giovedì 18 dicembre 2014

RACCONTI SOTTO L'ALBERO

                                                         LA FUGA 
In quel pomeriggio di fine dicembre, tutta la gente sembrava che si fosse riversata nelle strade della città alla ricerca dei regali natalizi da comprare e da mettere sotto l’albero. La neve superava i dieci centimetri e le persone si muovevano goffamente, come tanti soldatini del tiro a segno. Agli incroci stradali gli ingorghi delle macchine superavano quelli dei giorni precedenti, sicché il fracasso dei clacson era assordante.
 Viviana se ne andava lentamente; fissava con i suoi occhi verde-mare le vetrine dei negozi addobbate, dove fasci di luci colorate si sovrapponevano dando luogo a un intrigante e misterioso gioco di ombre.
 In questo ambiente fantasmagorico gli abiti, le scarpe e altri mille oggetti diventavano ora verdi, ora gialli, ora rossi, ora…Era uno spettacolo bello a vedere, ma Viviana era indifferente, aveva altro per la testa. Proprio la mattina di quel giorno si era allontanata da casa perché stanca di ascoltare i soliti rimbrotti dei genitori. Papà e mamma la consideravano una ragazza immatura.
 Ma Viviana a giugno scorso aveva compiuto quindi anni e, a suo dire, era già tempo di non seguire più alla lettera i piccoli-grandi rimbrotti quotidiani dei genitori. Ciò che le dava più fastidio era l’imposizione di un certo modello di vita: frequenta le lezioni della danza classica, indossa quel vestito, comportanti come una donna, non frequentare certe compagnie, non ti ritirare tardi, fai i compiti, a tavola alle…uffa!.. uffaaa!!, non la finivano mai. Non li sopportava più. Così decise di fuggire, di andare lontano.
 Si era fermata un attimo a specchiarsi in una vetrina per controllare se i lunghi capelli neri, i pantaloni larghi di jeans, il suo giaccone a pois e il foulard attorcigliato al collo alla maniera della cantante Alice fossero in ordine, quando si avvicinò una ragazza, più o meno della stessa età, chiedendole qualche moneta.
<<Mi piacerebbe sapere a cosa ti serve questa richiesta di denaro>> le chiese, con un tono di voce poco conciliante.
<<Veramente>> esitò la ragazza <<non so da dove incominciare. La mia è una  lunga storia di miseria, di povertà>>.
<< Miseria, povertà, mi vuoi prendere in giro? Forse i soldi ti servono per acquistare d..>> s’interruppe.
<<Osservami, ho forse l’aspetto di una ragazza in cerca di piaceri? Credimi, non è facile spiegare i motivi che costrinsero la nostra famiglia a vivere alla periferia della città, in una baracca costruita alla meglio con assi di legno, lamiere e cartoni pubblicitari. Mio padre partì in cerca di lavoro e non è più ritornato, la mamma  è invalida,  nessuno ci aiuta, a volte qualche indumento o pasto alla mensa della Caritas, ma siamo in tanti a mangiare e vestirci.>>.
 La ragazza sembrava infreddolita e stanca, e Viviana non volle assillarla con altre domande. La guardò con uno sguardo penetrante. Le sembrò gracile e bisognevole di aiuto, tanto bisognevole che la sua immagine era l’esatto contrario delle strade addobbate e  accoglienti e delle persone in giro  con aria divertita a comprare regali.
 La mendicante abbassò lo sguardo e attese un segno d’affetto. Allora Viviana le prese la mano e la strinse tra le sue. La ragazza alzò gli occhi e gli sguardi si incrociarono in una zona illuminata.
  <<Ho pochi spiccioli in tasca, ma cosa posso fare per te?>> domandò Viviana. Seguì una breve pausa.
<<Qualcosa potresti fare>> rispose la mendicante, coprendosi i capelli che si erano irrigiditi per l’aria pungente. <<andare insieme a casa tua a prendere vestiario e cibo da  portare ai mie fratelli>>.
 Viviana ammutolì, non pensava certo di ritornare così presto dai suoi genitori. Ispirò a lungo gonfiando il petto, come per un tuffo in piscina; che buffa situazione si era creata. Poi, pensò che forse questa spiacevole storia di miseria poteva in qualche modo collegarsi alla sua scappatella  dalla casa paterna. Insomma, la richiesta della mendicante poteva essere una buona ragione per dimenticare tutto il passato. Sì, era una ragione sufficiente per fare ritorno a casa.
 <<Andiamo>> disse, con voce che non lasciava dubbi  sul significato che lei voleva dare alla parola.
 Quella sera, terminata la cena, Viviana chiese per la prima volta il permesso di alzarsi da tavola per andare a letto. Si sentiva stanca per il lungo girovagare in cerca di ritrovare la pace interiore. Si addormentò col pensiero rivolto alla mendicante, alle strade addobbate, alle persone con le borse colme di regali, al tepore della sua casa, all’affetto dei genitori e fece un sogno misterioso di fughe e di magici ritorni, che non riuscì mai a raccontare.
                                                                                               E. C.

martedì 9 dicembre 2014

Ettore Catalano, STRATEGIE DI SCRITTURA NELLA LETTERATURA ITALIANA, Pregedit, 2013.

