giovedì 13 dicembre 2018

LE TONALITA' EMOTIVE UNA RICCHEZZA INTERIORE


In un periodo storico come l’attuale, affascinato dall'improvviso riaffiorare - nei vari ambiti culturali  e scientifici- dell’interesse nei riguardi della dimensione emotiva, ritengo mio dovere soffermarmi, ancora una volta, su quelle sensazioni corporee, che denotano in un certo senso il nostro modello comportamentale di essere nel mondo, al punto d’essere quasi un indirizzo di base per mezzo del quale si organizza la nostra quotidiana attività vitale.
 A proposito, a chi non è mai accaduto di avvertire una lieve ansietà nel normale viaggio esistenziale o un senso di malcontento che discreto sguscia di fianco?  Se, infatti, mettiamo particolare attenzione al modo d’essere del nostro corpo possiamo individuare una tonalità emotiva, anche se inafferrabile e impossibile da rendere concreta. Durante lo svolgimento delle attività quotidiane possiamo avvertire uno stato psicofisico tensivo o rilassato, ottimista o pessimista. Poiché le emozioni e i sentimenti ci attivano pur conservando i nostri normali impegni coscienti, ciò che avvertiamo dal profondo del nostro interiore ha la capacità di influenzare il nostro modello giornaliero di operare e di individuare  nell'ambiente circostante.
 Insomma, il tono emotivo entra variamente e continuamente in gioco osteggiando o compensando le nostre preferenze e le attitudini naturali, ma anche le nostre stesse consuetudini e i nostri modelli culturali e perfino dottrinali.
   È chiaro che, facendo parte del nostro codice genetico, le tonalità emotive sono elementi necessari della nostra natura e, quindi, non possono essere evitate. Non esiste un solo stato umano che non sia in una certa maniera emotivamente intonato: tutte le esperienze sono orientate dal tono elevato o depresso. Nella nostra vita siamo sempre in uno stato emotivo, le tonalità non sono alieni che sopraggiungono accidentalmente e poi se ne vanno, mentre il nucleo psicologico e vitale dell’uomo si costituisce assolutamente svincolato da esse.
 Comprendere l’importanza e la presenza delle tonalità emotive significa vivere e godere la ricchezza del momento interiore senza timore di non poterlo gestire; soprattutto liberarsi dall'errata concezione che le emozioni siano elementi nocivi da bandire, da inibire.
    A questo punto fare una classificazione delle varie tonalità non è lavoro facile proprio per le varie sfumature emotive presenti. Per il filosofo francese Otto Fiedrich Bollnow è auspicabile proporne una, per poter aprire alla comprensione dei fenomeni psichici stessi. Secondo la sua visone, si possono avere due raggruppamenti di tonalità: allegre  e  tristi oppure elevate  e depresse.
 Allora, nel sentirsi allegri non solo l’ambiente circostante ci appare accogliente, più ospitale, ma siamo noi stessi più equilibrati, più riflessivi, più creativi. Tuttavia è interessante notare che in questo stato mentale di grazia non si rimane fissi nella passività di sentirsi soddisfatti ma avvertiamo nel contempo una forza contraria che ci spinge all’ andare oltre.
 E poiché non esiste un’azione emotivamente neutra, noi ci dedichiamo alla lettura di un racconto o di una poesia  perché essa non è solo piacevole. Soprattutto riesce a veicolare emozioni, contenuti e stimoli quando produce piacere e si prova piacere in quelle situazioni in cui si realizza una relazione empatica, emotivamente profonda tra lettore e testo. Per cui, il lettore manifesta i suoi stati emozionali, entra in un processo d’identificazione, e condivide esperienze ed emozioni.
  Passando ora all'analisi delle opere di alcuni poeti che hanno prodotto le loro migliori composizioni in momenti particolari di grande tensione emotiva, mi soffermo volutamente sulla produzione poetica di Vittorio Bodini, la cui poesia è un insieme di immagini, idee, giudizi e soprattutto di propri stati emotivi, come il dolore, la speranza, la tristezza, la passione, il coraggio e così di seguito.
 Per rilevare e mettere in luce la forma e la modalità di espressione delle tonalità depresse o quelle tristi, leggiamo e mettiamoci in relazione empatica con alcuni versi di poesie in cui le tonalità emotive si manifestano, con varie sfumature, in una serie di effetti infelici, come in: “La luna dei Borboni 8”.
 << Qui non vorrei morire dove vivere
       mi tocca, mio paese
       così sgradito da doverti amare;
       lento piano dove la luce pare
       di carne cruda
       e il nespolo va e viene fra noi e l’inverno>>. 
 In precedenti interventi dissi che la poesia di Bodini ha una visione intimistica capace di cogliere le sensazioni dell’anima e di comunicarle con varie tecniche letterarie. Per comprendere, quindi, le varie tonalità delle emozioni tristi o depresse bisogna fermarsi a una comprensione empatica. I versi su citati, quindi, esprimono, con un tono triste e di profondo dolore esistenziale, la sofferenza psicologica di un intimo sentimento. La tristezza è il filo rosso della composizione poetica che consente al poeta di mostrare agli occhi del lettore tutto il suo dolore psichico per un sentimento controverso.
Questa atmosfera che non ha mai conosciuto momenti di facile abbandoni, diventa una riflessione esistenziale di un’anima solitaria tormentata dall'angoscia, dal dolore metafisico, dal pensiero della morte, come nei versi de La canzone semplice dell’esser se stessi:
  <<Provo ad essere solo.
     Trovo la morte e la paura>>.
Sono aspetti tenebrosi e lancinanti dell’agognata solitudine a prendere forma e visibilità in questi versi oscuri e indecifrabili.
 Il precedente climax melanconico si fa più intenso nei versi che seguono: la paura della imminente morte del poeta è vissuta e descritta con parole semplici e dolorose. La paura che diventa <<oscenità>>, e che fa naufragare in un mare di <<alcool>> persino le memorie più care, come in Nait II: 
<<Se bere un whisky è versarlo
   sull'arso terriccio della propria tomba
   dove l’oscenità canticchia assassinata
   dall'ombra d’un cane o dalla furia della ragione
   trofei d’occhi inespugnati
   come fregi di antiche stamperie
   si scioglieranno nell'alcool […] >>.

