interlocutore?
 Certamente sì, anche se spesso lo possiamo confondere con il sorriso. Tuttavia questo è un errore frequente commesso da chi non conosce il linguaggio del corpo in generale.
 Inoltre, il disprezzo è un’emozione differente dal disgusto, infatti è possibile mostrare disprezzo verso le persone (simultaneo innalzamento e allargamento del labbro superiore su un unico lato della bocca), ma non lo possiamo mostrare verso i cibi.
 Non si prova disprezzo neanche per odori e oggetti.
 Possiamo avvertire un cattivo odore, in quel caso si può provare disgusto, ma non disprezzo; forse il disprezzo è collegato con chi è portatore di un odore sgradevole, ma mai nei riguardi di un odore in particolare. Il disprezzo si manifesta quando ci troviamo di fronte a situazioni ritenute immorali, e si prova un senso di superiorità rispetto a chi ha compiuto l’azione fuori dalle regole.
 A questo punto del nostro discorso, possiamo concludere dicendo che l’emozione del disprezzo consente alla persona di modulare, rendendole più funzionali, le proprie relazioni sociali e di confrontarsi, anche nell'immediatezza del vissuto emotivo, con i valori e norme di comportamento socialmente condivisi

sabato 1 giugno 2019

LA VIOLENZA PSICOLOGICA


Secondo l’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, la violenza è “qualsiasi atto che può provocare, danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione e la deprivazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata”.
 Le forme più comuni di violenza sono:
Violenza fisica, Violenza psicologica¸ Violenza sessuale, Violenza economica, Violenza familiare: varia combinazione di violenza fisica, psicologica economica e sessuale agita all'interno dell’appartamento da persone con cui si convive.
 Per quanto ci riguarda, in questo spazio analizzeremo la sola violenza psicologica in quanto essa non sempre è individuata anche dalle stesse vittime come un atto violento. Invece è necessario riconoscerne l’importanza, non soltanto  perché anticipatore di altri tipi  di violenza tra cui quella fisica, ma anche perché di per sé causa di sofferenza e disagio in chi la subisce.
 La violenza psicologica si organizza vicino a particolari comportamenti e/o atteggiamenti che si ripetono e si rafforzano nel tempo; una serie di piccole violenze che in linea generale  aderiscono al seguente modello: tutto comincia con il controllo continuo dell’altro, si passa poi alla gelosia e alle molestie insistenti, sino a giungere alle umiliazioni e al disprezzo.
 Il controllo si può tramutare in un comportamento esageratamente geloso, all'incirca patologico, contrassegnato da sospetti continui ed infondati. Il partner diviene un oggetto da possedere in modo privilegiato, non è riconosciuto come una persona diversa da se stesso.
 Molto spesso, nell'ambiente della violenza casalinga, il controllo sulla donna è conservato grazie anche al suo continuo isolamento: le viene impedito di svolgere attività lavorativa e di avere una propria vita sociale, di frequentare gli amici, d’ intrattenere rapporti con conoscenti e con la famiglia, al fine di renderla totalmente dipendente dal partner, in questo modo che non sfugga al suo controllo.
 L’isolamento è al tempo stesso causa e conseguenza dei maltrattamenti; in queste particolari situazioni le donne parlano a volte di sentirsi prigioniere.
 Un piano alla base della violenza psicologica è edificato dalle critiche mortificanti con lo scopo di rendere fragile l’autostima della persona, a dimostrarle che è carente di valore, ad esempio la persona  può essere screditata per quello che svolge, può essere accusata di pazzoide, criticata  riguardo al suo aspetto fisico o peggio alle sue capacità intellettuali. Continuare a svilire, umiliare, ridicolizzare, sono gli atti specifici della violenza psicologica.
 A volte, quando le critiche e le umiliazioni riguardano in modo particolare la sfera sessuale, queste generano un senso di vergogna che diventa un ulteriore ostacolo al chiedere un aiuto esterno.
 Inoltre la violenza psicologica può comprendere anche minacce o atti intimidatori quali lanciare o rompere gli oggetti, sbattere le porte e così via. Tali comportamenti hanno lo scopo d’ intimidire l’altro, minacciandolo della propria capacità fisica di fare del male a se stesso e agli altri.
 La minaccia del suicidio è una violenza di massima gravità perché porta il compagno a sentirsi responsabile delle azioni dell’altro e a dover restare fermo per la paura delle possibili conseguenze di qualsiasi sua scelta.
 La regolare critica quotidiana e i continui insulti alla persona, maschio o femmina poco importa, minacciano la sua autostima. Sentendosi continuamente disprezzata, essa stessa inizia a disprezzarsi e a sentirsi non degna di essere amata e rispettata.
 Va da sé che mentre gli esiti della violenza fisica sono subito individuabili e agevolmente diagnosticabili, è certamente più difficile rendere visibili quelli causati da una violenza psicologica. Vi è, ancora, qualche difficoltà a individuare le violenze psicologiche stesse, giacché i loro confini non sono così definiti: una stessa azione può prendere su di sé significati diversi a seconda del contesto in cui si inserisce e a seconda della persona che la valuta.
 Infine, la violenza psicologica spesso è negata sia dall'aggressore che dai testimoni; mancano elementi che provano la realtà di ciò che la vittima subisce e questo fa sì che la stessa persona che ha subito la violenza dubiti di ciò che prova.     

