sabato 18 marzo 2017

LA FELICITA', UN' EMOZIONE PRIMARIA

Nell'attuale società, la ricerca della felicità è avvertita come un bisogno totale e personale, oppressi come siamo dalla nostra impotenza dinanzi alle imprevedibili catastrofi naturali, dall'angoscia di uno sterminio atomico, o dal timore di una totale distruzione del mondo culturale e civile che con sacrifici abbiamo edificato e dal ritorno alla barbarie attraverso uno dei tanti ricorsi storici.
 Per questo motivo, la domanda comune è se l’umano possa conseguire la felicità e soprattutto come questa condizione psichica sia stato concepita dai vari studiosi: alcuni hanno evidenziato la componente emozionale, come il provare buon umore, altri sottolineano l’aspetto cognitivo, come ritenersi soddisfatti della propria vita. Certe volte la felicità è rappresentata come soddisfazione, contentezza, appagamento, certe volte come gioia, piacere, divertimento, e altre  ancora  come uno stato  naturale del cervello che si genera in modo spontaneo se si agisce nel modo giusto.
 Oggi, però, la felicità per molte persone è associata al concetto di benessere e a volte, a uno stato di benessere materiale. I ricercatori invece non accettano questa valutazione che non è quella di riconoscere l’aspetto educante come un cammino verso una sorte favorevole con l’obiettivo di ricchezza, ma un cammino della crescita evolutiva dell’umano verso uno stato di totalità, dove la felicità riconquista la sua dimensione di umano come tale.
 Come abbiamo appena detto, la felicità percepita come benessere è un modello molto seguito attualmente. In questi ultimi decenni, gli studiosi hanno favorito teorie e dibattiti in vari settori, dalla sanità all'economia alle scienze sociali, di cui le scienze dell’educazioni fanno parte.
 Nel contempo alcuni studi di psicologi definiscono la felicità come uno stato autonomo dagli eventi esterni, ma dipendente invece da come esse vengono interpretati, in quanto originano dall'attitudine delle persone  verso gli interessi materiali e/o immateriali.
  Secondo le ricerche di altri psicologi, esistono diversi aspetti che contraddistinguono le persone felici da quelle che non lo sono. Questi aspetti sono le basi, atteggiamenti e pensieri, che una persona può apprendere per essere favorevole alla felicità.
 Si parla di una specie di addestramento fatto di conoscenze e comportamenti che se attuati possono portare alla ricercata felicità. Sono idee che possono produrre un sostanziale cambiamento nel comportamento, favorendo un mutamento nelle convinzioni di un soggetto.
 Prendiamo ora in visione alcuni punti per illustrare il metodo per diventare felici.
  Per prima cosa, dicono i ricercatori, la persona, che si conserva giornalmente più dinamica,  ha la possibilità di rendere migliore il livello di benessere psicofisico. Impegnare le energie in operosità coinvolgenti, accattivanti e piacevoli rende soddisfatti e di esito più felici.
 Va da sé che l’impegno speso, quando risulta produttivo, provoca soddisfazioni, ma perché abbia un concreto esito positivo su se stessi deve essere teso ad attività ritenute ricche di significato, come un tipo di lavoro appagante.
 Importante è di non dedicare tempo alle ansie quotidiane, rimugini, si ha meno tempo per essere felici. La felicità di una persona aumenta allorché si riducono i pensieri negativi, infatti le persone felici si preoccupano di meno della maggior parte della gente.  
 Per essere realmente felici è certamente utile impegnare le proprie energie sulle attività presenti, dando importanza ad ogni giorno e godendo delle opportunità quotidiane.
 Infine, eliminare i sentimenti e i problemi negativi e dare invece valore alla felicità.