La poesia, qui, come possiamo osservare, propone due aspetti della morte. Il primo è la morte ventura del poeta (<<la propria tomba>>); il secondo definisce  la morte <<l’oscenità>>.  A una morte umiliante, legata alla morte del corpo e dell’anima, si oppone una morte, al contrario,  che <<canticchia>>. Per questo, più che eccesso di morte i versi denunciano diverse tonalità di malinconia.
 Proseguendo la lettura delle composizioni, noto che l’io poetico incontra spesso frammenti del quotidiano che rendono visibili la vitalità delle immagini emotive, le fragili solitudini e pezzi di ambienti esterni che correlano alle scene interiori.
 Nei versi successivi le parole ci danno immediatamente la possibilità di cogliere le varie tonalità emotive attraverso  gli aspetti caratteristici dei luoghi, che si trasformano in un canto triste, malinconico di un idioma dal tono lento, dosato ma non monocorde, che porta in scema gli atti semplici, rituali del quotidiano di un ambiente ben noto, come in: Foglie di tabacco:    
<<Una funesta mano con languore dai tetti
       visita forni spenti, le stalle in cui si desta
       una lanterna o voce impolverata.
       Come da un astro prossimo a morire>>.
 Comprendere, dunque, l’importanza della costante presenza nelle nostre attività quotidiane delle tonalità emotive nelle loro varie forme d’espressione, significa cogliere e descrivere le tensioni dell’anima non solo degli artisti, come nella testimonianza sofferta umana e poetica  di Vittorio Bodini , ma di ogni essere pensante che ha vissuto o vive  il mistero dell’esistenza.









domenica 2 dicembre 2018

L'AMORE E' UN'EMOZIONE MERAVIGLIOSA


Sin dai primordi filosofi, poeti e artisti si sono interrogati sul significato della parola amore e, quindi, anche in questi ultimi tempi è oggetto di interesse della psicologia.
 Ma che cos’è l’amore?
 Capita spesso sembrare incerti al riguardo e ci domandiamo, per esempio, se nutriamo amore o soltanto interesse fisico, se siamo davvero innamorati del nostro partner o è solo una moda, oppure può sopraggiungere di sentirci sottomessi in un rapporto che più che amore si è mutato in un’idea fissa e dolore psichico, o in altre circostanze, la relazione è diventata un vero campo di scontri quotidiani e l’emozione di rabbia sembra tessere il legame più resistente.
 Per capire il significato dell’amore prima di tutto è essenziale distinguerlo dall’innamoramento. Quando siamo innamorati mostriamo uno stato di coscienza trasformato: esaltiamo la figura dell’altro, siamo gioiosi, ci pulsa energico il cuore quando siamo con lui o lei. Allorché queste sensazioni cessano non significa che l’amore è terminato, probabilmente siamo passati a uno stadio dell’amore adulto.
 Secondo gli studiosi la coppia vive differenti periodi per quanto riguarda l’amore: il primo periodo coincide con l’innamoramento, la coppia vive un periodo di sintonia sentimentale, in cui la mitizzazione dell’altro e massima, si pensa a lei/lui come l’anima gemella, l’oggetto che può accontentare ogni proprio desiderio e per il quale si smarrisce la ragione; dopo segue un lasso di tempo di disillusione, contraddistinto dalla tristezza e dalla rabbia, derivato dalla scoperta della diversità dell’altra/o.
 In questo particolare periodo cominciano i primi segnali di incomprensione, possono arrivare attacchi d’ansia, si inizia a pensare alla necessità di realizzare una giusta distanza. Una buona elaborazione delle ostilità esistenti in questo periodo ha la possibilità di passare a quello successivo, il periodo dell’indipendenza, nel quale la coppia avverte la necessità di venir fuori dal nucleo a due e di sondare l’esterno .
 È questo il momento più complicato nel periodo della coppia e quello più a repentaglio di frattura poiché può accadere  l’infedeltà. Se questo periodo di instabilità psicologica viene abilmente superato si passa all’ultimo periodo, quello dell’indipendenza in cui il partner è accettato nei suoi difetti e accade un riavvicinamento che può ammettere il risuscitare di nuovo la voglia della passione.
 Oltre questi particolari periodi, validi in linea generale per ogni coppia, la difficoltà della vita sentimentale è congiunto a diverse variabili: la vita adulta è un prodotto delle esperienze primitive, dei rapporti parentali e delle relazioni sociali importanti che s’incontrano nel cammino quotidiano, del rapporto che si ha con se stessi e il proprio corpo, del grado di auto stima e di accettazione del proprio essere e della tendenza a fidarsi all’interno di una relazione.
 Finora abbiamo detto che ci sono epoche in cui nella relazione ci innamoriamo, altre nelle quali creiamo attacchi d’ansia e altre ancora dove si riaccendono fervori passionali.
 Ora esaminiamo brevemente come nella relazione cerchiamo di sanare le eventuali fratture psico-sentimentali; spesso infatti utilizziamo l’amore, quello vero, come sviluppo di risanamento.
  Si osservano coppie che si incontrano nel dolore psichico e, unitamente, sanno trasformarlo in qualcos'altro, si osservano coppie che si incontrano in ciò che desiderano, e a volte deflagrano. Per farla breve, la psicologia dell’amore segue- diciamo forse - le nostre leggi nevrotiche.
 Certamente  ciò che rende diverso l’amore dall'Amore sincero è la coscienza limpida che noi mettiamo nella relazione: non è assolutamente errato cercare di guarire una ferita sentimentale attraverso una relazione d’amore, chiedere all'altro di alimentarci dove avvertiamo ancora la fame di sentimenti, ma è essenziale essere consapevoli di ciò che si sta compiendo in modo da trasformare il nostro amore nevrotico in Amore vero, quello con la A maiuscola.
 Proviamo a renderci la quotidianità più semplice, lasciamo andare via quell'amore che ci delude, l’amore che non ci soddisfa, che genera tristezza, rabbia , vedetta.  Proviamo invece ad individuare l’amore vero, sincero, quello che ci rende la luce del mattino più splendente di quella che è.  
                                                                 