Appena mi giunse, spedita dell’editrice barese, la copia del libro di Ettore Catalano, rimasi colpito da due elementi ben evidenti: la veste tipografica e il titolo del saggio. Del primo dirò che, fedele al contenuto, la splendida  copertina  offre  ai lettori sia  una apprezzabile grafia che  la particolare qualità dell’immagine tratta da un dipinto di Giuseppe  Arcimboldi, “Terra” (1570). Si tratta della ricostruzione della parte superiore del corpo umano, con una serie di teste ritratte con colori vivaci di animali tra di loro incastrate ad arte, tale da riprodurre quasi fedelmente i caratteri somatici di un uomo; il tutto su uno sfondo monocromato brillante. Del secondo, ritengo opportuno soffermare più a lungo la mia attenzione analitica, perché mi coinvolge  per il modello metodologico,  per i segni semantici, per le fonti documentarie, per i ritmi psicologici, in un clima di profondo scavo nei labirinti della mia memoria.
  La lettura del titolo, “Strategie di scrittura”,  mi prese quasi per mano e mi indusse a ritornare indietro nel passato, a scrutarmi dentro e d’intorno con occhio analitico. Il risultato di questo straordinario avvenimento psichico fu quello di ritrovarmi seduto sui banchi dell’università a seguire le lezioni di storia della letteratura italiana tenute negli anni fine’60/’70. In quel particolare periodo di studio e di apprendimento, a noi studenti  venivano impartite lezioni su come si è raccontato il Novecento, secolo delle avanguardie e delle crisi permanenti, attraverso le sue strategie inconsce  (Svevo) e intenzionali (Pirandello), le tecniche di gruppo (realismo magico di Bontempelli), i creatori di miti (Debenedetti),  tanto per citarne alcune.
   Dall’incipit ora passiamo ad analizzare il contenuto del libro, <<articolato in ventidue interventi dotati tutti di una necessaria intitolazione>> ,  che coprono un arco di tempo di secoli che va dal XIII al  XXI secolo; un lungo, articolato e pericoloso sentiero proprio perché presenta  una serie di difficoltà oggettive derivate non solo dalle metamorfosi della  scrittura letteraria italiana ma anche  dal reale rischio di <<parlare di un autore su cui spesso si sorvola con uno scettico sorriso sulle sue prove letterarie>>.
   Il primo attore ad entrare in scena è Dante Alighieri, un poeta che vive ed eredita tutti i problemi del suo tempo; tuttavia sa cogliere l’equilibrio necessario per dare corpo e visibilità alla sua creatività  attraverso la strategia di rielaborazione di una lingua per i fini propri della cultura e dell’arte. Seguendo questa scia, sul nostro cammino incontriamo il V canto dell’Inferno, qui notiamo  <<la pena di Dante>> entrato nel cerchio del maggior dolore e il flusso dei sentimenti di Ettore  Catalano che si appresta  a raccontare  l’episodio di Paolo e Francesca, <<una raffinata  cronaca di amore e di morte, di passione e di lutto>>. Memorabili sono alcuni versi scritti con buon gusto, riservatezza e suggestione:”Amor, cl’al cor gentil ratto s’apprende…Amor, ch’a nullo amato amar pedona…Amor condusse noi ad una morte”. L’anafora, dice Catalano,  non rappresenta solo le colte letture  di Francesca quanto il mezzo per coinvolgere e commuovere l’ascoltatore.       
    Nel X canto, gli eretici; qui l’autore si concentra soprattutto sull’analisi dell’epiteto <<magnanimo>> con cui Farinata degli Uberti viene descritto dal poeta dal verso 73 a 75:”Ma quell’altro magnanimo, a cui posta/ restato m’era, non mutò aspetto/, né mosse collo, né piegò sua costa…
  Nell’analisi del XXVI canto, Catalano evidenza una serie di avvenimenti tra cui sottolinea il <<folle volo>>  di Ulisse, il <<fandi fictor>> citando il lettore medievale, che, convinti  con parole  costruite i compagni di viaggio, li condurrà oltre la conoscenza del limite. Anche qui, avverte  l’autore<<come per Francesca e Farinata ogni esegesi di tipo romantica, pur suggestiva che possa sembrare, non coglie la complessità storica della poesia dantesca.>>.
   Sulla spiaggia del Purgatorio  i due poeti incontrano Aristotele e Platone cui Virgilio <<chinò la fronte>> v.44 del III canto , quale segno più evidente e consistete della nuova qualità <<contestuale>> del secondo regno,  e proseguendo il cammino verso il monte, tra un gruppo di anime si manifesta  quella di Manfredi <<Io son Manfredi>> v .112, rispose a Dante che, con un mutato tono e qualità di eloquio, disse di non averlo mai visto. Poi, re Manfredi confessò <<Orribil furon li peccati miei/ ma la bontà divina ha sì gran braccia/ che prende ciò che si rivolge a lei>> vv.121-122.  III canto del Purgatorio.   
   Nel VI canto del Purgatorio Dante incontra il poeta e l’oratore politico Sordello, censore e giudice severo della decadenza italiana. A Sordello è infatti ispirata l’inventiva famosa di Dante contro l’Italia politica del tempo:”Ahi serva Italia, di dolore ostello/ nave senza nocchiero in gran tempesta/ non donna di provincia, ma bordello” vv,76-126, <<documento alto e nobile della passione politica di Dante e insieme testo che ne segna i limiti  marcatamente medievali che, solo pochi anni dopo, la cultura umanistica guarderà con sufficienza>>.
Nella lettura dell’XI canto Catalano rileva che il Pater noster di Dante, recitato dal coro delle anime purganti, <<è qui rappresentato dal vangelo di Matteo (usato  dalla tradizione liturgica della Chiesa)  e non di Luca (più sintetico)>>. Seguono riflessioni dove rinveniamo un richiamo al Dio misericordioso e atti di contrizioni. Inoltre dal gruppo dei superbi, curvi e contratti sotto il peso delle pietre, escono la voce del conte Oberto Aldobrandeschi, che occupa la parte centrale del canto, e quella del miniatore Oderisi da Gubbio, che si distende sino alla fine del canto.
  Per Vincenzo Monti, Ettore Catalano affida il compito di leggere le opere letterarie del poeta di Alfonsine in Romagna al critico Cesare Angelini. Angelini nel ricostruire la biografia di Monti apprezza sì le sue doti letterarie ma non mancano anche pagine <<più dure e risentite>> , cioè gli rimprovera quel disinvolto comportamento di scrivere su commissione. Un tale umano agire <<non fu in lui mai frutto di egoismo e di cinismo dispregiatore  di ogni ideale e di ogni coerenza..(ma) fu il suo smanioso bisogno di rimanere alla ribalta…>>, dice Mario Sansone, (Storia della Letteratura Italiana pag.397).
  Catalano passa all’analisi delle opere di Massimo D’Azeglio immergendosi soprattutto nel romanzo storico Ettore Fieramosca, una storia ispirata ad una <<visione ottimistica e pragmatica, antiregolistica, che ne faceva esempio unico>> e caratterizzata da <<un rilevante esempio di scrittura innervata  da una progettualità politica, moderata nel suo profondo, ma sorretta da un afflato plurale e razionale>>.
  Figlia della <<vacanza>> creativa di Ettore Catalano è l’opera  <<Ulisse, signore degli inganni>>, <<una rilettura intertestuale dell’Odissea>>.
  Parlando ora del rapporto sentimentale tra Luigi Pirandello e Marta Abba, a  Ettore Catalano non interessa rilevare <<con pignola e indiscreta mondanità, il profilo di una storia d’amore quanto mai affascinate nella sua lacerante negatività: piuttosto vorrei descrivere le ricadute teatrali di quella passione <<platonica>> sulle linee portanti della costruzione drammaturgica pirandelliana>>, eseguita con puntualità e gusto.
 Credenze fantasiose, di<<il vero insegnamento pirandelliano, il più convincente e straziato lascito testamentario: una quotidiana fatica critica  che interpreta così la sofferenza dell’uomo e l’eterna tortura della maschera in cui l’uomo si era meta-teatralmente  identificato, traducendola in simboli e in sogni, in musica, in amore…>>.
  Siciliano era anche Elio Vittorini, un autore cui Catalano dedica particolare attenzione critica. In questo volume, Vittorini è presente con due saggi: <<L’edizione illustrata di Conversazioni in Sicilia e Il Radicalismo di Vittorini>>. Nell’intento dell’autore, l’edizione illustrata  di Conversazioni <<era simile a quello di un regista cinematografico, attento al rapporto complessivo tra testo e contenuto materiale delle foto>>. Analizzando il Radicalismo, Catalano afferma che <<dall’iniziale e giovanile rivolta antiborghese e antiproprietaria alla maturità dello scrittore e dell’editor, fino alla tensiva modernità ha sempre esibito un radicalismo intellettuale che forse gli ha impedito di mediare tra le sue posizioni e quelle del suo interlocutore…>>. 
  Tra questi autori inseriti nel saggio, troviamo anche due amici scrittori e poeti, Raffaele Nigro, lucano di nascita e pugliese d’adozione, e il foggiano Cristanziano Serricchio. A Nigro Catalano dedica tre saggi brevi:<<Forma del carcere e prigione delle forme nella recente produzione di Raffale Nigro; Saga Familiare, Cantari e Contemporaneità  in “Santa Maria delle battaglie; Una storia dolcissima  ma molto triste. Gli elefanti bianchi di Raffaele Nigro>>, a Serricchio  un saggio breve <<Il piccolo faro e la luna gigante>> e una epistola <<Carissimo Ettore…>>. Per vie diverse ma da entrambi Catalano ha saputo cogliere vivi frammenti dai nuovi modi di vivere e di pensare con i loro racconti di un realismo magico densi di credenze fantasiose, di saghe, di miti mediterranei, e le numerose suggestioni della profonda tristezza di vivere e di inventare storie per sopravvivere.
   Concludono Andrea Pazienza con <<Il sapore vitale della contraddizione. Una testimonianza critica>>: tratta delle straordinarie avventure di Pentothal in cui si rilevano lo sconvolgimento dei linguaggi artistici, l’onirismo e le pulsioni distruttive e  Antonio Caiulo con <<La verità del buio>>, una storia inquieta di un amore che divide e lacera.
  Il lungo e pericoloso cammino critico del Prof.re Ettore Catalano termina qui. Posso solo aggiungere che ho redatto il profilo letterario di << Strategie di scrittura nella letteratura italiana><, per quanto mi è stato possibile per la qualità e la ricchezza del materiale critico esaminato, che armonizza echi diversi, permettendo ai giovani studenti che si apprestano allo studio della letteratura italiana e alle persone che amano cimentarsi con la scrittura creativa di cogliere  la profondità della parola, che con inavvertibile levità procede da un argomento ad un altro, da un’immagine alla successiva. 
                                                                                                               Enrico Castrovilli
STRATEGIE

