giovedì 14 maggio 2015

LA FRAGILITA' UMANA, UNA EMOZIONE DEBOLE

Da una sensazione di stretta al torace in seguito ad uno scontro verbale con un familiare o con un caro amico, all’improvviso e apparente immotivato vuoto mentale alla vigilia di un esame a scuola o all’università oppure di un importante dibattito pubblico e , ancora, la sensazione d’angoscia alla notizia di una grave malattia fisica, la nostra umana fragilità è presente in diverse forme in ogni ora e in ogni stagione della nostra vita.
  Come  definire e percepire la fragilità umana?
 Il concetto di fragilità è stato oggetto di continuo interesse in questi ultimi decenni e, benché ampio spazio vi sia stato dato dalla letteratura scientifica non si è raggiunto pieno accordo sui criteri per individuarlo. Tuttavia, per quanto riguarda la nostra ricerca, il Professore Eugenio Borgna, psichiatra e fenomenologo di fama, sostienine che a differenza di quanto abitualmente i dizionari considerano la fragilità come indice di gracilità, di scarsa consistenza, di debolezza, oggi le cose sono cambiate nel senso semantico, perché  accanto ai significati ora indicati, il dizionario ( Il Dizionario analogico della lingua italiana edito nel 2011 da Zanichelli) assegna alla fragilità i significati di sensibilità, di vulnerabilità, di delicatezza e del loro possibile incrinarsi nel corso della vita. Borgna conclude definendo la fragilità come qualcosa che facilmente si rompe , e fragile è un equilibrio psichico che facilmente si frantuma.
  Presente sin dalla nascita, la fragilità umana come una via attraversa zigzagando e oscillando  le varie stagioni dell’esistenza, lambendo varie aree tematiche talora apparentemente lontane tra loro.  Se, quindi, la fragilità è una esperienza umana, ci sono anche momenti in cui la presenza, o almeno la sua percezione, si accentua , o si inaridisce, ma in ogni caso dovremmo educarci a riconoscerla negli altri e in noi.
  Su questo particolare aspetto pare che la cultura contemporanea non dia risposte adeguate, o sufficienti. Il nostro, infatti, è il tempo della ricerca dell’ effimero, del benessere psicofisico e della rinuncia delle mete di alto profilo. Un siffatto vivere permette di favorire il nascere di tipi ideali: l’uomo efficiente fisicamente e psicologicamente, esteticamente disposto al perfetto, in continua ricerca di successo. Ma dietro la facciata di tanta sicurezza e forza, fioriscono diversi drammi d’inferiorità psicofisica, dipendenza e solitudine, grettezza ed egoismo.
  Dal punto di vista psicologico, il problema  non ha facili risoluzioni,  anche se non manchino echi di future speranze. Rimangono  soprattutto da risolvere i molteplici fattori che oggi rendono la persona indifesa ed esposta alle intemperie quotidiane della vita e resi più crudi da una cultura che ha insegnato e continua ad insegnare a nascondere le debolezze, a non far emergere i difetti che impediscono di far risaltare i pregi e la stima di se stessi.
 Di seguito, analizzeremo brevemente alcune situazioni di particolare disagio psichico:
-         L’arrivo del bambino.
Nelle prime fasi di vita, il neonato deve ricevere dai genitori, e in modo particolare dalla madre, moltissime cure, perché  noi siamo, tra i primati, gli individui più vulnerabili. Compito abbastanza arduo per molte giovane madri, che oggi sono disoccupate e non hanno disponibilità economiche per accogliere e crescere la propria creatura.
-         La malattia.
 La malattia  modifica il modo di vivere di ciascuno di noi, ci rende fragili nell’anima e nel corpo, e bisognevoli di accoglienza  di chi circonda il letto. Spesso i ritmi quotidiani della famiglia si dissestano, creando un notevole disagio assistenziale e organizzativo tra i componenti.
-         Relazioni interpersonali.
La nostra fragilità si svolge e si articola con l’ambiente naturale e con gli altri esseri umani. Questa innata capacità di stare insieme, è a volte resa difficile dalla presa di coscienza della propria debolezza  psichica. Tuttavia,  non essendo auto sufficienti, siamo aperti alle parole e ai gesti degli altri.
-         La condizione anziana.
Un evidente pregiudizio assedia  la terza età della vita nella sua fragilità, di questa età considerata inutile, forse perché gli anziani non possono più avere un ruolo attivo nella società contemporanea; e non è facile sfuggire al fascino malefico del pregiudizio che nel suo intimo nasconde il disprezzo per la debolezza psicofisica  che si manifesta nella vita incrinata dalla malattia, dagli handicap e dalla condizione anziana intesa come una vita nella quale le emozioni e gli stati d’anima si inaridiscono e si svuotano di aspetto spirituale e religioso. Ma ciò non risponde al vero, perché la vita emozionale rimane autentica e dotata di senso anche nella condizione di terza età.
   L’anziano va dunque considerato soggetto attivo alla costruzione della società, secondo le possibilità di ciascuno. In tal senso una società matura è chiamata a non tralasciare l’anziano bensì a promuoverne le risorse di cultura, di trasmissioni di valori e di vissuti, di abilità e capacità attuali individuali e di spiritualità.
   Argomento attuale, la fragilità umana, di grande interesse, che sarà oggetto dei nostri prossimi interventi.
                                                                      E. C.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        