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sabato 17 novembre 2018

IL PERDONO, UN SENTIMENTO POSITIVO


Perdono è un termine che nella sua eccezione letteraria significa: remissione di una colpa e del relativo castigo, Il Nuovo Zingarelli. È, quindi, una rinuncia, un’agevolazione che si offre a colui il quale compie ciò che non avrebbe dovuto compiere.
  Da quanto appena detto si può comprendere come il perdono è un modo di procedere che include la consapevolezza della vittima di aver subito una vessazione tuttavia si preferisce volontariamente di passare oltre la punizione e di mettersi in un atteggiamento diverso.
 La capacità di perdonare insita in ciascuno di noi nel corso dell’esistenza si modifica e non rimane stabile negli anni. Secondo alcuni ricercatori una persona è motivata a perdonare a seconda di un momento particolare dalla vita: il perdono è possibile quando la vittima è risarcita del danno subito; il perdono è possibile per la presenza di regole morali, religiose e sociali che condizionano la persona; il perdono è utile perché concede di vivere in armonia nel contesto sociale.
 Quando si tratta di capacità di perdonare non si mette in atto rapporto solamente a quel comportamento di compassione e benevolenza che la vittima di sopraffazione  sceglie liberamente di riservare al trasgressore, ma concerne anche il comportamento che una persona può avere verso se stesso nel caso che sia responsabile di un atto nocivo verso altri soggetti. Bisogna distinguere infatti il perdono in rapporto alla sorgente della violazione: si può essere vittime di un’offesa e quindi in questa circostanza il perdono sarà diretto verso terzi, ma si può essere i responsabili di un’offesa e sentirsi colpevoli del proprio comportamento, in questa circostanza il perdono deve essere rivolto a se stessi.
 Sembra giusto aggiungere che chi commette un danno per altre persone è un soggetto con emozioni e sentimenti, e molte volte ci si può diventare responsabili  di causare dolore ad altri senza alcuna intenzione. In questo caso particolare il trasgressore si può sentire in colpa per il suo operato maldestro e non perdonarsi di aver procurato sofferenza psichica. L’insufficienza di perdonare se stessi per aver compiuto una grave violazione si collega a sentimenti molto penosi di colpa, rammarico, vergogna e disagio invece nel danneggiato che patisce un’ingiustizia le emozioni consuete sono rabbia e avversione.
 Negli ultimi decenni la psicologia si è interessata al perdono in particolare quando alcuni ricercatori rilevarono una stretta relazione tra perdono e benessere psichico. Saper perdonare, quindi, può rappresentare un mezzo per favorire il benessere psicologico, limitando il vortice di emozioni negative che si intromettono quando patiscono un torto, ovvero riducendo la rimuginazione, il rancore, la rabbia e tutte quelle emozioni negative che non soccorrono positivamente una vessazione subita ma al contrario ne danneggiano ancora di più la salute psicofisica.
Sappiamo che, secondo la visione cognitiva ed emotiva, il sentimento del perdono può accadere soltanto dopo che è stato messo a tacere la rabbia, il  desiderio di vendetta o di punizione della persona che ha subito l’oltraggio. L’atto del perdono è solo l’ultimo segno che interessa questo lungo e articolato processo di preparazione di un fatto avverso avvenuto.
 Come già detto, l’abilità di perdonare al di là di esibire benefici sulla prosperità psicologica, pare avere conseguenze positive pure sulla salute fisica. Differenti ricerche hanno infatti documentato come provare per diverso tempo emozioni negative quali rabbia, ostilità, risentimento accresce l’efficacia di disturbi cardiovascolari.
 Il modalità, dunque, in cui il perdono potrebbe favorire la salute psicofisica è inerente alla diminuzione di rabbia e ostilità incoraggiando emozioni positive quali benevolenza, compassione e amore.  