giovedì 4 dicembre 2014

LIBRI-libri

Storia di una ladra di libri, di Markus Zusak.
Sinossi
È il 1939 nella Germania nazista. Tutto il paese è col fiato sospeso. La Morte non ha mai avuti tanto da fare, ed è solo l’inizio. Il giorno del funerale del suo fratellino, Liesel Meminger raccoglie un oggetto seminascosto nella neve, qualcosa di sconosciuto e confortante al tempo stesso, un libricino abbandonato lì, forse, o dimenticato dai custodi del minuscolo cimitero. Liesel  non ci pensa due volte, le pare un segno, la prova tangibile di un ricordo per il futuro: lo ruba e lo porta con sé. Così comincia la storia della piccola ladra, la storia d’amore di Liesel con i libri e con le parole, che per lei diventano un talismano contro l’orrore che la circonda. Grazie al padre adottivo impara a leggere e ben presto si fa più esperta e temeraria: prima strappa i libri ai righi nazisti perché “ai tedeschi piaceva bruciare cose. Negozi, sinagoghe, case e libri”, poi li sottrae dalla biblioteca della moglie del sindaco, e interviene tutte le volte che ce n’è uno in pericolo. Lei li salva, come farebbe con qualsiasi creatura. Ma i tempi si fanno più difficili. Quando la famiglia putativa di Liesel nasconde un ebreo in cantina, il mondo della ragazzina all’improvviso diventa più piccolo. E, al contempo, più vasto.
Nota critica
Di tanta letteratura straniera tradotta e pubblicata in quest’ultimo periodo in Italia, ho preferito recensire questo romanzo perché la sua storia molto bella e interessante, raccontata con un linguaggio semplice ma articolato, mi ha coinvolto emotivamente. Certamente è un libro stupendo dove le parole hanno la capacità di dare nutrimento allo spirito, dove la Morte, presenza costante tra gli uomini, è soggetto narrante, dove non c’è spazio per l’ansia dell’attesa, dove non mancano i dolori, le ferite dell’anima e le tragedie. Insomma è una vicenda che supera in sensibilità la cruda realtà del momento storico e penetra con lievità nell’anima, quasi doveroso inno alla vita e al potere eterno della parola.
                                                                                              E.C.   

 

 

 

sabato 15 novembre 2014

LIBRI-libri

LA GEMELLA H di Giorgio Falco
  Sinossi
Negli anni Trenta Hans e Maria Hinner vivono a Bokburg, vicino Monaco. Lui dirige il giornale locale, lei fa la moglie del direttore. Hanno due gemelle, Hilde e Helga. È il loro sguardo a raccontare la vita quotidiana, le gite al lago con il cane Blondi, le frustrazioni economiche, le meschinità degli Hinner. Hans invidia il vicino ebreo che possiede una casa più grande e una Mercedes, mentre lui ha comprato a rate una Opel. Il rancore verso Kaumann sfocia nell'acquisto dei suoi beni, quando grazie alle leggi razziali sono confiscati e messi all'asta. Questo acquisto innesca una serie di speculazioni immobiliari che accompagnano tutta la vita degli Hinner, anche in Italia, dove si trasferiscono durante la guerra. Mentre Hilde, nel Dopoguerra, inizia a lavorare come commessa alla Rinascente, Helga segue il padre a Milano Marittima, dove comprano un albergo, frequentato soprattutto da turisti tedeschi. Nella Riviera Romagnola del '51, in un'estate di passaggio tra i segni del fascismo e le tracce del boom turistico imminente, l'Hotel Sand diventa il monumento alla rimozione collettiva di italiani e tedeschi, uno spaccato del rapporto tra due popoli, e della nostra Storia.
  Nota critica
In questo nuovo lavoro, Falco ci racconta, con parole che vibrano fino a toccare le corde delle nostre più intime emozioni, un intricato intreccio tra gli avvenimenti di un preciso periodo storico del nostro Novecento e gli instabili equilibri psicoaffettivi di una famiglia che dalla Germania di Hitler giunge i Italia. Apparentemente complessa, le vicende si sviluppano su due piani paralleli. Sul primo  prende visibilità l’analisi particolare della famiglia attraverso la minuziosa presa in considerazione di alcuni elementi  del sistema relazionale dei componenti quali, l’intimità della coppia, la tenerezza dei sapori culinari semplici, il conflitto tra le gemelle, la presenza di Blondi che incarna sei generazioni canine con lo stesso nome, la sofferenza di un male incurabile ma anche storie di innamoramenti sulla riviera romagnola; sul secondo, l’autore prende in considerazione un mondo disperso in un profondo grigiore esistenziale, un ambiente umano che sembra avere messo nel dimenticatoio il passato e  ora invece  s’interessa di crescita o decrescita economica, di speculazione edilizia, di benessere merceologico di passare  il tempo a divertirsi e a spendere. È l’inizio  del deserto emotivo, dell’era del consumismo sfrenato dove col dio denaro tutto si può compare anche gli affetti.                                                                                                                 E.C.

 

sabato 1 novembre 2014

LIBRI-libri


               LA FEROCIA di Nicola Lagioia
Sinossi
In una calda notte di primavera, una giovane donna cammina nel centro esatto della strada provinciale. È nuda e coperta di sangue. A stagliarla nel buio, i fari di un camion sparati su di lei. Quando, poche ore dopo, verrà ritrovata morta ai piedi di un autosilo, la sua identità verrà finalmente alla luce: è Clara Salvemini, prima figlia della più influente famiglia di costruttori locali. Per tutti è un suicidio. Ma le cose sono davvero andate cosi? Cosa legava Clara agli affari di suo padre? E il rapporto che la unisce ai tre fratelli - in particolare quello con Michele, l'ombroso, il diverso, il ribelle - può aver giocato un ruolo determinante nella sua morte? Le ville della ricca periferia barese, i declivi di ogni rapida ascesa sociale, una galleria di personaggi indimenticabili, le tensioni di una famiglia in bilico tra splendore e disastro: utilizzando le forme del noir, del gotico, del racconto familiare, scandite da un ritmo serrato e da una galleria di personaggi e di sguardi che spostano continuamente il cuore dell'azione, Nicola Lagioia mette in scena il grande dramma degli anni che stiamo vivendo.
 Nota critica
  Il nuovo romanzo dell’autore pugliese, in una scrittura libera da fronzoli letterari e con immagini vivide, traccia, con pennellate sapienti, il profilo psicologico dei componenti di una famiglia meridionale travolta dal desiderio di voler acquisire potere attraverso l’uso del denaro. In questo ambiente, dove l’ambizione dei genitori troneggia a discapito del sentimento amoroso, i figli sviluppano tra di loro un comportamento affettivo controverso.
  Pur presentando un titolo di un tratto caratteristico attribuito agli animali selvatici, in questo dramma la ferocia è un comportamento aggressivo adottato quotidianamente dagli uomini per la conquista del potere. Tuttavia,  un’attenta analisi della realtà descritta di Lagioia, mette in evidenza non il carattere crudele, bensì  la fragilità emotiva degli umani.
                                                                                     E.C.