sabato 2 maggio 2015

LIBRI-LIBRI

ATTI OSCENI IN LUOGO PRIVATO
di Marco Missiroli
  Sinossi
Questa è una storia che comincia una sera a cena, quando Libero Marsell, dodicenne, intuisce come si può imparare ad amare. La famiglia si è da poco trasferita a Parigi. La madre ha iniziato a tradire il padre. Questa è la storia, raccontata in prima persona, di quel dodicenne che da allora si affaccia nel mondo guidato dalla luce cristallina del suo nome. Si muove come una sonda dentro la separazione dei genitori, dentro il grande teatro dell'immaginazione onanistica, dentro il misterioso mondo degli adulti. Misura il fascino della madre, gli orizzonti sognatori del padre, il labirinto magico della città. Avverte prima con le antenne dell'infanzia, poi con le urgenze della maturità, il generoso e confidente mondo delle donne. Le Grand Liberò, così lo chiama Marie, bibliotecaria del IV arrondissement, dispensatrice di saggezza, innamorata dei libri e della sua solitudine, è pronto a conoscere la perdita di sé nel sesso e nell'amore. Lunette lo porta sin dove arrivano, insieme alla dedizione, la gelosia e lo strazio. Quando quella passione si strappa, per Libero è tempo di cambiare. Da Parigi a Milano, dallo Straniero di Camus al Deserto dei Tartari di Buzzati, dai Deux Magots, caffè esistenzialista, all'osteria di Giorgio sui Navigli, da Lunette alle "trentun tacche" delle nuove avventure che lo conducono, come un destino di libertà, al sentimento per Anna.
  Nota critica
Ho già avuto occasione, in precedenti interventi sui primi romanzi, di conoscere e apprezzare l’istinto creativo di Marco Missiroli, capace di trasmettere una sensibilità palpitante, una emozione preziosa che si fa visibile nelle pagine del suo prodotto. In questo ultimo lungo racconto, i sentimenti e le emozioni, che nei precedenti romanzi abbiamo rilevato e analizzato, sono presenti con rinnovata intensità, nel senso che gli eventi trasmettono reali stati affettivi come antidoti contro i piccoli grandi drammi dell’esistenza.
 A prima lettura il romanzo si presenta come lo sviluppo psicosessuale di un bambino. Accettabile  dal punto di vista del genere letterario, ma da quello descrittivo è soprattutto la storia di un quasi dodicenne, Libero, che diventa ragazzo e poi uomo, che affronta con i suoi dubbi e le sue curiosità il tortuoso percorso della vita quotidiana. Insomma un processo evolutivo di un essere umano che lo scrittore analizza con fine sensibilità descrittiva, mettendone in luce i processi di maturazione sociale, affettiva e anche sessuale che sono gli aspetti psicologici fondamentali per definire la propria identità.