sabato 3 novembre 2018

IL COMPAGNO DI BANCO



Marco bussò alla porta della aula quinta “B” e alla risposta <<Avanti>> si affacciò timidamente, guardando in direzione della cattedra. La maestra gli fece cenno, con la testa, d’entrare e, come se nulla fosse accaduto, continuò il suo discorso iniziato da un quarto d’ora. Marco sgattaiolò al suo posto con la testa china e mentalmente di preparava a subire passivamente  la razione quotidiana di benevole rimprovero della maestra. A questi richiami egli si era abituato. Marco lo sapeva benissimo d’essere un ritardatario abituale, ma cosa ci poteva fare? All'età di sette anni aveva perduto il padre in un incidente stradale e da cinque mesi gli era venuto a mancare improvvisamente la madre. Era rimasto, così, con il fratello diciassettenni e la sorella quindicenne, i quali, per sopravvivere, andavano a lavorare presso un’azienda agricola distante dieci chilometri dal paese. Pertanto, ogni mattina  loro due si alzavano molto presto, preparavano una frugale colazione e prima di andare via, alle sei e trenta svegliavano Marco.
 Ma il bambino si attardava sempre di qualche minuto, specie quando il brontolio dello stomaco vuoto e il freddo pungente del mattino lo invitavano a rimanere intanato sotto le coperte, al caldo. Così, tra uno sbadiglio e un cambio di posizione, riprendeva sonno; e questo era il sonno più bello in quanto ritornava in campagna con i genitori a giocare e a respirare l’aria  satura degli odori del pane e della focaccia che la nonna cucinava nel forno a legna.
 Spesso, però, il sogno veniva interrotto dal richiamo di una vicina di casa, che aveva l’incarico di guidarlo e di preparargli un piatto di minestra a mezzogiorno. In quel momento Marco odiava tutti, fratello, sorella, vicina e persino la scuola, perché loro complottavano per sabotargli gli unici momenti belli della giornata. I parenti, la vicina, la scuola e la maestra potevano attendere, c’era tutta la giornata da trascorre insieme, invece con mamma e papà poteva giocare, tenere a bada la fame solamente quando era a letto: ecco perché Marco indugiava al mattino tra le lenzuola ruvide di tela.
 Quel mattino, però, la maestra non lo rimproverò, e ciò gli sembrò molto strano; tuttavia, quel segno lo ritenne un buon auspicio. Che le cose stavano cambiando in suo favore? o forse la maestra non voleva turbare il silenzio e l’aria di mistico ascolto, che si erano creati nell’aula?
 Marco cercò di seguire le parole della maestra, ma non capiva un granché. Sbirciò sul sussidiario del compagno di banco, ma continuava a non capire. Allora si decise di chiedergli sottovece:
<<Angelo, a che pagina state leggendo?>>.
<<Pagina quindici>> gli sussurrò. Poi, aggiunse:<< Quel paragrafo a destra, “La piccola vedetta lombarda”, infondo alla pagina, accanto a quell'immagine del bambino che sale sull'albero>> .
 Marco seguì le indicazioni e guardò il ritratto, attentamente. Quell'immagine gli ricordava qualche avvenimento già vissuto; sì, ma dove? Mentre pensava fu colpito in modo particolare da una frase della maestra, che diceva presso a poco così…<<sulla cima dell’albero avviticchiato al fusto con le gambe, tra le foglie, ma il busto scoperto, il sole gli batteva sul capo biondo…>>.
 Ecco, ora ricordava. Anche lui nei mesi estivi si arrampicava sugli alberi di fico per cogliere i frutti maturi. Lui sapeva di quali alberi fidarsi. Farsi male in campagna era frequente e ritornare al trullo con la testa rotta erano guai seri.
 Il suono della campanella annunciò la fine della lezione e l’inizio della colazione. L’aula divenne un ribollire di suoni. Angelo sfilò dalla cartella sotto la banco il panino avvolto in una carta crespa. Lo addentò. L’unico indifferente agli avvenimenti che gli accadevano intorno era Marco
<<Tu non mangi?>> gli chiese Angelo, notando l’insolito comportamento del compagno di banco.
<<No, non ho fame>> rispose con lo sguardo fisso sul banco.
 Angelo esitò qualche secondo, poi afferrò il panino con entrambi le mani e lo divise in due parti.
<<Toh!, prendi>>, gli uscì con voce decisa.

