lunedì 16 maggio 2016

L'INVIDIA UNA EMOZIONE DA GESTIRE

Nella società tecnologica, come la nostra contemporanea, in cui l’individualismo è l’icona, segno visivo di una realtà esterna, caratterizzata da egoismo, da eccessiva considerazione di sé, l’invidia trova terreno fertile per alimentarsi e svilupparsi.
 Che cosa è l’invidia?
 Tralasciando le teorie bioneurologiche, dal punto di vista psicologico l’invidia è una emozione spiacevole, spesso penosa, caratterizzata da inferiorità, ostilità e risentimenti, che a origine falla presa di coscienza che un’altra persona o un gruppo di persone posseggano un bene ambito – oggetto, posizione sociale, titolo o qualità professionale. Insomma, è una motivazione, un desiderio di qualcosa posseduta da un altro.
 Dal punto di vista sociale, l’acido corrosivo dell’invidia distrugge il tessuto sociale.
 L’invidia è una emozione nota sin dall’antichità e su di essa si è riflettuto e scritto tanto. Tra le tante testimonianze, in questo discorso riporto in sintesi l’intervento dell’Apostolo Paolo che si lamentava di alcune persone che:
 <<[…] predicano Cristo anche per invidia e per rivalità>>, (Filippesi 1:15,18),
e l’incontro di Dante con gli invidiosi (43-72) del XIII Canto del Purgatorio.
  Il poeta è molto colpito dalla pena degli invidiosi, tanto che non crede  ci sia uomo così duro da non  esserne commosso: infatti, quando li vede meglio, è costretto a versare lacrime.
 Oggi, più di ieri, è importante  ritornare a parlare dell’invidia, perché a differenza di altre emozioni negative - quali tristezza, angoscia, collera, vergogna, disagio – che oscurano la nostra parte razionale ( che però non vanno eliminate ma gestite) è una emozione che danneggia tutti, chi la prova e chi la subisce.
 Se, quindi, è una emozione sorretta da un mega e distruttivo egocentrismo, l’invidia amareggia l’esistenza. Ma non è tanto il voler avere ciò che l’altra persona possiede   in talenti e qualità, è l’odio per quello che l’altro ha oppure rappresenta.
 La persona che invidia un’altra carismatica, ricca di passione e ingegno, amata da molti conoscenti del proprio ambiente, che fa le cose non per mettersi un mostra ma per piacere, non si accontenta di rodersi dentro, ma semina calunnia, desidera distruggere i pregi dell’altro.
 L’invidia si alimenta di risentimento. Si insinua nella pretesa che ciascuno ha di valere qualcosa a se stesso e agli occhi degli altri.
 L’invidioso sminuisce i successi altrui e li attribuisce alla fortuna o al caso o sostiene che siano frutto di ingiustizia. La professionalità e l’entusiasmo altrui sono fonte di personale frustrazione.
 Si può trasformare l’invidia, o in genere una emozione negativa in positiva?
 Secondo la psicologia si può, avendo a disposizione grande forza di volontà ed energia psichica per non identificarsi con l’emozione negativa quando in modo autonomo si instaura.

 A questo punto bisogna riconoscere la causa della sua presenza che non è esterna ma è tutta interna a noi, per cui per trasformarla e gestirla bisogna adottare  una intensa e assidua meditazione ( intesa quest’ultima come una profonda riflessione della mente atta a ricercare la ragione di questa autonoma e improvvisa  intrusione).  

