venerdì 18 marzo 2016

I NEURONI SPECCHIO PER PROVARE LE EMOZIONI ALTRUI.

Tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, alcuni ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, coordinati da Giacomo Rizzolati, nei macachi osservarono, per caso, che alcuni neuroni si attivavano non solo quando le scimmie eseguivano alcune azioni motorie autonome, ma l’attivazione si otteneva  anche quando osservano un loro simile compiere la stessa azione specifica.
 Passando dai primati all’umano, si osservò, con tecniche non invasive di ultima generazione ( es. risonanza magnetica funzionale), che, per la maggiore estensione dell’aria interessata e la crescente complessità del fenomeno, il sistema a specchio umano rispetto a quello delle scimmie rivelava sia il tipo di azione che la sequenza dei movimenti di cui è composta.
 I ricercatori, quindi, hanno potuto comprendere le azioni degli altri, e grazie a questa capacità il comportamento altrui acquista significato, dotando l’osservatore dell’abilità di “leggere” la mente degli altri. Se nel passato, cioè al tempo degli esperimenti sui primati, si era potuto sottolineare l’aspetto imitativo dell’azione, oggi invece permette la comprensione di eventi osservati oppure l’apprendimento di nuove azioni.
 Secondo, quindi, i neuro scienziati, il sistema a specchio permette all’umano di cogliere ciò che gli accade intorno, d’imparare per imitazione, di provare emozioni e di immedesimarsi e di entrare in empatia.
 Non è nostro compito, in questa sede, avanzare dubbi sulla validità o meno di simili affermazioni. Intanto la ricerca va avanti, per cui, secondo lo scienziato Rizzolati, l’apprendimento per imitazione ci distingue dagli altri primati e, soprattutto è ampiamente dimostrato sperimentalmente che il sistema “mirror” si attiva nel riconoscere le emozioni.
  La percezione, infatti, di una manifestazione di gioia o di dolore altrui, attiva le medesime zone neuronali della corteccia cerebrale, quando siamo coinvolti in prima persona  a provare gioia o dolore. In sostanza, noi percepiamo la medesima emozione degli altri ( di gioia o di dolore oppure d’angoscia).
 Per esempio, stiamo nel nostro salotto leggendo un romanzo d’avventura. In una foresta, i protagonisti, circondati da selvaggi di turno, terrorizzati cercano disperatamente di difendersi, e l’autore con abilità descrittiva e con parole adeguate riesce trasmettere anche a noi lettori le medesime emozioni (paura, angoscia). È come se l’altro umano diventasse uno di noi, come se l’atto in corso dell’altro fosse la nostra esperienza.
 Questo è un fenomeno conosciuto come “empatia”, ovvero la capacità dell’essere umano di capire e di provare le emozioni degli altri. Più precisamente quando a esempio vediamo qualcuno che ha paura. È terrorizzato i nostri neuroni specchio non riproducono chiaramente la percezione della paura o del terrore, ma invece riproducono  la percezione emotiva e viscerale della paura: il nostro cuore aumenta la frequenza, sudiamo, ci si accappona la pelle e i muscoli si tendono, pronti alla fuga. Ma oltre a dedurre, con l’imitazione e la conoscenza degli stati d’animo altrui, le relazioni affettive e sociali, gli schemi di comportamento individuali e collettivi, l’agio e il disagio delle persone che incontriamo (emozioni positive), l’empatia è pure base delle nevrosi in quanto l’imitazione limita di portare dentro di sé, valori e schemi che non possono funzionare e che possono produrre delusione e rabbia ( emozioni negative).
 Secondo i neuro scienziati, l’empatia  è generata dai neuroni specchio, e il loro compito non è solo quello di interpretare le emozioni degli altri, ma anche di far provare quelle medesime emozioni o sensazioni. Questo meccanismo, già presente e utile per la sopravvivenza nell’uomo delle caverne, è stato geneticamente trasmesso a noi, e come allora anche ai nostri giorni ha il potere d’influenzare il nostro stato d’animo.
 Anche, dunque, ognuno di noi – nessuno escluso – può utilizzare al massimo questa straordinaria capacità innata per se stesso e soprattutto per cambiare in meglio lo stile di vita altrui, e dare una mano a risolvere i loro problemi o a superare un’emozione negativa
                                                                                                 E.C.

lunedì 7 marzo 2016

UN ROMANZO NON PUO' CURARE L'UOMO

In quel meraviglioso universo che è l’editoria nascono sempre nuove idee. Come conciliare, però, la passione dell’editoria di evasione con quella che pretende di stupire il lettore con qualche abbozzato mondo interiore del protagonista fatto di intricati viaggi verso l’inconscio e di tentativi di comprensione  di ispirazione psicoanalitica?
 Diamo per certo il dato che un libro di narrativa di vari premi letterari (quelli più importanti, come per esempio il premio Strega) fa molte vendite. È un po’ la regola della pubblicità; il marketing funziona e i profitti sono visibili. Non trascuriamo il vantaggio di un romanzo recensito o letto dai giurati o dai critici accreditati prima delle persone e l’hanno giudicato in grado di cambiare in toto l’animo umano. A volte indipendentemente dalla validità del testo. E non l’ultimo, il cosiddetto “caso letterario” un genere di romanzo a metà tra la narrazione e i consigli per i lettori per come ritrovare una “sana forma”. A questo punto chiudiamo la succinta disamina delle scelte editoriali proferendo che gli addetti ai lavori offrono un ampio ventaglio di generi di romanzi, poi, sul mettersi d’accordo sulla validità dei vari prodotti creativi ci pensa esclusivamente il mercato.
 Passando, ora doverosamente la palla agli scrittori, diremo che la stragrande maggioranza della variegata famiglia è concentrata sui dettami della psicologia comportamentale dell’uomo. Molto spesso, infatti, nella lettura di numerosi lavori abbiamo rivelato che gli autori sono letteralmente ossessionati da come gli esseri umani amano e odiano, discutono, litigano, stringono accordi, raccontano bugie e cercano di fare ordine in quel caos che è la quotidianità ordinaria, dove accadono gli eventi più emozionanti, più profondi, più straordinari.
 Ma uno scrittore non attinge materiale informativo dal suo mondo interiore o da quello di altri, anche se è uno psicologo o uno psichiatra.
 Chi scrive racconti, brevi o lunghi, non può pensare professionalmente  alle persone e alle loro motivazioni perché più che un lavoro letterario produrrebbe un saggio di psicopatologia, e quindi, sarebbe un vero fallimento. Tuttavia bisogna riconoscere che gli scrittori lavorano ogni giorno sui problemi umani esattamente come fanno gli psicoterapeuti, ma non hanno soluzioni idonee per far recuperare energie psichiche  spese dagli uomini nel vano tentativo di dare un senso alla disperazione, all’impotenza, al dolore, alla fragilità della loro anima.
 Condizionati dai media, però, molti lettori sostengono di trovare soluzioni ai problemi dei loro mali  esistenziali in certi libri. È la medicina, invece, che cura un essere umano sofferente e non la letteratura. I romanzi, infatti, sono generi di scrittura creativa che appartengono allo svago, all’intrattenimento, non alla terapia. Si compra e si legge un romanzo per dare alla mente nuovo nutrimento creativo, nuova linfa vitale per esplorare la natura umana o ambienti lontani, serve ben altro per far sprigionare maggiore energia di vita.

 Con buona pace di tutti quelli che credono che il mondo giri tutto intorno ai premi letterari prestigiosi, alle recensioni o ai loro progetti di marketing.