venerdì 17 ottobre 2014

LO SMEMORATO

  A proposito di nomi, non ricordo più il mio, né la mia professione, né da dove provengo; nulla insomma, come se la mia mente fosse ritornata ai tempi della mia prima infanzia. Ogni tanto tra le strutture dei miei neuroni ronzano nomi vari che, come impulsi elettrici, accendono la lampada della ideazione illuminando per attimi il buio pesto della mente; ma poi il solito “clic” del misterioso interruttore mentale interrompe il momentaneo incantesimo e il mostro nero ritorna a coprire le vie nervose intasate da scorie organiche.
   Sta di fatto che mi trovo in un centro di malattie mentali della Capitale – un palazzo sei o settecentesco immerso in un misto verde che mi pare finto, tanto è stretto nella morsa di cemento che da ogni dove lo circonda – in compagnia di ogni sorta di rifiuti umani; esseri che non hanno più nulla di vivo, anche se sono vivi tra esseri viventi.
   Io, in questo posto di apparente tranquillità e benessere fisico, non ero venuto con le mie gambe. Quel aguzzino-amico di Gianni, il capo sala, un misto quasi confuso di franca e sincera solidarietà per i dolori umani e di scrupolosa osservanza delle terapie fisiche non sempre salutari per i pazienti, aveva detto che alcuni soccorritori mi avevano portato in quel nosocomio con un’ambulanza della Croce Verde, con la testa rotta e in preda a un grave shock psichico, dopo che i pompieri, aperto un varco con la fiamma ossidrica, mi avevano raccolto tra le lamiere contorte di una carrozza ferroviaria che si era rovesciata in una scarpata in seguito a non so quale causa.
   Ma cosa ci stavo a fare su quel treno? Da dove provenivo e dove ero diretto? Ma, soprattutto, perché non si trovavano i miei documenti?
 Sicuramente dovevo portare con me un bagaglio o una borsa o una giacca col portafoglio. “Non se lo ricorda? Nooo?”, mi ripeteva il professore Verdone, direttore dell’ospedale psichiatrico, nei colloqui terapeutici.
   Certamente il professore aveva ragione; quando un individuo viaggia si porta dietro se non un grosso bagaglio almeno la valigetta ventiquattr’ore con lo stretto necessario; ma nella mia mente c’era tanta confusione e per quanti tentativi facessi nei meandri del cervello non scorgevo altro che mucchi di immagini di poveri dementi incappati nella trappola di un paradiso senza ritorno. Inutile spremere le meningi, oltre a quel branco silenzioso, a volte agitato, di dannati che mi giravano continuamente intorno mai sazi d’osservarmi, come per dire: beato lui che ha perso l’uso della memoria, non ricordavo né il volto di una persona amata, né il nome di un politico cui dovevano andare le mie simpatie: avevo cancella tutto, non riuscivo a distinguere nomi e persone.
   Ma qualcosa doveva pure affiorare, per tutti i diavoli del mondo! Si agitava il professore sdraiato vicino alla finestra e mi fissava negli occhi.
“Chi è costui?” mi gridò all’improvviso un mattino mettendomi sotto gli occhi una fotografia, formato trenta per venticinque, di un vecchio dalle gote cascanti e dal volto devastato dalle rughe.
“Aldo Valleschi” risposi con sicurezza, dopo aver girato e rigirato il ritratto tra le mani.
“Ma non dica idiozie” sbottò il medico e per l’incontrollata impazienza picchiò con la punta del piede contro il legno della scrivania. “Questo è ...”, s’interruppe.
  Non gli risposi, né egli mi rivolse alcuna domanda. Nella profondità del silenzio della stanza, osservavo il volto del professore che mi stava di fronte: aveva sulle labbra una smorfia dolorosa, ma non era adirato: capiva che noi due combattevamo fianco a fianco lo stesso drago. Sicuramente egli pensava alla risoluzione del mio difficile caso clinico; io, invece, ero fermo con la mente a considerare  la somiglianza tra il mio compagno di stanza, un depresso abbandonato qui trent’anni prima dai familiari e lo sconosciuto  della fotografia. Che combinazione, pensavo, sembravano due gocce d’acqua, tanto erano simili: avevano gli stessi occhi, la stessa bocca, lo stesso naso, le stesse rughe e persino la medesima espressione, sciatta e spenta, adattata, non per necessità di copione, sul volto freddo e lungo, che non poteva chiedere più nulla alla vita.
 Se non riuscivo a distinguere, dovevo imparare daccapo. Ah! ma avevo l’impressione di non dover mai imparare, anche se tutti, medici e infermieri, mi ventilavano sotto il naso la necessità e l’urgenza d’apprendere. Eppure quando un individuo s’accorge d’essere in difficoltà gli basta uno sguardo, una mossa, una piccola cosa per imparare, e s’impara velocemente.  Io, invece, per quanti maestri ebbi, non facevo alcun progresso: c’era qualcosa di diabolico, qualcosa di animalesco in me, che s’intonava molto bene col mio aspetto fragile e convincente, un salutare e misterioso miscuglio che immobilizzava la volontà e il desiderio di fare degli stessi terapisti e non spiegava il mio momentaneo arresto psichico.
   Per esercitare la mia memoria, il professore aveva preparato un apposito labirinto. Mi faceva prima camminare in diverse stanze comunicanti e studiavo il percorso, poi mi bendava ed io dovevo andare da una stanza in un’altra servendomi del tatto e del fiuto. Non lo nego, facevo qualche progresso visibile. I miei neuroni, malgrado la botta, non erano del tutto disfatti, come quelli dei miei compagni di detenzione distrutti dagli psicofarmaci. Avevo notato molti piccoli particolari positivi; ricordavo, per esempio, perfettamente ogni angolo, ogni oggetto, ogni odore delle singole stanze; ciò faceva sperare in una prossima guarigione, ma non tutti i medici erano ottimisti: qualcuno aveva notato il mio scarso entusiasmo di partecipare al gioco terapeutico e la poca enfasi nell’accogliere i primi risultati.
   In verità, io non facevo tanto sforzo per guarire; recitavo la mia parte d’ammalato nel modo migliore e nel modo più convincente per me e per loro, i medici e gli infermieri, in quanto nessun altro, escluso l’interessato, sa cosa realmente succede nella mente di un individuo.
   Questa mia involuzione mi era incomprensibile. Sperimentavo sul mio stesso corpo gli sguardi gelidi degli occasionali e frettolosi visitatori, gente indaffarata che veniva saltuariamente a fare il giro delle gabbie, come in un giardino zoologico, a osservare gli animali selvatici corrosi dall’odio e pazienti con le mosche ronzanti attorno agli occhi umidi. Ma continuavo lo stesso a fare la parte dello smemorato e lasciavo fluire i cattivi umori e le promesse al di là della mia coscienza.
   Forse un giorno verrà l’ora del ritorno tra le cose razionali; comunque, oggi, continuo a passeggiare, perché non posso farne a meno, nei corridoi dell’ospedale psichiatrico, malgrado il caldo afoso della stagione estiva, in attesa della terapia fisica o di un colloquio col professore, fingendo d’ignorare le smanie di un vicino di stanza, un paranoico, infastidito dalla mia presenza.
“Ehi, tu, 34, tieniti lontano dal mio territorio” mi grida ogni qualvolta gli passo davanti.
   Io rimango muto e continuo per la mia strada, con le mani in tasca e con lo sguardo fuori dalle finestre.
   Malgrado tutto, quel numero mi piace; ha sostituito efficacemente il mio cognome e nome e più o meno mi ha sottratto a una vita a rincorrere chimere.       