giovedì 16 maggio 2019

LA GENTILEZZA UN SENTIMENTO POSITIV









 Nella psicologia la gentilezza non è intesa come un segno di debolezza psichica, ma anzi una manifestazione di forza. Essere in grado di rivolgersi alle altre persone con un sorriso,  far vedere la propria disponibilità, praticare alcune regole maltrattate  della buona educazione quali per esempio aiutare una persona in difficoltà, significa attestare le proprie aspirazioni e ideali, senza soccombere alla seduzione della prepotenza e dell’egocentrismo, ma portando rispetto agli esseri umani.
 L’importanza della gentilezza come qualità vitale è una conoscenza arcaica. La filosofia e le religioni la rappresentano come una particolarità dello spirito aderente alla tranquillità interiore, all'equilibrio e alla coscienza di sé. Una predisposizione psicologica che possiamo perdere nel percorso della vita per le insoddisfazioni, le ferite e i dispiaceri che, normalmente, sono presenti nella nostra crescita psicofisica.
 Infatti, i rancori, le paure infantili persistenti possono trasformarci in esseri egoisti e tenebrosi, oppure boriosi e diffidenti. Le persone tristi, rancorose smarriscono, unitamente  alla luce dell’intelletto, quello della gentilezza. Senza averne coscienza, subiscono l’influenza negativa di abitare in un mondo maleducato, dove necessita farsi largo, prendere in giro, falsificare per continuare a vivere.
Va da sé che l’inettitudine di essere gentile significa una anomalia vitale, psicologica e morale, su cui non abbiamo l’abitudine di ragionare, nel mentre corrode dall'interno e dal profondo della nostra esistenza, sino al punto a nuocere, anche l’ambiente sociale, l’eventualità di una comunità più florida e più inserita.
 La persona gentile invece sa perfettamente di essere sincera e corretta, dà prova di apertura mentale e di prestare attenzione e conosce la qualità della fiducia e dell’alternanza. Probabilmente queste proprietà a certi individui potrebbero sembrare illusorie, o addirittura soprannaturali, ma è sufficiente far conoscenza almeno una volta nella vita di una persona gentile per rendersi conto che il tutto corrisponde al vero.
 In una società come la nostra, infatti, dove si esaltano i pessimi comportamenti, le ambizioni e la faccia tosta è quasi normale che la gentilezza sia travisata come innocenza o bollata come segno di fragilità psichica. La persona gentile può attendersi freddezza e ingratitudine, ma ciò non ci deve allontanare dal coltivare una vocazione che, in sostanza, dà in dono quella serenità e quell'amore sincero cui desideriamo come esseri umani.
 In ambito psicologico, quindi, la gentilezza si collega al benessere, alla creatività e alla stabilità emotiva. Infatti, la persona che sviluppa un comportamento positivo realistico e senza riserve rispetto alle altre persone è più resistente agli episodi critici del ciclo vitale, e ha più possibilità di sviluppare le proprie capacità e rendere possibili le finalità personali e professionali.
 Insomma, essere gentili è una semplice azione quotidiana come, ad esempio, una telefonata a un conoscente in difficoltà, fare un complimento a qualcuno e così via, esempi questi di piccoli gesti, che possono portarci al valore della gentilezza e rendere possibile e duraturo il nostro benessere psicofisico.
 Siamo, dunque, invitati tutti a promuovere piccole azione che generano benessere dentro di noi, un boomerang che viene generato dalla gentilezza e che torna al mittente arricchito di forza. Essere gentili è quindi una grande responsabilità che noi abbiamo non solo nei confronti di noi stessi, ma anche verso i nostri simili al fine di costruire un’ armonia positiva.