 Insomma, se si rimane irretiti in pensieri negativi che si crede siano la possibile soluzione al problema, ma che al contrario portano ad allontanarsi dalla realtà, non ci si concede la possibilità di affrontare i fallimenti e viverli per quello che sono, senza generalizzare mai quello che accade ma legare gli eventi alla situazione. Solo in questo caso si possono valutare le proprie risorse, rimettersi in gioco puntare diritto all'obiettivo: essere felici.

mercoledì 1 marzo 2017

LA GENTILEZZA UN SENTIMENTO POSITIVO

Nella psicologia la gentilezza non è intesa come un segno di debolezza psichica, ma anzi una manifestazione di forza. Essere in grado di rivolgersi alle altre persone con un sorriso,  far vedere la propria disponibilità, praticare alcune regole maltrattate  della buona educazione quali per esempio aiutare una persona in difficoltà, significa attestare le proprie aspirazioni e ideali, senza soccombere alla seduzione della prepotenza e dell’egocentrismo, ma portando rispetto agli esseri umani.
 L’importanza della gentilezza come qualità vitale è una conoscenza arcaica. La filosofia e le religioni la rappresentano come una particolarità dello spirito aderente alla tranquillità interiore, all'equilibrio e alla coscienza di sé, una predisposizione psicologica che possiamo perdere nel percorso della vita per le insoddisfazioni, le ferite e i dispiaceri che, normalmente, sono presenti nella nostra crescita psicofisica.
 Infatti, i rancori, le paure infantili persistenti possono trasformarci in esseri egoisti e tenebrosi, oppure boriosi e diffidenti. Le persone tristi, rancorose smarriscono, unitamente  alla luce dell’intelletto, quello della gentilezza. Senza averne coscienza, subiscono l’influenza negativa di abitare in un mondo maleducato, dove necessita farsi largo, prendere in giro, falsificare per continuare a vivere.
Va da sé che l’inettitudine di essere gentile significa una anomalia vitale, psicologica e morale, su cui non abbiamo l’abitudine di ragionare, nel mentre corrode dall'interno e dal profondo della nostra esistenza, sino al punto a nuocere, anche l’ambiente sociale, l’eventualità di una comunità più florida e più inserita.
 La persona gentile invece sa perfettamente di essere sincera e corretta, dà prova di apertura mentale e di prestare attenzione e conosce la qualità della fiducia e dell’alternanza. Probabilmente queste proprietà a certi individui potrebbero sembrare illusorie, o addirittura soprannaturali, ma è sufficiente far conoscenza almeno una volta nella vita di una persona gentile per rendersi conto che il tutto corrisponde al vero.
 In una società come la nostra, infatti, dove si esaltano i pessimi comportamenti, le ambizioni e la faccia tosta è quasi normale che la gentilezza sia travisata come innocenza o bollata come segno di fragilità psichica. La persona gentile può attendersi freddezza e ingratitudine, ma ciò non ci deve allontanare dal coltivare una vocazione che, in sostanza, dà in dono quella serenità e quell'amore sincero cui desideriamo come esseri umani.
 In ambito psicologico, quindi, la gentilezza si collega al benessere, alla creatività e alla stabilità emotiva. Infatti, la persona che sviluppa un comportamento positivo realistico e senza riserve rispetto alle altre persone è più resistente agli episodi critici del ciclo vitale, e ha più possibilità di sviluppare le proprie capacità e rendere possibili le finalità personali e professionali.
 Insomma, essere gentili è una semplice azione quotidiana come, ad esempio, una telefonata a un conoscente in difficoltà, fare un complimento a qualcuno e così via, esempi questi di piccoli gesti, che possono portarci al valore della gentilezza e rendere possibile e duraturo il nostro benessere psicofisico.

 Siamo, dunque, invitati tutti a promuovere piccole azione che generano benessere dentro di noi, un boomerang che viene generato dalla gentilezza e che torna al mittente arricchito di forza. Essere gentili è quindi una grande responsabilità che noi abbiamo non solo nei confronti di noi stessi, ma anche verso i nostri simili al fine di costruire un’ armonia positiva.