                                                                              E.C.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sabato 11 ottobre 2014

RECENSIONE


 “Scritti di psicocritica. Profili psicologici di poeti e scrittori contemporanei
    Di Teresa Gentile
E’ un’avventura dell’anima leggere il recente testo “Scritti di psicocritica” del Prof. Enrico Castrovilli. Un testo che, in modo certosino, indaga profili psicologici di poeti e narratori italiani contemporanei. Già la copertina ci intriga con l’immagine di due mele verdi, simbolo dell’io interiore frizzante, vivo, libero da ogni condizionamento ma ricoperte in parte da due maschere grigie,che rappresentano in pieno la naturalezza dell’io bambino, la sua sincerità intessuta di cari ricordi, delusioni, speranze. Invece la maschera grigia che copre in parte ognuna di esse rappresenta ciò che impone il “ruolo” che è opportuno recitare nella società con i suoi riti, il galateo, le leggi da far valere solo per pochi danarosi privilegiati, la fragilità di confine tra bene e male, diritti e doveri, fragilità ed eroismo nel quotidiano Ed è poi affascinante lasciarci amabilmente prendere per mano dal prof. Castrovilli e farci guidare a sentirci partecipi di un attraente panorama di letture “psicocritiche” che egli ci propone pur essendo medico psicologo di formazione analitica e letterato, oltre che raffinato narratore e certosino ricercatore di onde spirituali anomale,o pervase di amore, delusione, certezze, speranze, deliri. amore profondo,, comunicabilità, incomunicabilità espresse da vari narratori e poeti di generazioni diverse. Fa questo nella consapevolezza che ogni scrittore sia detentore di una propria verità , abbia dubbi e domande di particolare intensità emotiva perché collegati a precise problematiche familiari, sociali o affettive e scrivendo, sia portato a proiettare nelle parole un suo mondo soggettivo che chi legge mai potrà pienamente indovinare se non si accosta con amore, costanza, umiltà e impegno certosino alla lettura di tutta l’opera d’ogni autore. Essa,infatti, rispecchia sempre frammenti di storia, passioni e mille emozioni ed è questo che ci offre la chiave di lettura migliore per leggere e condividere il messaggio d’ogni scrittore e ricomporne integra l’immagine della sua vera interiorità scoprendo in essa bagliori d’arcobaleno e non il grigio della maschera dell’inconoscibilità. .In alcuni scrittori tale incomunicabilità delle proprie emozioni li porta a creare narrazioni in cui la realtà spesso si sfalda in una pluralità di frammenti che non hanno un senso complessivo. Ma con un ‘ opera certosina di psicocritica si giunge a ricomporre il mosaico della vera interiorità estetica dì ogni scrittore, si riscopre il suo vero io interiore privo di maschera e si genera una sorta di opera polifonica capace di aprir la strada a prospettive diverse, a più voci, capaci di intersecarsi e rafforzarsi senza mai opporsi o frantumarsi vicendevolmente dando vita ad un armonioso messaggio di natura cosmica poiché condivisibile al di là d’ogni limite di lingua, spazio e tempo.
Il fine precipuo che il prof. Castrovilli si propone è quello di attirare il lettore su una chiave interpretativa in grado di cogliere non tanto i comportamenti o fenomeni psicologici di singoli autori (la natura di questo o di quel comportamento), quanto un sistema generale di convenzioni che regoli, in modo chiaro, sano e armonico, il mondo esterno e quello interno di ogni individuo.
Nella scelta dei “casi”, l’autore si muove con grande disinvoltura tra i grandi e i piccoli scrittori , accomunati tuttavia da un sicuro spessore psicologico. Questi narratori e poeti, di generazioni diverse, hanno praticato una scrittura, per quanto collocata tra problematiche sociali e morali del tempo, che permette all’autore d’indagare negli oscuri meandri della coscienza – dove soggiorna l’angoscia personale dei personaggi e dei comprimari – ed è così che porta alla luce e decodifica dubbi e domande di particolare intensità emotiva.
Nella ricerca e nella stesura dei “medaglioni” è rilevante non solo la chiarezza dei limiti tra esigenze liriche e psicologiche, tra passioni e ideologie, tra soggettività e storia, tra pubblico e privato, tra vero e falso, ma si dipana, grazie ad un linguaggio agile e suadente l’indagine sulle motivazioni, sui rapporti, sugli stati affettivi, sui bisogni umani che ci forniscono le risposte attive e la chiave utile per leggere lo stato d’animo e il messaggio più autentico di ogni scrittore/poeta. Ed è così che veniamo aiutati a con-dividere le medesime emozioni e tali scrittori ce li sentiamo vicini, simili a carissimi amici.. Di Emilio Gadda cogliamo la sua cognizione del dolore inteso come generatore di fobie,deliri e idee coatte. Possiamo conoscere Giuseppe Di Viesto,uno dei maggior autori di San Vito dei Normanni e ammiriamo il suo particolare estro creativo espresso in racconti, commedie e liriche in vernacolo ed in lingua. Egli canta la fatica di vivere, la ricerca d’identità. la volontà di riconoscersi in ciò che è autentico e ci incanta con il suo universo sentimentale pervaso da tutte le in sfumature psicologiche dell’anima espresse in una ragnatela sonora che suscita emozioni profonde nell’anima di chi legge le sue opere. la sua poliedricità di interessi. In Michele Saponaro di San Cesareo di Lecce, coglie le emozioni del vagare quotidiano d’ogni uomo, la capacità non comune di esprimere aspetti sociali e psicologici e momenti non sempre idilliaci della realtà, difficoltà di convivenza, tormento della lontananza,solitudine, delusione e fermenti di rinnovamento.Di Sandro Penna (di Perugia) ci delinea la poesia del suo mondo emozionale. Rende a noi comprensibile il pianeta psicologico di Giulio Viola (di Taranto ) caratterizzato da una cortina di paure, ansie gelosia, ostinazione. Importante è il suo messaggio volto a porre in evidenza come le difficoltà personali di relazione positiva tra coniugi giunga a turbare la normale crescita psico.fisica dei figli.Di Amelia Rosselli (di Parigi ) è delineata la misteriosa angoscia del vivere personale incastonato nell’enigmatico mondo interiore e di Paolo Di Salvatore (di Carmiano, Lecce ) è delineata la voce inquieta che giunge dal profondo avvalendosi di una scrittura inquietante di derivazione psicologica, agile, asciutta, dominata da contrastanti stati d’animo. Ma Castrovilli ci presenta anche la poesia dei moti d’animo di Daniele Giancane e ci fa notare la sua capacità non comune di dar voce ai sentimenti ed alle emozioni e di valorizzare ciò che l’Io attinge dal Cosmo. Poi delinea gli effetti emotivi e sentimentali della scrittura di Mario Desiati ( di Locorotondo). ‘amore sensuale che domina in Enrico Bagnato di Lecce ); la ricerca della felicità, presente in Marco Missiroli (di Rimini ), le emozioni più segrete di Mariateresa Di Lascia ((Rocchetta Sant’Antonio ), i conflitti affettivi tra genitori e figli narrati da Paolo Giordano (Torino ) i flussi emotivi indagati da Elisabetta Liguori (Lecce ) fino a giungere allo straordinario impegno civile unito alla memoria personale della scrittrice lucana Anna Santoliquido che scrive con l’intento di liberarsi dai fantasmi della civiltà di cui ha però conservato la spontaneità ed i valori e sempre cerca di alimentare i cuori e le menti degli esseri umani con sentimenti, passioni e fantasie. A coronamento del testo è poi la voce dei sentimenti magistralmente espressa dall’opera letteraria di Luciano Pagano di Novara e dalla narrativa di Mimmo Tardio di Francavilla Fontana che scava in profondità nel proprio vissuto , apre la porta segreta del cuore ed affida all’io narrante sentimenti, emozioni e profonde riflessioni. Ed infine sentimenti, amicizia tradita e follia emergono nitidi dall’opera letteraria molto agile e fruibile di Giuliano Sangiorgi di Copertino noto come autore di tutti i testi e musiche dei Negramaro.Ancora una volta il prof.Castrovilli ci dona un lavoro di ricerca prezioso che tra l’altro ci rende fieri della presenza di tanti scrittori anche pugliesi capaci di renderci più capaci di esprimere sentimenti autentici e prevenire la sterile anestesia delle emozioni.


