domenica 24 gennaio 2021

 

 

LA MALATTIA RENDE VULNERABILI

 

La malattia intesa come uno stato patologico per alterazione della funzione di un organo o più organi (Il Nuovo Zingarelli) ci fa diventare vulnerabili, fragili nel corpo e nella mente, per questo ci sentiamo spaventati e, soprattutto, disorientati. Con altre parole, la malattia porta con sé un profondo malessere psicologico che, in alcuni casi, può arrivare a cambiare anche in negativo il sistema di vita di ciascuno di noi. Inoltre, con diversi valori prognostici la patologia porta con sé dolore, solitudine, limitazioni alle normali attività quotidiane e a volte, nei momenti di maggiore sofferenza, di fragilità ci pone di fronte alla morte con tutte le domande per il credente e non, le paure, le angosce che generano in noi il pensiero finale della vita.

  Dal punto di vista psicologico, ciascuno di noi si comporta in modo diverso nell’accettare e vivere la malattia. Essere malati d’influenza, per esempio, è una situazione del tutto diversa che essere affetti di una grave patologia neurologica o tumorale. D’altronde nessuno è contento di essere ammalato. Per cui, quando si è colpiti da una patologia, si è pervasi da un senso d’angoscia e di disperazione, da questi momenti di umana esperienza di fragilità, originano le reazioni psicologiche più diverse perché varie sono le modalità di affrontare la singola malattia.

  Di sopra, abbiamo illustrato come ogni paziente si costruisce una propria modalità per vivere le debolezze e le fragilità generate dalle malattie. Ora passiamo ad analizzare i cambiamenti psicologici dei malati rispetto al concetto evolutivo della malattia e, nello specifico, delle categorie acute e croniche.

  Si parla di malattia acuta quando un morbo si manifesta improvvisamente e virulentemente e il suo effetto non comporta alla base nessun rischio per l’individuo, inoltre il suo perdurare è ritenuto in media breve, e ciò non lascia spazio a una riflessione e comprensione profonda della gravità. Ma pur vivendo in un contesto di temporanee limitatezze e di emozioni ferite, il paziente non perde mai la speranza per il futuro.  

  Quando la malattia da acuta perdura nell’individuo per un periodo indeterminato, spesso per l’intero corso della vita, si trasforma in cronica: l’esperienza del tempo cambia profondamente, i giorni sono sempre uguali, viene meno la speranza verso il futuro. Per cui, come afferma Eugenio Borgna, in ogni paziente non può non chiedersi con animo doloroso e angosciato cosa sarà ancora la mia vita, quali rapporti interpersonali saranno possibili, quali problemi quotidiani e quale impegno di lavoro mi saranno possibili, come accoglieranno gli altri, soprattutto la mia famiglia la mia debolezza e la mia fragilità, e quale aiuto sarà loro possibile darmi.

  Il primo punto di riferimento del malato cronico è l’ospedale. In queste strutture sanitarie, l’ammalato può trovare trattamenti adeguati al suo caso specifico, al di fuori della così detta “alleanza terapeutica” tra medico e paziente. Il medico ha il compito di prospettare al paziente e ai familiari, i vantaggi delle nuove terapie mediche e chirurgiche che riguardano il suo caso. Spesso, però, i sanitari si dimenticano – per mancanza di disponibilità - che dietro quel “caso” c’è una persona fragile, vulnerabile ferita dal dolore e dall’angoscia; e sarebbe invece sufficiente uno sguardo dolce o un sorriso ad alleviare il dolore psichico.

  Raramente, per osservazione personale, gli effetti di una malattia cronica si limitano al solo individuo malato, perché l’ansia, l’angoscia che prova l’ammalato la prova anche la persona che gli è vicina.

  La presenza in casa di un paziente con patologia cronica incide, più o meno profondo, su tutti i componenti del nucleo familiare, che diventano più vulnerabili, sostengono impegni quotidiani spesso molto gravi, derivanti dal lavoro di cura, dalla continuità dell’impegno, dell’intensità emotiva generata dal costante confronto con la sofferenza psicofisica e la morte.

 In conclusione, scoprirsi ammalato, soprattutto cronico, l’esaurimento delle forze fisiche ed emozionali causato dal morbo, diventa fonte di fragilità, di vulnerabilità per l’ammalato e anche per il familiare, che giornalmente lo assiste.