mercoledì 14 dicembre 2016

LA VIGILIA DI NATALE

Quel pomeriggio, nevoso e freddo, della vigilia di Natale Priscilia, un’adolescente avvolta in una mantella sdrucita, aveva percorso la via principale del paese, col cuore che batteva. Aveva camminato un po’ su e giù davanti alla vetrina imbandita del bar-pasticceria con pochi euro stretti nella mano destra gelata, infine si decise.
 Era l’ora vuota del pomeriggio. Non c’era nessuno nel bar-pasticceria. Soltanto, dietro il bancone, quell’uomo che si chiamava Beppe  Longo. Un tipo basso e di corporatura robusta, con la faccia larga, naso grosso e i capelli rossi. Era rimasto sempre uguale da quando lei aveva otto anni. Aveva tra le mani un quotidiano. Lei si avvicinò osservando un timido silenzio.
<<Signorinella…>>.
 Aveva sollevato il capo dal quotidiano. La osservò ma sembrava che non la vedesse. Gli rispose:
<<Sono Priscilla, la figlia di…>>.
 Per un improvviso attacco d’ansia, non ce la faceva a spiccicare il nome del padre.
All’improvviso ebbe timore di non ricordare più il nome del padre, defunto da diversi mesi in seguito a una grave incidente sul lavoro, lasciando nella miseria più nera una nidiata di bambini
 Lui corrugò le sopracciglia, e questa volta la guardò con più attenzione. Le disse:
<<Sei la figlia di Luigi il muratore?>>.
 Rimasero interminabili secondi ad osservarsi in silenzio. Per una frazione di tempo pensò che sarebbe scoppiata in lacrime. Ma il barista le chiese, come se fosse una normale cliente.
<< Cosa ti posso servire?>>.
Priscilla ritrovò la serenità. Il barista prese delle paste, le pose in un contenitore di cartone che avvolse in una carta colorata senza chiedere il suo parare.
<<Buon Natale>> le disse, porgendole il pacchettino