mercoledì 1 maggio 2019

L’ORGOGLIO EMOZIONE DOUBLE-FAC

  Le nuove teorie scientifiche definiscono l’orgoglio un’emozione con due facce. Se da un lato, infatti, l’orgoglio aumenta l’autostima individuale e l’abilità al risultato, dall'altro è incline di frequente a confondersi con l’arroganza e troppa sicurezza di sé, sino a essere registrato tra i sette peccati capitali.
 Con altre parole diciamo che definiamo orgogliose quelle persone hanno completa fiducia nelle proprie attitudini e potenzialità; ciò nonostante possedere un grado di autostima eccessivamente elevato e, di conseguenza, essere colmo di orgoglio, può finire in un eventuale concetto di superiorità riguardo agli altri, che alla lunga può rendere odiosi le persone.
 Tuttavia, l’orgoglio non è per forza un sentimento negativo, piuttosto, a volte è prospero e utile al nostro operare quotidiano, specialmente quando origina dalla evidente consapevolezza delle proprie capacità, delle mete raggiunte e dei risultati positivi che abbiamo ottenuto sino a quel momento. In questo particolare caso si parla allora di quell'orgoglio positivo, che occorre per farci ottenere una corretta autostima e che deve essere rafforzato e nutrito, in quanto che ci permette di vivere in accordo con noi stessi. L’orgoglio in salute mantiene i piedi ben bloccati a terra e apprendere ad averlo può essere di sostegno chi è eccessivamente ipercritico con se stesso a riconoscere le proprie capacità e ad iniziare il cammino che più ambisce.
Può accadere però che a volte un sano orgoglio si può tramutare in superbia. Ciò capita allorquando una persona si decanterà  in modo esagerato di sé, delle proprie attitudini e dei traguardi raggiunti.
  Quando le persone sono oltre misura orgogliose causano errori e diventano presuntuose, con il risultato che rimarranno da sole e isolate.
 Per evitare  pericolo d’isolamento, la persona superba deve apprendere a non mettersi in mostra, a non parlare in modo esagerato di se stesso, se non altro lì dove non fosse necessario, e ciò vale anche per coloro che stanno avvertendo una superba momentanea dovuta a una situazione d’ insicurezza, chiedersi perché si stia dicendo certi argomenti e se sia il caso di dirli, se quindi sia il posto e la persona giusta con la quale discutere è un legittimo metodo per evitare di coltivare la propria superbia.
 Come sin qui abbiamo messo in evidenza, un orgoglio moderato può essere un valido aiuto a farsi considerare, essere oltremisura orgogliosi conduce a conflitti e disaccordi e specialmente non aiuta nei rapporti umani.
 Occorrerebbe apprendere e porre il proprio orgoglio in un piano minore davanti alle circostanze in cui si viene a trovare a condividere argomenti vari con qualche altro di cui abbiamo stima e apprezzamento e quando prestiamo fede e diamo pregio al progetto che si sta approvando. In queste particolari circostanze porre da parte il proprio orgoglio non è un segnale di insufficiente fiducia e autostima nelle proprie certezze, ma indica dare rilievo all'altra persona e a ciò che in quell'attimo si è deciso di realizzare, sia se si discute di vita privata o di lavoro.
 Se al contrario questo accordo viene a mancare e non c’è la stessa energia di partecipazione nel progetto che si sta realizzando, ebbene possiamo anche restare sulle nostre posizioni e neppure scendere a espedienti.
 Certamente avvicinarsi all'altra persona, chiedere scusa e non dimostrarsi eccessivamente orgogliosi è anche un segnale di viva intelligenza.