sabato 20 ottobre 2018

IL TEMPO DELLA GIOVENTU' INTERVENTO


IL TEMPO DELLA GIOVENTU’
(IL ‘68 E DINTORNI)         
DI ENRICO CASTROVILLI – ED LIBELLULA
QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA LETTURA DI BENITO D’ AGNANO
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Sono abituato da sempre ad appuntare di ogni libro letto le cose che ho trovato interessanti e di comunicarle, quando è possibile, all’autore  come ringraziamento per le ore di piacevole lettura che mi ha regalato.
Perciò, anche se può sembrare una ripetizione, visto che diversi altri hanno scritto in modo completo e puntuale sul libro del Dott. Castrovilli, evidenzio ciò che mi ha colpito di più.
Che sia un libro di formazione è molto evidente ed è stato notato da tutti.
La vita del protagonista si sviluppa secondo una direzione ascensionale della mente ed è imperniato sulla crescita, la maturità, la ricerca di se stesso e del proprio ruolo nella vita.
Una educazione familiare di valori e di responsabilità ricevuta da Carlo, il protagonista, lo costringe ad abbandonare gli studi per il lavoro, necessario al sostentamento della famiglia dopo la morte del padre. La volontà e la spinta interiore fanno si che possano coesistere in lui lavoro e studio, pur in presenza di problemi di salute.
La famiglia fa quadrato intorno a lui e lo sostiene con affetto e rispetto. E la povertà non diviene un alibi per non andare avanti. Un bell’esempio per le famiglie di oggi!
Nel leggere le pagine del libro mi tornano nella mente le reminiscenze scolastiche sulla vita di tanti grandi che hanno vissuto situazioni simili. Orazio afferma che la povertà lo aveva spinto a scrivere versi. E poi balza forte e potente la figura di Pascoli che non è fermato da nessun ostacolo:
“Da me, da solo, solo e famelico/ per l’erta mossi, rompendo ai triboli/ i piedi e la mano./ Piangendo si, forse ma piano”E rubo a Leopardi un verso: “Oimè quanto somiglia/ al tuo costume il mio”. Perché anche io ho dovuto fare lo stesso percorso ad ostacoli per giungere alla meta da me sognata. Il desiderio così pregnante di Carlo di fare l’insegnante, è portato a buon fine con la caparbietà dei giovani e con l’aiuto di un professore (così io)  che aveva a cuore la scuola e i giovani volenterosi.   Meraviglioso nel finale l’appagamento del sogno risolto in una semplice frase: “ Io vi dico che non andrò via da questa classe”. Classe da cui erano scappati via tanti altri docenti perché “terribile”, senza per ciò dover ricorrere alla violenza. E sapeva bene che per l’esercizio della funzione docente ci vuole autorevolezza, non autorità.
Questo libro si apprezza anche per le sue osservazioni sul Movimento Sessantottino.
Carlo vi prende parte con chiara coscienza. Ha capito che gli studenti hanno le loro ragioni, ma non condivide la lotta armata. E se vi prende parte lo fa contro la sua volontà ma si ritira presto per aiutare l’amico rimasto seriamente contuso in uno scontro.
Tante cose erano giuste, tante un po’ meno. Era giusto dare a tutti la possibilità di studiare di crearsi un avvenire, ma non era giusto che tutti andassero avanti senza nemmeno studiare ( il famoso 6 politico).    E lui non appartiene a questa categoria.
Il movimento era caratterizzato dallo spirito di ribellione verso il principio di autorità. E fu di portata internazionale.
Con il boom economico molti studenti provenienti da ceti popolari avevano intrapreso gli studi di ogni ordine e grado e il sistema formativo degli anni ’60-70 si trovò ad essere incapace di reggere l’urto della scolarizzazione di massa.
Ci fu l’occupazione degli istituti, specie quelli superiori, perché offrivano un istruzione elitaria.
Comunque si verificarono molti cambiamenti sotto la spinta della contestazione. Carlo ci passa in quella tempesta. E pianta la sua bandiera tanto agognata in cima al monte.
Il libro è davvero un gioiello di valore inestimabile per la formazione dei giovani. E’ un percorso che mostra con chiarezza tutta la bellezza del sogno e tutta la crudezza delle spine poste ad intervalli lungo la strada che si possono superare solo con il supporto di una educazione familiare solida ed una volontà che deve divenire passione.
Una scrittura attenta ad evitare ogni manierismo, semplice ed elegante, ricca di immagini e di riferimenti storici chiari e precisi, rende la lettura coinvolgente e piacevole come una ventata di aria fresca nella calura. E’ un libro che si legge senza accorgersi e senza interruzioni, talmente penetra nel lettore e ne sollecita la sensibilità e le corde delle emozioni.       L’autore, oltre che laureato in Lettere, lo è anche in Medicina ed in Psicologia. E’ un punto di riferimento importante della Psicocritica.
Conosce molto bene la psiche umana con tutti i suoi risvolti comportamentali ed emotivi.
Il libro perciò accompagna il lettore anche nel dedalo delle emozioni spiegandone origine e manifestazioni. Ed  offre piacevolezza e soddisfazione.
Ognuno può avvertire nel testo consonanza fra l’autore e parte di se stesso che, nel medesimo tempo, lo spinge verso nuovi contesti emozionali.
San Vito dei Normanni, 15 ottobre 2018-
                                                                                                       Benito D’Agnano

IL PUNTO  ANNO XLVIII n°11

martedì 16 ottobre 2018

LE EMOZIONI ATTRAVERSO LA PAROLA E L'ASCOLTO


 È noto che se vi sono molteplici modi di leggere – a bassa o a voce alta - , altri sono i motivi che inducono a realizzarlo: per il semplice piacere che una lettura genera quando diventa esperienza estetica; per l’interesse ad apprendere nuove conoscenze quando è pratica intellettuale; per il sentimento di manifesta solidarietà quando è esperienza empatica.
 Secondo le teorie cognitiviste sulle emozioni la scelta di un tipo di queste letture dipende dal giudizio di valore da parte dell’interessato, sulla base di un insieme di fattori quali: specifiche conoscenze, interessi, percezioni e credenze. Eseguita la preferenza, al di là dell’interpretazione dei segni-simboli di un testo, la lettura impone al soggetto due tipi di processi mentali importanti la comprensione e l’interpretazione. Come attività primaria della mente entrambi questi processi sono, quindi, direttamente responsabili delle reazioni del lettore: il suo coinvolgimento, il vissuto emotivo, la passione, il giudizio critico e così via.   
  In particolare diremo che la comprensione è il risultato del processo di elaborazione linguistica delle informazioni che vengono trasformate, in termini psicologici, a una rappresentazione semantica del testo. L’interpretazione si riferisce, invece, a una rappresentazione semantica del testo. In sintesi, la lettura implica parallelamente comprensione e interpretazione.
 Sulla base di quando detto, ora facciamo qualche considerazione sulle emozioni che rileviamo spesso nella lettura, in conseguenza dei processi di comprensione e di interpretazione. Quelle che inducono piacere nella lettura si chiamano “emozioni della mente”. Accanto a queste vi sono emozioni che nascono dalla partecipazione del lettore all’oggetto della lettura. Tipica risposta emozionale di questa natura ai testi narrativi, è l’empatia. Un racconto, un romanzo fanno  proprie le ansie e le gioie  dell’umanità.  In quelle riconosciamo noi stessi, la nostra esistenza possibile. L’attenzione intensa sulla paura, sulla pietà, o sull'amore dei personaggi ai quali ci rivolgiamo con la lettura dipende dal giudizio d’importanza che noi diamo circa ciò che riteniamo giusto e non da un impulso indiscriminato di condivisione.
  Sin qui, il valore della parola, ora una breve nota sull'ascolto. Che l’ascolto di un racconto o di una poesia sia capace di suscitare emozione è certo esperienza di ognuno di noi. Tuttavia, pur essendo presente  in tutti i soggetti, la risposta emotiva all'ascolto di una lettura non è sempre la medesima. Al contrario. Essa varia al variare dei fattori individuali come l’età, la cultura, lo stato psicologico. Per esempio non tutti i bambini hanno un atteggiamento di accoglienza e di ascolto sereno sufficiente per contenere l’emozione in un racconto. Vi sono, infatti, bambini che faticano ad ascoltare, alcuni non riescano a farlo perché sono distratti, altri ascoltano forzatamente. Per questi bambini che vivono disagi personali o difficoltà emotive, gli psicopedagogisti suggeriscono di comprendere più che di capire il comportamento disturbato dei bambini e soprattutto di non usare parole pericolose che spesso si utilizzano con poca accortezza, perché scoraggiano e inibiscono il desiderio di essere diversi, lasciando il posto a un sentimento di amarezza, di inutilità, di solitudine.
  La parola e l’ascolto, dunque, sono i veicoli insostituibili del cuore e della mente, che accompagnano nella vita adulti e bambini alla scoperta delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, anche quelli cattivi, per conoscerli, comprenderli, accettarli e trasformarli senza averne timore.