venerdì 6 maggio 2016

L'EMOZIONE NELL'EDUCAZIONE

Nel corso di questi ultimi anni, abbiamo avuto modo di cogliere e di apprezzare l’importanza che i vari studiosi, dalle neuroscienze alla pedagogia e psicologia,  danno all’emergere dei sentimenti e delle emozioni dei discenti – bambini ed adolescenti -, legati al mondo della scuola, siano essi in riferimento ai rapporti sociali – con i compagni – o vincolati al loro percorso di apprendimento.
 Attualmente, oltre agli interventi dei vari ricercatori e ai suggerimenti della Riforma “Educazione alla salute” che indicano:<<Comprendere che l’uomo si deve confrontare con i limiti della propria salute ed elaborarli, integrandoli nella propria personalità>>, (www.istituzione.it) la scuola è diventata un luogo privilegiato per  lo sviluppo di corsi di alfabetizzazione emozionale e sia per l’apprendimento in senso specifico.
 Per moltissimo tempo il predominio della tradizione cartesiana, che ha considerato la chiarezza e la lucidità come criteri indiscussi di verità, ha caratterizzato non solo l’ambito filosofico e psicologico, ma anche quello pedagogico, dove a lungo il mondo dei sentimento e stato ignorato, parte importante della formazione, privilegiando lo sviluppo delle attività mentali piuttosto di quelle del cuore.
 La svolta in direzione di una rivisitazione di questo collaudato e rigido modello è giunta grazie al contributo sia delle neuroscienze, che hanno consentito di realizzare una nuova mappatura neuronale delle relazioni tra cervello e cuore, sia dalla psicologia e dalla pedagogia, che hanno realizzato e proposto un nuovo metodo di tipo umanistico alla conoscenza dell’essere umano.
 Una scuola, quindi, - come anche la famiglia - più attenta all’educazione del cuore può trarre alimento e nutrimento dalle emozioni e dai sentimenti, per orientare le ricerche, gli scopi, le direzioni di senso dell’esistenza umana.
 Educare bambini e adolescenti alle emozioni e ai sentimenti non significa insegnare a ignorare o a negare le tendenze istintive, a tacere le varie emozioni, a inibire quei particolari stati d’animo che possono impedire il corretto svolgimento delle attività intellettive. Secondo i nuovi orientamenti pedagogici, il compito educativo principale si realizza nell’accompagnare il discente ad assegnare un ruolo significativo alla vita emotiva nella sua esistenza, assumendosene la totale responsabilità.
   Va da sé che la scuola non si deve impegnare di trovare nella sua azione didattica soltanto strumenti idonei che facciano di sostegno allo sviluppo cognitivo, ma anche di reperire le abilità che favoriscano le competenze emotive, quali l’espressività, la comprensione e la regolazione delle emozioni (capacità, queste, che analizzeremo in un prossimo intervento).
 Gli insegnamenti emozionali appresi durate il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza possono dare tonalità adeguate alle nostre risposte emozionali. Convogliare le emozioni con lo scopo di conseguire un fine produttivo raffigura la via maestra che guiderà l’essere umano ad esprimere le proprie emozioni con intelligenza. È necessario intervenire nel modo in cui, gli educatori tutti, preparano i discenti alla vita: ma devono iniziare dai banchi della scuola a insegnare l’autocontrollo, l’autoconsapevolezza e l’ascolto dei bisogni altrui (Goleman 1996).
  
 Allora bisogna progettare interventi didattici che tengano in considerazione il ruolo che l’emozione (positiva o negativa) ha nell’attività educativa come la memoria, l’attenzione, il pensiero, e  quindi anche essa influenza l’apprendimento.
 Questo evento, secondo i ricercatori, dipende dall’attivazione di diversi fattori, tra cui citiamo: a) al momento di richiamare un apprendimento la sintonia emotiva nella quale siamo in quel momento consente l’attivazione della stessa rete neurale che ha memorizzato l’apprendimento; b) nuove emozioni consentono di creare altrettanti modelli comportamentali per le  persone.
 D’altronde, un apprendimento realizzato solo sul piano cognitivo astratto rimane distante dal contatto con la realtà e con l’esperienza diretta. Esso non raggiunge un sufficiente apporto neuronale di memorizzazione sufficiente per essere ricordato nel tempo. O meglio, la memorizzazione avviene, ma ha scarse probabilità di stabilire collegamenti con altre reti neuronali e, quindi, non avrà energia per essere ritrovata in un momento successivo.

 A questo punto possiamo concludere dicendo che se le emozioni sono in stretta dipendenza con la conoscenza, allora è fondamentale trattarle all’interno delle aule scolastiche, che sono sicuramente un ambito idoneo in cui bambini e adolescenti hanno l’opportunità di sentire e di vivere le varie emozioni.