sabato 3 dicembre 2016

L'EDUCAZIONE EMOTIVA DEL BAMBINO NELLA FAMIGLIA

Dai risultati di varie ricerche del settore, abbiamo appreso che l’emozione è allocata nel nostro DNA, per cui nessun educatore ci può insegnare, essendo un patrimonio genetico tramandato dai nostri progenitori. Secondo gli studiosi, la persona può essere invece educata ad apprendere e riconoscere quali sono le emozioni e come gestirle.
 I componenti di base infatti che caratterizzano le emozioni, se insegnati precocemente al bambino, costituiscono il primo passo per un vero e proprio antidoto emotivo, in quanto dato un utile strumento che lo metterà in grado di comprendere le proprie reazioni emotive negative per poterle in seguito trasformare. Quanto appena detto non significa che il bambino non proverà più nella vita emozioni spiacevoli, ne farà senz’altro esperienza di tanto in tanto, ma anziché essere sopraffatto da esse, sarà in grado di dominarle.
 Oggi in famiglia circolano non solo persone appartenenti alla stesso nucleo familiare, ma anche ai media e alle varie categorie di esperti, di conseguenza viene a mancare un metodo educativo unidirezionale ed emozionale.   
 È anche noto che in famiglia gli incontri sono abbastanza rari e quindi, mancando il contatto fisico, meno si conoscono. A detto degli esperti, nella vita quotidiana di una famiglia, l’incontro assume una importanza vitale, anche durante la consumazione dei pasti, perché si possono verificare normali scontri verbali e non quel patologico contrasto cui si assiste di questi tempi. D’altronde, le emozioni costituiscono la prima esperienza che i bambini fanno dell’ambiente e dei rapporti con le persone del proprio nucleo d’appartenenza dove vivono.  Permettere, quindi, anziché impedire ai bambini di vivere le emozioni, incoraggiandoli a incrementare emozioni positive quali la serenità, la gioia, l’entusiasmo e nello stesso tempo aiutarli a ridurre la frequenza e l’intensità di quelle negative.
 Le ricerche di John Gottman, autore del saggio “Intelligenza emotiva per un figlio”, rilevano che i bambini cui i genitori hanno precocemente insegnato a essere <<emotivamente intelligenti>> rendono di più nei compiti scolastici, si agitano o si arrabbiano di meno, hanno un controllo psicofisico adeguato e quindi si ammalano raramente.
 Oltre all’insegnamento, i genitori devono dimostrare ai propri figli tutto il sostegno e la vicinanza di cui siano capaci di farli sentire sollevati e meno spaventati perché degli adulti loro si fidano tanto. Creando in casa un clima sereno e dimostrandosi disporsi a relazionare e a divertirsi insieme ad altre persone, i genitori trasmettono serenità interiore, che sarà per loro di valido supporto per tutta la vita.
 Per sensibilizzare i bambini alla gaiezza, che porta anche alla fiducia, è indispensabile farli apprezzare le gioie semplici e impratichirli ad appassionarsi   
per le cose belle offerte dalla natura (per i fiori e le piante, per le albe e tramonti e così via). Oppure ad essere appagato nella conoscenza degli avvenimenti quotidiani, nella lettura, nell’ascolto di un brano musicale, nella visione di un interessante film.
 Bisogna aiutare i bambini a gestire le loro emozioni. Quando un bambino scoppia in lacrime, oppure è rabbioso o noioso,  non bisogna farsi travolgere da emozioni negative, ma restare tranquilli e pensare a questo evento come una vera e grande occasione per allenarlo emotivamente.  Un atteggiamento da evitare in modo assoluto è quello di ignorare o sminuire le emozioni negative pensando che si risolvano da se stesse o che non siano importanti. I bambini invece hanno necessita di imparare a comprendere quello che provano sentendoselo dire dai genitori e per non crescere con delle insicurezze hanno bisogno di sentirsi compresi.
 Le sicurezze vanno nutrite con la conversazione e lo stabilire di un rapporto relazionale sicuro, che si instaura  quando tra genitore e figlio sussistono palesi canali comunicativi. La presenza,  lo scambio verbale e affettivo, infatti, danno la possibilità alla coppia, genitori/figli, di identificarsi come elementi di una unica struttura sociale, che per avere un buon funzionamento ha bisogno di una massima apertura verso l’altro e una disposizione a dare, oltre che a ricevere.
  L’uso del linguaggio emotivo quindi, dà modo alle persone di manifestare e dare un senso ai propri sentimenti. Per cui, è un buon metodo insegnare al bambino a comunicare il proprio stato d’animo, a fare domande e a chiedere spiegazioni quando non comprende il discorso del genitore.
 È da notare. La curiosità costituisce un bisogno primario dell’uomo sin dalla nascita. Per soddisfarla occorre un ambiente sufficientemente  stimolante. Il bambino sin dai primi anni di vita va esposto a numerosi stimoli, complessi e tali da impegnarlo mentalmente. Infatti, la mancanza di stimoli, crea ragazzi demotivati. Tuttavia, il bambino non deve essere sottoposto ad informazioni che non può elaborare.
   Attraverso questo sistema di comunicazione bidirezionale è più facile favorire nel bambino il riconoscimento del suo stato emotivo, in modo tale che crescendo non si vergogni di esprimersi, ma anzi sia orgoglioso di mostrare  i suoi aspetti più intimi.
 Per concludere, nel corso dello sviluppo il bambino acquisisce diverse capacità, che gli permettono di interpretare e interagire col proprio ambiente, umano e naturale. Anche il linguaggio emotivo si acquisisce nel tempo, grazie al continuo ascolto e all’imitazione, che facilitano la ripetizione delle parole.
 Resta inteso che non tutti i bambini acquisiscono alla stesso modo le varie competenze, per cui bisogna rispettare le singole capacità e, soprattutto gli adulti, e in particolare, i genitori dovranno non solo rilevare eventuali carenze, ma aiutarli a raggiungere  primo grado di benessere psicofisico, individuando i punti favorevoli e dargli un valido sostegno là dove risultano più carenti.