Appena
mi giunse, spedita dell’editrice barese, la copia del libro di Ettore Catalano,
rimasi colpito da due elementi ben evidenti: la veste tipografica e il titolo
del saggio. Del primo dirò che, fedele al contenuto, la splendida copertina
offre ai lettori sia una apprezzabile grafia che la particolare qualità dell’immagine tratta da
un dipinto di Giuseppe Arcimboldi,
“Terra” (1570). Si tratta della ricostruzione della parte superiore del corpo
umano, con una serie di teste ritratte con colori vivaci di animali tra di loro
incastrate ad arte, tale da riprodurre quasi fedelmente i caratteri somatici di
un uomo; il tutto su uno sfondo monocromato brillante. Del secondo, ritengo
opportuno soffermare più a lungo la mia attenzione analitica, perché mi
coinvolge per il modello
metodologico, per i segni semantici, per
le fonti documentarie, per i ritmi psicologici, in un clima di profondo scavo
nei labirinti della mia memoria.
La lettura del titolo, “Strategie di
scrittura”, mi prese quasi per mano e mi
indusse a ritornare indietro nel passato, a scrutarmi dentro e d’intorno con
occhio analitico. Il risultato di questo straordinario avvenimento psichico fu
quello di ritrovarmi seduto sui banchi dell’università a seguire le lezioni di
storia della letteratura italiana tenute negli anni fine’60/’70. In quel
particolare periodo di studio e di apprendimento, a noi studenti venivano impartite lezioni su come si è
raccontato il Novecento, secolo delle avanguardie e delle crisi permanenti,
attraverso le sue strategie inconsce (Svevo) e intenzionali
(Pirandello), le tecniche di gruppo (realismo
magico di Bontempelli), i creatori di miti
(Debenedetti), tanto per citarne alcune.
Dall’incipit ora passiamo ad analizzare il
contenuto del libro, <<articolato in ventidue interventi dotati tutti di
una necessaria intitolazione>> ,
che coprono un arco di tempo di secoli che va dal XIII al XXI secolo; un lungo, articolato e pericoloso
sentiero proprio perché presenta una
serie di difficoltà oggettive derivate non solo dalle metamorfosi della scrittura letteraria italiana ma anche dal reale rischio di <<parlare di un
autore su cui spesso si sorvola con uno scettico sorriso sulle sue prove
letterarie>>.
Il primo attore ad entrare in scena è Dante
Alighieri, un poeta che vive ed eredita tutti i problemi del suo tempo;
tuttavia sa cogliere l’equilibrio necessario per dare corpo e visibilità alla
sua creatività attraverso la strategia
di rielaborazione di una lingua per i fini propri della cultura e dell’arte.
Seguendo questa scia, sul nostro cammino incontriamo il V canto dell’Inferno, qui notiamo <<la pena di Dante>> entrato nel
cerchio del maggior dolore e il flusso dei sentimenti di Ettore Catalano che si appresta a raccontare
l’episodio di Paolo e Francesca, <<una raffinata cronaca di amore e di morte, di passione e di
lutto>>. Memorabili sono alcuni versi scritti con buon gusto,
riservatezza e suggestione:”Amor, cl’al
cor gentil ratto s’apprende…Amor, ch’a nullo amato amar pedona…Amor condusse
noi ad una morte”. L’anafora, dice Catalano, non rappresenta solo le colte letture di Francesca quanto il mezzo per coinvolgere e
commuovere l’ascoltatore.
Nel X canto, gli eretici; qui l’autore si
concentra soprattutto sull’analisi dell’epiteto <<magnanimo>> con
cui Farinata degli Uberti viene descritto dal poeta dal verso 73 a 75:”Ma quell’altro magnanimo, a cui posta/
restato m’era, non mutò aspetto/, né mosse collo, né piegò sua costa…
Nell’analisi del XXVI canto, Catalano
evidenza una serie di avvenimenti tra cui sottolinea il <<folle
volo>> di Ulisse, il <<fandi
fictor>> citando il lettore medievale, che, convinti con parole
costruite i compagni di viaggio, li condurrà oltre la conoscenza del
limite. Anche qui, avverte l’autore<<come
per Francesca e Farinata ogni esegesi di tipo romantica, pur suggestiva che
possa sembrare, non coglie la complessità storica della poesia
dantesca.>>.
Sulla
spiaggia del Purgatorio i due poeti
incontrano Aristotele e Platone cui Virgilio <<chinò la fronte>> v.44 del III canto , quale segno più
evidente e consistete della nuova qualità <<contestuale>> del
secondo regno, e proseguendo il cammino
verso il monte, tra un gruppo di anime si manifesta quella di Manfredi <<Io son
Manfredi>> v .112, rispose a Dante che, con un mutato tono e qualità di
eloquio, disse di non averlo mai visto. Poi, re Manfredi confessò
<<Orribil furon li peccati miei/ ma la bontà divina ha sì gran braccia/ che
prende ciò che si rivolge a lei>> vv.121-122. III canto del Purgatorio.
Nel VI canto del Purgatorio Dante incontra
il poeta e l’oratore politico Sordello, censore e giudice severo della
decadenza italiana. A Sordello è infatti ispirata l’inventiva famosa di Dante
contro l’Italia politica del tempo:”Ahi
serva Italia, di dolore ostello/ nave senza nocchiero in gran tempesta/ non
donna di provincia, ma bordello” vv,76-126, <<documento alto e nobile
della passione politica di Dante e insieme testo che ne segna i limiti marcatamente medievali che, solo pochi anni
dopo, la cultura umanistica guarderà con sufficienza>>.