martedì 9 ottobre 2018

ANTOLOGIA POETICA IN LINGUA POLACCA


Complimenti al dott. Castrovilli per l’inserimento di alcune sue poesie nella più vasta antologia di poesie pugliesi tradotta in lingua polacca. (AA. VV., I Ponti, Wydawnictwo Ksiazkowe IBIS)
La poesia della Puglia viene presentata in Polonia, per la prima volta, in un’antologia autonoma.
Pawel Krupka, di professione diplomatico e prof. Di letteratura greca presso l’Università di Varsavia, a proposito dei poeti pugliesi (e tra questi l’unico della Provincia di Brindisi, appunto, il dott. Castrovilli) dice che “si dimostrano chiaramente figli della Magna Grecia, della sua semplicità e del suo naturalismo. La forza d’espressione della loro poesia scaturisce da sane radici di civiltà.” […] “È una poesia che trova ispirazione soprattutto nell'ambiente naturale, compreso quello umano. Una poesia piena di sole e di mare, che parte per il mondo dal focolare di casa.”
Il dott. Castrovilli, quindi, è il primo poeta brindisino  (sanvitese)  “tradotto” in polacco, ma non basta, è stato tradotto anche in lingua albanese e russa. Alcune sue poesie sono presenti nell'antologia albanese AA.VV. Il mare che unisce, MILOSAO, 2016.
Insomma, mentre si alzano muri per contenere i flussi migratori, la creazione poetica pugliese-brindisina (sanvitese) non sembra trovare ostacoli per Castrovilli, e la sua poesia è diventata “poesia d’esportazione”; esportazione non solo del “patrimonio della Magna Grecia”, ma precisamente della “Sanvitesità” non tanto come “prodotto” di colore locale, che pur ha il suo valore, ma soprattutto, come ben dice, in una sua bellissima poesia, il prof. Daniele Giancane, come “prodotto di nicchia” di “autore di valore”. 
Le poesie di Castrovilli, scelte e presenti nell’antologia polacca, sono quelle che dalla nicchia del territorio naturale e umanizzato di San Vito si elevano a paradigmi universali e hanno già nel titolo vibrazioni o vocazioni di universalismo specie ora che varie etnie si combattono in Medio Oriente o in altre parti del mondo.
In “Oltre Bisanzio” e in “Una cartolina da Gerusalemme” ci sono passi che inneggiano al sentimento d’amore di vario genere: da quello romantico a quello di fratellanza universale che scorgando da “antiche civiltà” unisce le varie etnie in un abbraccio globale.
[…] Da molto tempo viaggiavamo lungo/ le coste adriatiche sostando ora/ tra ruderi di antiche civiltà ora/ tra la macchia mediterranea…
[…]
Signora, dove ci porterà/ questo nostro vagare?
Lei guardandomi sottecchi, rispose:/ oltre Bisanzio. […] (da “Oltre Bisanzio”)

[…] Nella luce del crepuscolo/del mattino, un attempato rabbino/ barba bianca fluente, / zucchetto, tallith e filatteri/ nella sinagoga recita brani/ del Siddur ad alta voce, / e ragazze palestinesi/ espongono su tappeti/ con fini disegni ornamentali/ oggetti di rame, di legno/ e merletti colorati/ nei paraggi della moschea di Omar. (da “Una cartolina da Gerusalemme”)
In queste poesie c’è un peana, un canto d’allegrezza, di speranza in quanto in “Oltre Bisanzio” c’è un anelito verso orizzonti nuovi e pieni di sentimenti accattivanti e in “Una cartolina da Gerusalemme” un invito alla fratellanza espansiva: infatti il rabbino e le ragazze palestinesi sono presentati insieme in un concerto di richiami biblici.
In “I sentieri dell’anima” vibrano echi leopardiani: …nell’interrotto cammino/per i sentieri dell’essere, / senza divieti, / senza confini.
Ciò avviene più chiaramente in “Epilogo”: […] Anche il suo lungo vigilare/ ha un epilogo silenzioso, / come lo sfiorire delle rose/ sotto l’urgere del tempo. //Tanti sono gli alibi/ che annegano sogni e incanti, / fino a che inaspettatamente/ ti ritrovi solo in una quieta assoluta, / che assedia le acacie/ dopo la tempesta.
In “Come segnali” e in “Ulivi” troviamo il paesaggio salentino e il suo ambiente umano colti in una continua caleidoscopica sinestesia: suoni e silenzi; visioni di campi, brezze, sapori e profumi sparsi che fanno assomigliare la campagna salentina quasi a un’oasi utopica. Ma dalla Magna Grecia fino adesso il Salento è stato sempre una splendida realtà antropica per la sorprendente bellezza della natura ma anche per il duro lavoro dell’uomo che l’ha cesellata umanizzandola. Terra che attrae per le bellezze naturali, l’arte e l’atmosfera umana, per i prodotti della terra.
Infine le sinestesie e adombramenti di civiltà antiche e di storia, richiami di duro lavoro per fare della nostra terra un giardino si fanno amorevolmente più mordaci e più struggenti in “Ulivi”.
…Ulivi secolari sparsi nelle campagne/ del Salento dove inseguiamo/ sogni e segreti/ resi al sole da gioie/ solcate da rivoli di sudore// Svettanti nell’azzurro rimbombo/ del tuono, nel vento di novembre/ che ci porta l’eco delle voci/ dei nostri defunti;/ i venerandi ulivi/ il loro impero affermano/ su quest’angolo di terra rossa/ dove è scritto sulle zolle/ la storia dei padri e la nostra.
                                                                                                              Francesco Recchia
P.S. Nella cooperazione con la Polonia sono stati coinvolti l’Ambasciata, l’Istituto Cultura polacca di Roma e l’Ambasciata italiana, l’Istituto Cultura italiana di Gracovia.