 
GIORNALE DI PUGLIA, mercoledì 8 ottobre 2014.

lunedì 6 ottobre 2014

I COLORI DELLA POESIA di E. CASTROVILLI ESPRESSI DALLA PITTRICE A.MICCOLI

Dal 13 al 27 settembre si è tenuta, nella pinacoteca comunale Salvatore Cavallo a San Michele Salentino una significativa mostra di pittura di Antonella Miccoli- Emozioni vivissime si sono intrecciate intrappolando vibrazioni d’anima tra gli interventi del sindaco avv. Piero Epifani, dell’assessore alla cultura avv. Maristella Menga, della prof. ssa Rita Fasano, curatrice della stessa pinacoteca, i pregevoli pezzi musicali a cura di Martina Barletta e Claudia Ligorio e letture di poesie del prof Castrovilli declamate con intensa partecipazione emotiva da Filomena Ligorio . L’inconscio collettivo ha fatto sentire la sua arcana voce tra note, rime, colori capaci di cogliere stati d’animo ed emozioni -Le linee della pittura astratta di Ahntonella Micoli in tale atmosfera di rapita elevazione spirituale parevano divenire ancora più morbide, voluttuose, avvolgenti, ricche di carica cromatica rasserenante, avulsa da ogni marcato, oppressivo tratto scuro, tipico di uno stato d’animo offuscato da odio, rancore, voglia di distruggere,appiattire, violentare, soffocare la vita. In una sorta di contagioso e benefico vortice positivo di buone emozioni riecheggiavano le rime del prof. Castrovilli in cui vibrava una sorta d’angoscia esistenziale simile a quella di Baudelaire ma caratterizzata da un delicato colore grigio perla, tipico di un’ angoscia positiva che è capace di dialogare con l’io interiore e la poesia, spalancare le finestre dell’anima e dar voce all’inconscio perché disciolga ogni catena , si possa librare verso l’infinito per condividere emozioni al di là d’ogni limite di spazio e tempo e possa consentire di liberare la creatività per sempre meglio esprimere la innata idea di bellezza, di armonia, di poesia.
La singolarità della pittrice Antonella Miccoli e dello scrittore, poeta e psicocritico letterario Enrico Castrovilli (come di Vittorio Bodini e Charles Baudelaìre a cui lei si è anche ispirata in altre opere ) è data dalla loro identica volontà di rappresentare l’interiorità simile a valanga intrappolata in un vortice muto intessuto d’inespressa poesia che attende che si spalanchino le finestre d’anima e abbia origine un diluvio di speranza e consapevolezza della propria luce per porre in moto la macchina del sentimento e la luminosità del proprio talento dia voce all’ angoscia esistenziale , ai ricordi , ai sogni e si manifesti nella sua integra armonia. Antonella ricerca il bello non dal punto di vista estetico e quindi come vuota maschera, ma nella sua essenza spirituale, Non riproduce la realtà visibile ai nostri occhi, ma si avvale di simboli, vortici di colore, segni tipici dell’astrattismo per esprimere la sempre inconoscibile interiorità complessa e mutevole ed il flusso emozionale interiore, imprevisto, imprevedibile e molto simile ad onde anomale costituite da un complesso puzzle quasi sempre frantumato tra un conosciuto intessuto di ricordi ed un inconoscibile fatto di simboli vaghi, indecifrabili, simili a sagome nascosta da fitta nebbia e che celano la realtà sotto segni inconscibili capaci però di suggerire emozioni e intensi stati d’animo, penetrando l’intima essenza delle cose e delineando speranze incastonate in un caleidoscopio di attese, sogni,sentimenti, angosce, certezze , fede e il tutto in un’aureola di colori mai violenti, scuri o predominanti, o accostati a caso ma ognuno con una sua ben definita ed armoniosa posizione simile a musica d’orchestra e quindi a espressione dell’io interiore Reale magia si è poi respirata ascoltando le delicatissime poesie di Castrovilli. Conoscevamo questo critico da tempo, ci è sempre piaciuto il suo modo appassionato di far critica sondando la psicologia degli autori letterari, di indagare le cause recondite del loro canto, della loro angoscia esistenziale, delle motivazioni poste alla base dell’ispirazione. Conoscevamo Castrovilli come medico psicologo di formazione analitica, narratore e illustre letterato esperto in psicocritica letteraria, collaboratore attivissimo di riviste e giornali con racconti e saggi volti a a studiare la natura dei comportamenti e delle problematiche sociali per indagare sugli oscuri meandri della coscienza e quindi sapevamo che fosse persona estremamente razionale . Ma in verità non conoscevamo invece Castrovilli come poeta. Francamente ci ha stupiti manifestando una delicata, suadente, elegiaca sensibilità che rispecchia la sua profonda conoscenza dei più reconditi moti dell’anima. Egli esprime il suo costante desiderio di aiutare chi legge ad orientarsi nell’universo dei sentimenti più autentici, belli , costruttivi, capaci di condividere la poesia e l’incanto delle vere emozioni che possono sembrarci simili a sogni meravigliosi, a splendide utopie ma che se crediamo veramente in essi , si possono avverare . I nostri sogni possono non esser più prigionieri di una “…..casa senza finestre e pervasi dall’insondable angoscia\ del tempo\ come segno di resa\ ad un raggio di più prigionieri di una “…..casa senza finestre e pervasi dall’insondable angoscia\ del tempo\ come segno di resa\ ad un raggio di luna piena \ che trafigge la mente “ ma sottraendosi al “fluido incolore della notte “ e alle molli braccia della sera “ pian piano si vibrano in volo mentre al silenzio della disfatta, all’ossessione del tempo fuggente, viene a sostituirsi la magia perlata del caldo sorriso di una nuova alba che effonde il profumo della speranza “……finchè la luce dura “, in quel frammento del giorno “ che “….se ne va silenzioso \ sulle lame del vento\ e il sole gioca a scacchi \ con il rosso e il nero dei tetti “ . (Dalla silloge “ La mappa dei sogni “)
. In Castrovilli che è certosino studioso, razionale e fermo custode degli echi poetici più interessanti ed attuali……non immaginavamo certamente la presenza di un io interiore capace di esprimere tanta intima poesia in modo appassionato, romantico, pregno di purezza assoluta e profonda verità capace di comunicare emozioni e librarsi verso l’immenso. . Una poesia che invece Antonella Miccoli già aveva colto in pieno attraverso le sue finestre dell’anima costituite da una non comune capacità di cogliere e saper esprimere i colori della poesia. Una virtù che caratterizza chi è artista e lo sollecita a dar vita a intense e mutevoli immagini che a dirla con Castrovilli ( nella silloge La mappa dei sogni ) esprimono “ Non l’ansia / che nasce furente | dai risvolti del quotidiano | né il crepuscolo crescente | che disorienta le rondini | e dirada i fanciulli | nei villaggi ma sono le mutevoli immagini \ dei sogni | che intessono trame| mutando la nostra storia|. Ed è così che si delineano in poesie ed in dipinti anche i sentieri dell’anima. Sempre Castrovilli ci parla di questi sentieri in una sua delicatissima poesia (silloge sentieri dell’anima pag.23 ) in cui li delinea simili a “Fondi sabbiosi, \ flussi di ombre e luci\ trepidanti foglie verdi \ si distendono su di lei\ solitaria ninfa dell’eterno\ E fra gli antri dell’inconscio “ ognuno di noi attraverso di essi “ cerca le chiavi dei sogni\ raccoglie e seleziona ricordi\ salda il visibile all’invisibile\ nell’interrotto cammino\ per i sentieri dell’essere\ senza divieti,\ senza confini! “ E così la storia continua (pag 50 silloge La mappa dei sogni ) “Tra albe e tramonti\ inseguendo mire e desideri\ e i sogni risultano impossibili\ da realizzare. E la storia continua\ ora è infelicità, ora è incanto\ora è forma indefinita\ di passata\ di presente càbala\ Così’ la vita appare\ un alfabeto consunto\ dal tempo\ e balsamo è solo\ l’umana illusione\ disorientata dai sensi\ e da altre passioni”-Nelle delicate trine del microcosmo dell’io di un poeta e di una pittrice attenti alle basse ed alte maree dell’anima si rispecchia dunque un macrocosmo che ha i brividi e le alte e basse maree delle illusioni, delle certezze, delle speranze,delle attese, del rimpianto, dei ricordi, delle disillusioni e quindi della condivisione cosmica delle emozioni purissime e di portata universale e come tale capace di riecheggiare un’armonia polifonica gradita al nostro cuore.