Nella
lettura dell’XI canto Catalano rileva che il Pater noster di Dante, recitato dal coro delle anime purganti,
<<è qui rappresentato dal vangelo di Matteo (usato dalla tradizione liturgica della Chiesa) e non di Luca (più sintetico)>>.
Seguono riflessioni dove rinveniamo un richiamo al Dio misericordioso e atti di
contrizioni. Inoltre dal gruppo dei superbi, curvi e contratti sotto il peso
delle pietre, escono la voce del conte Oberto Aldobrandeschi, che occupa la
parte centrale del canto, e quella del miniatore Oderisi da Gubbio, che si
distende sino alla fine del canto.
Per Vincenzo Monti, Ettore Catalano affida il
compito di leggere le opere letterarie del poeta di Alfonsine in Romagna al
critico Cesare Angelini. Angelini nel ricostruire la biografia di Monti
apprezza sì le sue doti letterarie ma non mancano anche pagine <<più dure
e risentite>> , cioè gli rimprovera quel disinvolto comportamento di
scrivere su commissione. Un tale umano agire <<non fu in lui mai frutto
di egoismo e di cinismo dispregiatore di
ogni ideale e di ogni coerenza..(ma) fu il suo smanioso bisogno di rimanere
alla ribalta…>>, dice Mario Sansone, (Storia della Letteratura Italiana
pag.397).
Catalano passa all’analisi delle opere di
Massimo D’Azeglio immergendosi soprattutto nel romanzo storico Ettore Fieramosca, una storia ispirata
ad una <<visione ottimistica e pragmatica, antiregolistica, che ne faceva
esempio unico>> e caratterizzata da <<un rilevante esempio di
scrittura innervata da una progettualità
politica, moderata nel suo profondo, ma sorretta da un afflato plurale e
razionale>>.
Figlia della <<vacanza>> creativa
di Ettore Catalano è l’opera <<Ulisse,
signore degli inganni>>, <<una rilettura intertestuale dell’Odissea>>.
Parlando ora del rapporto sentimentale tra Luigi
Pirandello e Marta Abba, a Ettore
Catalano non interessa rilevare <<con pignola e indiscreta mondanità, il
profilo di una storia d’amore quanto mai affascinate nella sua lacerante
negatività: piuttosto vorrei descrivere le ricadute teatrali di quella passione
<<platonica>> sulle linee portanti della costruzione drammaturgica
pirandelliana>>, eseguita con puntualità e gusto.
Credenze fantasiose, di<<il vero
insegnamento pirandelliano, il più convincente e straziato lascito
testamentario: una quotidiana fatica critica
che interpreta così la sofferenza dell’uomo e l’eterna tortura della
maschera in cui l’uomo si era meta-teatralmente
identificato, traducendola in simboli e in sogni, in musica, in
amore…>>.
Siciliano era anche Elio Vittorini, un autore
cui Catalano dedica particolare attenzione critica. In questo volume, Vittorini
è presente con due saggi: <<L’edizione illustrata di Conversazioni in
Sicilia e Il Radicalismo di Vittorini>>. Nell’intento dell’autore,
l’edizione illustrata di Conversazioni <<era simile a
quello di un regista cinematografico, attento al rapporto complessivo tra testo
e contenuto materiale delle foto>>. Analizzando il Radicalismo, Catalano afferma che <<dall’iniziale e giovanile
rivolta antiborghese e antiproprietaria alla maturità dello scrittore e dell’editor, fino alla tensiva modernità ha sempre
esibito un radicalismo intellettuale che forse gli ha impedito di mediare tra
le sue posizioni e quelle del suo interlocutore…>>.
Tra questi autori inseriti nel saggio, troviamo anche due amici
scrittori e poeti, Raffaele Nigro, lucano di nascita e pugliese d’adozione, e
il foggiano Cristanziano Serricchio. A Nigro Catalano dedica tre saggi
brevi:<<Forma del carcere e prigione delle forme nella recente produzione
di Raffale Nigro; Saga Familiare, Cantari e Contemporaneità in “Santa Maria delle battaglie; Una storia
dolcissima ma molto triste. Gli elefanti
bianchi di Raffaele Nigro>>, a Serricchio
un saggio breve <<Il piccolo faro e la luna gigante>> e una
epistola <<Carissimo Ettore…>>. Per vie diverse ma da entrambi
Catalano ha saputo cogliere vivi frammenti dai nuovi modi di vivere e di
pensare con i loro racconti di un realismo magico
densi di credenze fantasiose, di saghe, di miti mediterranei, e le numerose
suggestioni della profonda tristezza di vivere e di inventare storie per
sopravvivere.
Concludono Andrea Pazienza con <<Il sapore vitale della
contraddizione. Una testimonianza critica>>: tratta delle straordinarie
avventure di Pentothal in cui si
rilevano lo sconvolgimento dei linguaggi artistici, l’onirismo e le pulsioni
distruttive e Antonio Caiulo con
<<La verità del buio>>, una storia inquieta di un amore che divide
e lacera.
Il
lungo e pericoloso cammino critico del Prof.re Ettore Catalano termina qui.
Posso solo aggiungere che ho redatto il profilo letterario di <<
Strategie di scrittura nella letteratura italiana><, per quanto mi è stato
possibile per la qualità e la ricchezza del materiale critico esaminato, che
armonizza echi diversi, permettendo ai giovani studenti che si apprestano allo
studio della letteratura italiana e alle persone che amano cimentarsi con la
scrittura creativa di cogliere la
profondità della parola, che con inavvertibile levità procede da un argomento
ad un altro, da un’immagine alla successiva.
Enrico
Castrovilli
STRATEGIE