lunedì 3 settembre 2018

IL CORAGGIO ASPETTO IMPORTANTE DEL COMPORTAMENTO UMANO


Del coraggio nel campo della psicologia non se ne parla abbastanza ed è un argomento di scarsa diffusione, proprio perché si predilige parlare del suo opposto: la paura.
 Ma che cos’è il coraggio?
 Secondo alcuni psicologi, il coraggio non è un oggetto qualsiasi che la natura ci elargisce già finito, ma è una possibilità che, in momenti diversi, deve essere prodotta e porre in azione su misura per le distinte circostanze.
 Diversi studi, infatti, danno prova che il coraggio inizia a rivelarsi già intorno agli 8 (otto) anni, allorquando i bambini incontrano le prime difficoltà nel loro ambiente familiare e sociale e sono costretti a trovare tattiche idonee per poterle risolvere. Esso è condizionato dall’affetto del legame parentale: due genitori che sollecitano il proprio figlio/a ad esaminare l’ambiente, a non temerlo e a non sovrapporsi alle sue scelte, daranno al figlio/a  gli strumenti idonei per far fronte alla vita senza farsi vincere dall’ansia.
 Nei nostri ambienti del coraggio non si parla tanto. Ciò nonostante, prima o poi ognuno di noi dovrà decidere di prelevare dal proprio coraggio o meno: quando un progetto non si realizza secondo le intenzioni e necessitano nuove energie per trovare nuove alternative, quando si incomincia un nuovo piano di lavoro con passione ma le difficoltà fanno venir voglia di abbandonare l’impresa, quando un rapporto affettivo muta per sempre e bisogna decidere di non insistere ma di smettere di inseguirlo, quando si diviene genitori e necessita adottare un sistema educativo malgrado le difficoltà  che esso richiede, quando si accertano situazioni che per un motivo o per un altro ci costringono a cambiare direzione.
 Diverse , quindi, sono le difficoltà quotidiane – qui riassunte in breve- - che bisogna evitare nel percorso della nostra vita. E soltanto  le persone coraggiose le accettano e scoprono la terapia giusta, i paurosi invece costruiscono alibi per restare nell’aria di benessere psicofisico.
 Inoltre colui che desidera diventare coraggioso deve lasciar da parte il pensiero che gli avvenimenti seguono sempre lo stesso modello e non  deve adagiarsi nella consuetudine e/o smarrirsi nella paura di osare, tenendo a mente che anche alla persona più fortunata prima o poi spetta il fallimento ma che si risolleva, esamina la circostanza, produce le adeguate modifiche di tattica e ripiglia il proprio cammino.
 Certamente il rialzarsi esige di accelerare, di far fronte al dolore psichico, alla fatica e alla disperazione. Una fatica difficile e dura che, chi si dà per vinto auto- compatendosi, camuffando la paura di ricominciare a discutere  e di affrontare i nuovi impegni, non deve assolutamente concludere.
 Nella società contemporanea l’essere coraggioso consiste sempre più in azioni esteriori tendenti all’apparire e/o all’avere e sempre meno all’espressione della propria peculiarità, che può aver luogo per l’assunzione di responsabilità delle proprie azioni, rinforzando e preservando esplicitamente, senza alcun timore le proprie idee anche a costo di ottenerne un danneggiamento.  Si predilige gradire e rincorrere le idee della folla o ameno non osteggiarle per poi autocompatirsi e ritenersi vittima di un mondo iniquo  che non potrà mai mutare.
Per concludere questa breve analisi, diciamo che il coraggio non è andare contro l’ostacolo, è invece osservarlo da un’angolazione diversa, e scoprire magari un passaggio segreto; a volte diventa l’innesco di un’evoluzione che, senza di esso, forse non si sarebbe mai raggiunta.   