                                                                                                                      Teresa Gentile

 

 



 

 

 

lunedì 15 settembre 2014

I COLORI DELLA POESIA

Quella della pittrice salentina, Antonella Miccoli, non è stata una semplice mostra di pittura, bensì una serata all’insegna dell’arte. L’inaugurazione svoltasi lo scorso sabato 13 settembre presso la Pinacoteca “ Salvatore Cavallo “ di San Michele Salentino, infatti, si può definire un pastiche, perchè si sono fusi tre diversi linguaggi artistici: “poesia, pittura e  musica”. Il numeroso pubblico presente ha potuto apprezzare così, non solo la qualità delle immagini e il fascino dei versi, ma anche la soavità delle note musicali con le quali le due violiniste, Martina Barletta e Claudia Ligorio, hanno allietato gli intermezzi. La pittrice, appassionata da sempre di letteratura italiana e francese, ha  riportato sulla tela la propria interpretazione di alcune poesie di autori del passato e del presente, tra i quali il poeta Vittorio Bodini, cui è stata dedicata la serata. L’assessore alla cultura di San Michele Salentino, avv. Maristella Menga, nell’aprire la serata,ha voluto porre l’accento sul connubio felicemente riuscito tra poesia e pittura dall’artista. Di seguito, la professoressa Rita Fasano, critica d’arte e curatrice della Pinacoteca, ha ricordato come, dall’antichità sino ai giorni nostri, sia stato possibile il dialogo tra le diverse forme d’arte. Ha sottlineato, inoltre, lo studio e l’analisi affrontati dalla pittrice nell’interpretare e riportare sulle tele i segni semantici dei componimenti poetici, dando modo, di far fruire ai presenti i medesimi sentimenti ed emozioni evidenziati dalla disposizione dei colori.
  La pittrice, Antonella Miccoli, molto soddisfatta per la riuscitissima serata, ha chiuso ringraziando le autorità, le relatrici e il pubblico presente.
                                                             
                                                                                              Giovanni Basile
 
 

 
 
 

sabato 6 settembre 2014

LIBRI-libri

I GIORNI DELL’ABBANDONO, Elena Ferrante.
  Sinossi
Una donna di trentotto anni, serena e appagata viene abbandonata senza alcun preavviso dal marito ingegnere e precipita in un gorgo scuro e antico. Rimasta con i due figli e il cane, profondamente segnata dal dolore e dall'umiliazione, Olga, dalla tranquilla Torino dove si è trasferita da qualche anno, è risucchiata tra i fantasmi della sua infanzia napoletana, che si impossessano del presente e la chiudono in una alienata e intermittente percezione di sé. Comincia così una caduta rovinosa.
  Nota critica
In questo romanzo di chiaro aspetto psicologico al femminile, Elena Ferrante analizza con una adeguata capacità introspettiva il susseguirsi di una serie di disturbi psichici partendo da un comportamento caratterizzato da dissociazione, da incuria, da vera e propria dimostrazione di anaffetività verso i figli e da impazienza verso il cane Otto lasciato dal marito. Per mettere in evidenza questa confusione emotiva, la Ferrante impiega un linguaggio pacato ma crudo e  frammentato che traduce volutamente il profondo malessere psicologico della protagonista travolta suo malgrado dagli avvenimenti della vita quotidiana.
 Nel finale, il dolore psichico profondo si attenua, fa capolino un rassicurante sentimento amoroso che Olga sperimenta accettando di frequentare un musicista più anziano suo vicino di casa. Ma è solo un palliativo che non cancella un passato segnato da insicurezze e da delusioni.

                                                                                                                                 E.C.

 

 

martedì 19 agosto 2014

LIBRI-libri

GOL DI RAPINA di Pippo Russo.
  Sinossi
A partire dagli anni Novanta il calcio ha subito una mutazione genetica, da cui è uscito trasformato in termini sia culturali che economici. L’ex grande rito odi significati diversi rispetto a quelli agonistici. Soprattutto, per molti attori esso è diventato uno straordinario business da colonizzare incontrando scarse resistenze. Sollecitato dalla pressione verso una modernizzazione vera o presunta, il calcio si è scoperto facilmente permeabile da soggetti e interessi man mano più opachi, ma tutti o quasi accomunati da una caratteristica: l’ansia di fare del gioco una macchina da soldi, per poi distribuirli  fuori dal calcio. Con l’inizio dei XXI secolo il meccanismo  è stato messo a punto, e dopo l’esplosione della crisi economica del 2007 – che ha colpito il calcio come ogni altro comparto economico – ha trovato condizioni favorevoli  per diffondersi e legittimarsi. La situazione odierna parla di interi subcontinenti in cui il calcio è sotto il controllo di attori economico-finanziari esterni al calcio stesso: fondi d’investimento misteriosi con sede legale presso paradisi fiscali, oligarchi ansiosi di riciclare denari di dubbia provenienza, potentissimi agenti capaci di controllare eserciti di calciatori e allenatori impegnati presso i campionati d’ogni angoli del mondo. Una situazione che, nella migliore delle ipotesi, vede ampliare a dismisura la zona grigia fra legalità e illegalità.
Nota critica.
In questo libro l’autore, Pippo Russo, attento ricercatore sociale, con una splendida analisi su personaggi, enti e situazioni toglie il coperchio al calcio globale, compreso il nostro in cui vige la congiura del silenzio, colto tra intrecci oscuri e schegge lucenti. Un volume interessante, scritto con un linguaggio leggero e vivace che attribuisce al testo un ritmo veloce e incalzante.

                                                                                          E.C.

sabato 16 agosto 2014

SCRITTI DI PSICOCRITICA


 


Martedì 17 giugno, alle ore 19, nella Sala delle Conferenze della Biblioteca Comunale di San Vito dei Normanni, sita in via Mazzini, è stato presentato l’ultimo lavoro del Prof.re Enrico Castrovilli, medico, psicologo analista e letterato: SCRITTI DI PSICOCRITICA, Ediz. Progedit. Il volume comprende 23 saggi di profili psicologici di poeti e narratori italiani contemporanei. La serata è stata introdotta e coordinata dalla giornalista Dott:ssa Silvia Di Dio. Sono intervenuti i Proff. Lorenzo Caiolo, Mimmo Tardio, Giuseppe Cecere Jr. il Dottor Ernesto Marinò e Benito D’Agnano.
Gli interventi hanno evidenziato il corposo ed impegnativo lavoro di lettura di centinaia di testi svolto con meticolosità e ricerca certosina da parte dell’autore. È stato anche messo in chiaro come egli, pur operando su autori di generazioni diverse, alcuni del secondo Novecento, parecchi molto giovani e contemporanei, abbia messo insieme personaggi i quali hanno praticato una scrittura interessante che gli ha permesso di poter indagare negli angoli più riposti della coscienza, dove soggiorna l’angoscia personale, e di codificare dubbi e domande di particolare intensità. Nella conversazione sono stati chiamati in causa tanti autori dei 23, che pur essendo volti sconosciuti nella letteratura, sono in possesso di quello spessore psicologico che permette loro di esprimersi al meglio ed essere annoverati fra i grandi. E l’aver portato alla luce volti nuovi, degni di essere conosciuti, perché hanno dimostrato di avere da dire qualcosa di originale, è senza meno l’altro grande pregio dell’opera del Prof.re Castrovilli. Gli interventi più ampi e significativi sono stati dedicati alla figura del nostro conterraneo, Dott. Giuseppe Di Viesto. Ognuno dei relatori  ha messo a punto una delle meravigliose sfaccettature di quel diamante che è stata la produzione letteraria di questo straordinario autore. A conclusione c’è stato l’intervento dell’Architetto Vito Di Viesto che, dopo aver brevemente parlato della grandezza umana del fratello, ha creato un momento di intensa emozione declamando una poesia inedita del Dottore:<<Compleanno>>.
 La Dott.ssa Di Dio ha chiuso col saluto ai presenti, cedendo il microfono all’autore, molto soddisfatto per la bella e riuscitissima serata, che ha proceduto con i ringraziamenti ai relatori e al pubblico presente.
   SanVito dei Normanni, 17/06/2014                             Benito D’Agnano   

giovedì 7 agosto 2014

TEMPO LIBERO O CONDIZINATO?