martedì 16 aprile 2019

L’AFFETTO È UN SENTIMENTO INTENSO


 L’affetto è un intenso sentimento che lega una persona a qualcuno o a qualcosa. Esso trae energie psichiche dagli impulsi naturali e si acutizza sotto la spinta di cause
capaci a muovere l’anima (ira, sdegno, amore, pietà e così di seguito). È un
sentimento di particolare intensità emotiva che comprende, oltre l’amicizia e l’attaccamento, anche l’amore. È una inclinazione sentimentale per le creature viventi (umani, animali e vegetali) e persino con particolari oggetti, probabilmente meno inteso dell’amore (come moto affettuoso), ma più regolare e più costante nel tempo.
 Ed è proprio l’elemento della durata che contraddistingue questi sentimenti. In esso si concentrano la stima e il rispetto per la persona cara o l’altra parte.
 Con altre parole, potremmo definire l’affetto come uno di quei componenti che contraddistinguono il sentimento, poiché esso consente di essere informati del piacere e del dolore, che si esperisce in rapporto all'oggetto dell’emozione. Pertanto l’affetto regolerebbe non soltanto la sola sensazione esperienziale, che si mette in moto di fronte a uno stimolo gradevole o sgradevole, ma anche la risposta del soggetto stesso davanti a esso (accostamento/aumento nel primo caso, se paramento/riduzione nel secondo).
 Secondo recenti studi è emerso che l’affetto non può essere un’abitudine o un dovere che non trovi il coraggio d’ interrompere un rapporto affettivo. È un sentimento che ha un valore maggiore della simpatia o dell’amicizia, un sentimento  allo stesso tempo duraturo, intenso e irrequieto.
 L’affetto emerge spontaneo, favorito da premura e tenerezza donateli sin dall'infanzia. Il bambino, per lo sviluppo armonico della sua personalità, necessita, infatti, di amore e di comprensione, deve crescere in un’atmosfera di affetto e di sicurezza morale e materiale. Non a caso, la direzione dipende da punto di partenza. Un abbraccio e un bacio sono stati sicuramente il primo contatto con nostro figlio quando l’ostetrica o l’infermiera ce l’ha messo in braccio per la prima volta. È questo comportamento un perfetto messaggio di affetto che lega genitori e figlio sin dai primi giorni, ma non è confinare solo alla tenera età.
 Inoltre le abitudini quali carezze, baci, abbracci, sono tra le cose che danno sicurezza ai bambini, nel limite della loro importanza. Istituire un modesto rito familiare e rispettarlo è una dimostrazione d’affetto soprattutto se permette di dare voce e importanza ai bambini: scegliere un programma televisivo o un gioco all’aria aperta, immersi nell'ambiente naturale, ma anche accettare la proposta di stare tutti insieme nel letto matrimoniale una mattina di un giorno festivo.
 I contatti fisici ed emotivi e le esperienze che provengono dagli adulti, con i quali vi è un forte legame affettivo, sono diventati negli ultimi decenni troppo scarsi e limitati. Sono, inoltre nettamente diminuiti i contatti diretti e spontanei con il mondo vegetale e animale che anch'esso possiede notevoli proprietà affettivo-relazionale.
 Preso in considerazione quanto abbiamo appena detto, non possiamo non comprendere quanto sia di massima importanza continuare a tutelare l’infanzia. Non bisogna mai considerare un bambino come un semplice adulto in miniatura. Teniamo presente che un bambino è un soggetto vitale, una persona molto avida di emozioni positive, che necessita necessariamente di vivere esperienze colme di affetto illimitato, di parole amorevoli e di legami autentici.
 Sappiamo con certezza che un bambino non è un soggetto adulto, lui neppure ha la facoltà di comprendere il perché gli altri adulti lo trattano male e non può neanche difendersi. Quello che gli succede mentre è piccolo lo può marcare per il resto della vita, particolare questo da tenere a mente in quanto interessa la sua salute mentale.
 È giusto, dunque, prendersi sempre cura dei bambini sin dai primi anni, e se nel caso siamo stati in prima persona ad avere un’infanzia difficile, bisogna tenere a mente che un’emozione positiva come la felicità non è negata a nessuno e che conviene riconoscere ciò che c’è successo, passare oltre, e ritornare con semplicità a vivere di nuovo.

lunedì 1 aprile 2019

SERENITÀ UN’EMOZIONE POSITIVA


coltà di comprendere il perché gli altri adulti lo trattano male e non può neanche difendersi. Quello che gli succede mentre è piccolo lo può marcare per il resto della vita, particolare questo da tenere a mente in quanto interessa la sua salute mentale.
 È giusto, dunque, prendersi sempre cura dei bambini sin dai primi anni, e se nel caso siamo stati in prima persona ad avere un’infanzia difficile, bisogna tenere a mente che un’emozione positiva come la felicità non è negata a nessuno e che conviene riconoscere ciò che c’è successo, passare oltre, e ritornare con semplicità a vivere di nuovo.