martedì 28 agosto 2018

ELEMENTI BIOGRAFICI ED EMOTIVI nell'Opera ANIMA VAGABONDA di DANIELE GIANCANE


La nuova fatica letteraria di Daniele è un libro diverso da tanti altri volumi pubblicati in quest’ultimo decennio perché  mette insieme un’agile autobiografia e una silloge di versi. Ciò può sembrare un modello letterario inusitato. Invece è lo stesso autore che nell’autopresentazione userà parole di disarmante sincerità per definire il prodotto del suo spirito: ”E poi, specie nel mio caso, biografia e poesia coincidono”.
 Infatti la sua visione è attenta al recupero di un passato dove ricordi ed emozioni s’intrecciano quasi miracolosamente formando un tessuto semantico armonico e di un presente dove la realtà quotidiana confina con le aspettative del cuore, con i sentimenti più intimi.
 Arricchito da una convincente e articolata PREMESSA, il libro è diviso in due sezioni:  la prima AUTOBIOGRAFIA, raccoglie 9 (nove) pezzi di questo viaggio avventuroso; la seconda da una SILLOGE DI VERSI, comprende tre sezioni: LA FELICITA’ ED ALTRE STORIE, DOPO LA FINE e ULTIME.
 Dalla lettura analitica dell’ Anima vagabonda, emerge un Daniele Giancane impegnato a indagare nel suo archivio mentale, rivolgendo particolare attenzione verso personaggi, avvenimenti e ambienti che si correlano al proprio mondo interiore.
 Tale disposizione lo porta al recupero di un ambiente umano e naturale decisamente diverso da quello attuale, un modello circoscritto per certe caratteristiche, ma continuamente richiamato e vagheggiato, perché già in sostanza più genuino e più umano.
 È il motivo principale tracciato con preziosità idiomatica, con cui arricchisce i componimenti della raccolta intitolata AUTOBIOGRAFIA, dove, pur con qualche eccesso di sentimentalismo, si evidenzia il felice intuito creativo dell’autore di ricostruire atmosfere idilliache del passato, la figura della madre scomparsa […Io ero davvero piccino, lei  mi poneva  con sé nel lettone coniugale e mi raccontava[…], i sogni di bambino, la qualità e il calore dei rapporti con i maestri, il problema religioso, il rapporto con la politica, i gruppi di poesia, il giornalista, la letteratura dell’infanzia. Cito dalla Conclusione: ”Mi pare di aver fatto troppo. Anzi, che non sia davvero io quello che ha prodotto tanto. È stato un avatar, che ho seguito come un fratello maggiore. Un cammino che non è ancora finito”.
 Da quanto detto possiamo rilevare che la ricerca di una identità ottenibile e praticabile, la volontà di riconoscersi in ciò che autentico e umano sono diagnosticati e descritti dallo scrittore con energia di pensiero e di emozioni.
 E così accanto al Daniele Giancane che abbiamo imparato con vivo piacere a conoscere come uomo che si serve della psicologia del profondo per dare visibilità a tutti gli elementi culturali custoditi nella sua mente, esiste un altro di grande sensibilità e immaginazione che si rivela in certi componimenti i cui versi ci danno immediatamente la chiave per interpretare le sue emozioni e i suoi sentimenti.
 Tuttavia, per poter entrare in questo microcosmo costruito ad arte e dare un senso alle possibili aperture necessita essere in consonanza con la voce interiore dell’autore. Quindi, per poter svelare e rendere concreti i suoi pensieri, le sue intenzioni bisogna attraversare con serena attenzione quelli che sembrano i punti più importanti della raccolta e le realistiche chiavi di lettura.
 Seguendo questo itinerario interpretativo, possiamo rilevare che le emozioni e i sentimenti sorgono senza interruzione come in un monologo, di verso in verso con un ritmo serrato, con una voce cristallina e dolce che invita a riflettere sulla realtà offerta all’ occhio vigile dell’essere pensante. È il caso della felicità percepita non come benessere materiale ma un cammino della crescita evolutiva dell’umano verso uno stato di totalità, dove la felicità riconquista la sua dimensione di umano come tale.
 Fermiamoci un attimo su alcuni esempi:
Perché sono felice?
 Perché non ho rimorsi
o rimpianti: avrei potuto,
se la vita fosse andata in altro modo…
se avessi incontrato questo o quello,
se la fortuna mi fosse stata più amica.[…].
e ancora:
Forse è questa atarassia la felicità.
  Il desiderio di non fare nulla
 che porti a qualche fine
(ci sarà una fine, un principio?) […]”.
Segue:
“[…] Alla fine la vinsi ( a più tardi mi dette
        appuntamento)
       ed io fui felice del pericolo scampato”.
Il tono intimo che caratterizzano gli esempi poetici seguenti, non offrono un mondo particolare di rifugiarsi, ma di indicare gli aspetti luminosi dell’ambiente umano, in cui i vari sentimenti s’intrecciano in modo definitivo e la poesia diventa così riflesso della realtà autobiografica e realizzazione di una precisa scelta poetica.
 Il tema dell’amore è il filo costante della raccolta. Il sentimento cantato da Daniele è un amore vero, sincero, quello che ci rende la luce del mattino più splendente di quella che è.
Ama adesso, non dire: lo farò domani,
 oggi sono troppo stanco per regalarmi un po’.
Ama adesso, non rinviare a tempi migliori […]”;
e con tonalità più vibratili:
Tremendo è l’amore!
dai primi fruscii in cui avverti
uno spirito divino alitarti in corpo,
il mondo è luce che stordisce […].
[…] Tremendo, oh sì tremendo è l’amore!”.
Nella raccolta trapelano anche note che comunicano qualche disagio esistenziale:
Come in una nebbia ora discorro del tempo e del lampo:
  sarà il poeta un fingitore o un tenue viaggiatore
  per bizzarri itinerari sempre fuori mano, non
 percorsi da radi mistici e pastori? […]”;
e con convinta solidarietà umana:
“[…] Torno a marciare al fianco dei senza- nulla, alle
         donne infibulate,
         ai gay martoriati, agli sfruttati, ai nuovi schiavi
         nei nostri civilissimi Paesi occidentali […]”.
Infine, in Spoon River Tutto Mio l’autore rivela il bisogno naturale di un continuo contatto umano, la necessità di stabilire un’intensa comunicazione interpersonale, alla
madre scrive:
(Domanda) Perché non mi parli? Perché non mi
   appari
  in un sia pur tenue sogno? […]”.
A un maestro chiede:
Dove sei Maestro? Sei, poi, approdato a
“I Campi Elisei? […]”.
 Dal punto di vista sentimentale, è interessante questa silloge in cui troviamo i rimpianti, le gioie e gli sguardi affettivi e spirituali dei vari personaggi, legati all’autore da vincoli di parentela o di amicizia.
 Allora, nella consapevolezza di trasmettere alle generazioni contemporanee e future degli avvenimenti carichi di elementi autobiografici ed emotivi, Daniele Giancane compie efficacemente l’opera di trasmissione dell’impegno culturale in narrativa  ma anche in documento su cui riflettere,  attraverso uno stile agile ed elegante.
                                                                  Enrico Castrovilli