Equilibrio tra ambiente e personalità. Dalla Trascendenza la vera scelta
Il problema del tempo libero è divenuto rilevante nella nostra società. Ma anche nell’età greco-romana non era sconosciuto e ci si occupò del tempo libero indipendentemente dagli sviluppi della tecnica. Pure  gli schiavi avevano diritto al tempo libero e in alcune circostanze era severamente proibito farli lavorare.
Aristotele intuì che il tempo libero è la sorgente di ogni forma di cultura e di civiltà.
I Greci dice Aristotele “tentarono ogni ramo del sapere” perché consideravano il “sapere” il tratto più caratteristico dell’essere umano. L’uomo naturalmente vuol sapere (dapprima disinteressatamente) e ciò dimostra in lui la realtà dello spirito che, avendo proprie esigenze, rivela anche le proprie finalità che vanno oltre la materia aprendosi all’Infinito.
Svilupparono tutte le scienze e soprattutto la filosofia  con la quale si intende ogni razionale concezione generale della realtà e della posizione dell’uomo in essa. Un sapere non remunerativo in senso materiale, ma utile, anzi necessario, per vivere bene come impone la presenza dello spirito nella persona.
Il carattere unitario della filosofia di Aristotele non trascura le specializzazioni derivate dallo sviluppo delle singole discipline. Con l’ellenismo si attribuisce alla riflessione filosofica il compito di orientare e guidare il comportamento individuale.
Però la vera filosofia è una sola ed è falso che ogni tempo deve avere “la sua filosofia”, come se l’intelletto umano fosse costituzionalmente incapace di cogliere “l’essere in sé delle cose”: quello vero per tutti, ovunque e sempre.
Lo storicismo, che considera la verità figlia del tempo, contraddice se stesso, come del resto ogni teoria che presume di negare il valore del pensiero: chi non è certo, è preferibile che taccia.
Per lo storicismo ogni evento particolare è sempre giustificabile solo per la ragione che accade, indipendentemente da ogni suo rapporto ad una Norma assoluta che lo trascenda. Tale coincidenza del “valore” col “fatto” implica la soppressione di ogni vero valore di qualsiasi fatto; quindi un giudizio pessimistico della vita perché appunto lo storicismo quale disumana forma d’immanentismo ateo, è negatore del diritto, dissolto nel fluire dell’esistenza.
Ogni nefandezza se accade, giustifica se stessa con conseguenze inimmaginabili per la dignità umana e il creato.
La filosofia è una, come una è la realtà di cui si interessa; e uno è il punto di vista da cui si pone per interpretarla: l’e s s e r e, oggetto della Metafisica.
Non si dà dunque filosofia che non sia metafisica, che possa cioè procedere prescindendo dall’essere; il quale essendo esclusivamente intelligibile, supera la sfera dei fenomeni, ossia il campo di tutte le scienze sperimentali.
Però la metafisica trae l’essere non dalle idee o da giudizi e teorie preconcette dei “filosofi” bensì dall’essere dell’esistente che, all’inizio di tutta la ricerca, è offerto dai sensi esterni e che è il fondamento primo della filosofia realistica. Filosofia avente per oggetto la verità oggettiva delle cose, non le interpretazioni dei filosofi, anche se lo studio dei loro contributi favorisce la ricerca filosofica.
Solo la riflessione metafisica è onnicomprensiva e definitiva nello sforzo di una interpretazione unitaria e globale delle “cose”, tenendo presente che l’ente più reale d’ogni altro è la persona.
Ora, se onnicomprensiva e definitiva, solo la metafisica dà il vero senso e valore della realtà, però nelle scuole italiane viene trascurata con grave nocumento della formazione dei giovani.
Che cosa c’entra la filosofia col tempo libero?
Serve per impostare bene la propria vita: solo considerando il vero senso della realtà, grazie ad una realistica comprensione comprensiva, può essere fatta una migliore scelta per dirigere bene il proprio comportamento. E  solo una scelta convinta su basi reali e spirituali diventa personale senza cadere nello sfruttamento e nel plagio. La persona non si fa rubare il proprio bene: là dove il tempo libero è del tutto mercificato non è vero tempo libero.
Accanto a una maggiore disponibilità di tempo è sorta una vera e propria industria del tempo libero diretta, da un lato, ad assecondare talune scelte individuali fornendo le strutture e i mezzi per la loro realizzazione e dall’altro ad offrire essa stessa modalità di impiego del tempo libero con lo scopo, più o meno esplicito, di condizionare la scelta “soggettiva” dell’utente, visto come un consumatore da indurre a compiere scelte uniformi, vissute come scelte elettive e personalizzanti.
Il tempo libero è l’attività che pone un uomo al di fuori del compimento del suo ruolo funzionale nella società e la sua pianificazione è considerata come una funzione delle condizioni ambientali e delle condizioni della personalità. Vi sono forme diverse  di pianificazione del tempo libero come per esempio un divertimento sfruttato con intelligenza oppure una serie di occupazioni passivamente subite anche in vacanza.
Ora, se non basta a volte la vita per far arguire la Trascendenza, è sufficiente la morte per indurre chiunque ad affermarla, scoprendo la radicale inconsistenza delle cose, la miseria infinita dell’uomo: chiunque egli sia, quali che siano i suoi talenti, i suoi meriti. La morte, infatti ristabilisce l’equilibrio, quale nessuna di tutte le possibili rivendicazioni e rivoluzioni sociali potrà mai realizzare.
Essa suggella l’opera di una Provvidenza che a ciascuno dà il s u o, rivelandosi inesorabile soprattutto nel confondere la presunzione e la protervia dei malvagi. Per tutto ciò il messaggio della morte non è quello della f i n e, ma annunzio di liberazione, quindi invito alla saggezza, la quale non è apatia, ma moderazione; non rinunzia , ma equilibrio; non fuga, ma sintesi nella subordinazione del temporale all’eterno.
Essa insegna, allora, “l’uso” del relativo (perché “mezzo”) per disporre al conseguimento gioioso dell’assoluto (ossia del “fine”).
Gesù non biasima né affetti né piaceri né ricchezze anche se ne indica i pericoli; ma è severo nel condannare quell’assolutizzazione di tali beni che impediscono la visione dei più veri e ne soffocano il desiderio: “Non è possibile servire a due padroni”.
Al riguardo una decisione radicale è indispensabile per ristabilire un equilibrio interiore e razionalizzare ogni scelta particolare.
Stando così le cose occorre uno stile di vita non dipendente da un condizionamento meccanico operato dall’ambiente circostante. La persona deve rendersi capace di utilizzare le risorse di ciò che la circonda in funzione dei bisogni e delle aspirazioni giuste ed equilibrate della propria personalità.
All’interno di questo processo si operano le scelte soggettive quelle che caratterizzano il vero tempo libero: una gerarchia tra le attività fisiche, intellettuali, sociali; una distribuzione del proprio tempo in modo da rendere equilibrato il rapporto con il gruppo, l’altro, se stessi; un arricchimento della vita quotidiana saldamente integrata in un universo di sani principi culturali, sociali, politici, religiosi ecc.
Le condizioni di sottosviluppo culturale, sportivo, ricreativo, ludico in cui versa la fruizione del tempo libero poggia su un sistema scolastico di base incapace di fornire a tutti adeguate competenze di partenza anche per colpa di genitori poco formati, dei mezzi di comunicazione di massa che comunicano poco o niente di positivamente buono e di cattivi esempi politico-sociali incapaci di far acquisire e usare strumenti culturali che umanizzano l’individuo umano.
                                                                                                        Francesco Recchia