 Oggi siamo costretti a vivere la nostra quotidianità in una società inquieta che ci obbliga  ad adottare uno stile di vita troppo frettoloso, agitato in cui non sostiamo mai nemmeno per una breve pausa. Se non prendiamo coscienza di ciò, possiamo essere trascinati sicuramente in un giro vorticoso di attività, delle quali solitamente banali, ma che in realtà non ci danno la possibilità di trovare spazio per il tempo libero. In verità, siamo talmente inseriti in questa cadenza vorticosa che qualche volta, allorquando riusciamo a recuperare uno spazio libero per noi stessi, proviamo dispiacere.
  Non è facile condurre un’esistenza tranquilla. I problemi  quotidiani della vita spesso possono condurci a uno stato ansioso persistente che non è facile mandarlo via per far tornare la serenità dentro di noi. Tuttavia è essenziale riscoprire la pace interiore. Quindi per sentirci più quieti bisogna individuare prima di tutto le situazioni  che ci angosciano, poi cercare di riorganizzare le nostre priorità.
La pace interiore è una percezione personale di benessere psicofisico, immateriale ma molto evidente,  giacché ci dona una immensa tranquillità  Si tratta di una condizione psichica nella quale ci sbarazziamo dei problemi che ci preoccupano, delle ansie, delle paure e della sofferenza.  Insomma, bisogna  cercare di essere forti perché solo affrontando le preoccupazioni a testa alta e con dignità si può raggiungere la serenità con noi stessi e con gli altri. 
 Tuttavia anche se noi riusciamo ad acquisire una sensazione di calma smettendo di combattere le emozioni negative, ciò non significa che all'improvviso hanno terminato di controllarci e di procuraci dei danni. In realtà si tratta di una situazione nella quale ci prendiamo una pausa dall'impazienza, dall'ansia, allontanandoci momentaneamente dai problemi emotivi e dai conflitti quotidiani.
Molte persone sono convinte che sia impossibile conseguire una situazione di vera pace interiore. Loro sono del parere che la vita quotidiana è talmente insicura e di tanto in tanto incostante, che è impossibile trovare tranquillità.
 Tuttavia quello che è vero per certe persone molto fragili, che cioè non hanno una buona capacità di controllo emotivo, non significa che sia irrealizzabile acquisire la tranquillità interiore. Allorquando abbiamo degli agenti disturbanti interni possiamo liberamente decidere quale elemento attaccare. Ripreso il controllo della situazione allora possiamo aspirare alla pace interiore.
 Perciò, la pace interiore non è un dono qualsiasi che possiamo cogliere lungo il nostro percorso terreno, si tratta di una propria scelta,  ma è un problema che possiamo svolgere passo dopo passo  accettando coscientemente dei comportamenti che possono fornirci tranquillità.
 È possibile raggiungere la serenità interiore? Secondo la mia esperienza,  qualche tecnica  o alcuni consigli possono essere utili per ritrovare la serenità.
 Prima di tutto bisogna riflettere di più. Niente che troviamo all'esterno deve compromettere la nostra serenità. Dobbiamo cercare quindi d’ individuare la causa che ci rende ansiosi e affrontare la situazione con estrema calma e quiete. Se si è sereni dentro, si è sereni fuori. Bisogna controllare sempre le proprie reazioni  davanti alle evenienze esterne che creano scompiglio interiore. Non bisogna certamente dare poca importanza alle evenienze ma sicuramente non si deve esagerare nell'eccessiva paura ad affrontare e valutare una situazione o un problema. 
 Importante è anche saper accettare i pensieri e le emozioni negativi. Trovare la tranquillità interiore significa, prima di tutto equilibrio psichico. Perciò non è possibile trovare la serenità se si continua a combattere con pensieri ed emozioni negativi o se si pretende nasconderli nei recessi più profondi della mente. Per raggiungere la pace interiore è necessario accettare questi pensieri ed emozioni, che infatti, vivendoli, perderanno la loro influenza su di noi e riusciremo a liberarci del loro fardello.
 Inoltre, è bene ricordare, che la soluzione immediata a qualsiasi problema non esista ma per essere felici bisogna solo affrontare gli avvenimenti con la consapevolezza dei propri limiti amandoci sempre così come realmente siamo.