sabato 19 dicembre 2015

PER UNA VITA EMOTIVA ACCETTABILE

Keith Oatley, docente di Psicologia cognitiva, presso l’ Università di Toronto, dopo  una lunga ricerca scientifica, afferma che per gli antichi greci e romani, popoli particolarmente attenti a esprimere e ad individuare particolari stati dell’animo, le emozioni da cui bisognava guardarsi erano la ybris ( nella mitologia greca atteggiamento  arrogante dell’uomo che, presumendo troppo di sé, arriva a violare le leggi morali e divine, meritando di conseguenza il castigo degli dei. Garzanti Linguistica) e l’ira, da cui tutt’oggi non ci siamo ancora totalmente liberati.
  Analizzando alcuni aspetti antropologici, psicologici e sociali della nostra attuale società, nel settore pubblico, e in parte anche in quello privato, possiamo vedere che l’ybris , cioè l’arroganza, la presunzione, rende i capi e i capetti, completamente  convulsi e avidi di potere e di dominare gli altri. Per quanto riguarda l’ira, merita particolare attenzione la vita familiare perché è la prima scuola psicopedagogica nella quale apprendiamo insegnamenti riguardanti la vita emotiva. Per cui, come centinaia di studi dimostrano, nell’intimità familiare i più deleteri, i più distruttivi modi che vengono trasmessi dai genitori ai figli sono gli abusi – di vario genere - e i comportamenti rabbiosi, che possono agire come una sorta di messaggio genetico della violenza.
  A tale proposito, da una ricerca moderna sono stati acquisiti dati certi che dimostrano  la correlazione tra la presenza di un gene di bassa attività di una sostanza che agisce sugli effetti del maltrattamento dei bambini e una storia di abusi e di maltrattamenti subiti durante l’infanzia. I bambini, infatti, con un gene di bassa attività e che durante il periodo di crescita psicofisica hanno subito maltrattamenti più o meno gravi, hanno più probabilità di mostrare comportamenti aggressivi e violenti, per esempio:il bullismo.
  La stessa originale  ricerca ha messo in evidenza il modo con cui alcuni geni si combinano con la storia caratterizzata da eventi stressanti per indurre la depressione. In sintesi, la mancanza di produzione di serotonina – sostanza prodotta dal cervello che è coinvolta in numerose e importanti funzioni biologiche – è un fattore di vulnerabilità per la depressione. Naturalmente, non ha effetto da sola, ma può essere potenziata quando nella vita del soggetto si verificano avvenimenti gravi: lutti, perdita di lavoro e così via. Oggi sappiamo che la depressione compromette e limita moltissime persone. Diverse depressioni guariscono. Per la maggioranza delle persone colpite, il periodo difficile si supera, grazie ai moderni sistemi di terapia psicologici e farmacologici.  
  Percorrendo la storia della nostra civiltà, Oatley traccia un breve profilo psicologico delle pratiche mentali che permettono di regolare le emozioni, nel passato  e nel presente. Così, la eliminazione di tutti i sentimenti proposta dagli stoici, ai moderni  le emozioni d’amore sono le massime espressioni dell’uomo. E un essere umano che non si indigna e non prova compassione di fronte ad atrocità come l’Olocausto, o perfino a una ingiustizia sul lavoro, per la mentalità contemporanea è meschino e disumano. Nel I secolo avvennero una serie di cambiamenti nell’idea di pietà, o meglio di compassione, ma non furono i soli. Lentamente migliorarono le condizioni di vita, le persone cominciarono a stare meglio, a nutrirsi correttamente e ad avere un certo controllo sulla salute. Tuttavia ,oggi  in quelle parti del mondo lacerate dai conflitti , in cui la mancanza di cibo è persistente o è in vigore la tirannia politica, la vita può essere ancora sporca, disumana ed effimera.
  All’inizio del XXI secolo, grazie alla tecnologia possiamo viaggiare, mangiare in abbondanza e divertirci.  E ciò che più conta la vita è più sicura e più vivibile che nel passato.
  Quindi, bisogna cercare di non isolarsi dall’ambiente umano e naturale che ci circonda – come proponevano gli stoici -, ma cogliere e conservare il meglio delle loro proposte e nel contempo dare massima priorità alle emozioni di affetto e di reciproca fiducia.


giovedì 10 dicembre 2015

LA SPERANZA VIRTU' FRAGILE O FORTE?

  Da diversi anni nelle istituzioni pubbliche e private è quasi consuetudine dipingere  con colori grigi per adolescenti e giovani ventenni un quadro privo di prospettive favorevoli del futuro, per via delle conclamate crisi riguardante l’aspetto economico, la scala dei valori e soprattutto il nucleo familiare. Certamente, come ben sappiamo, le previsioni non sono ottimiste, tuttavia molti studiosi di varie discipline sostengono che non è possibile negare ai  ragazzi e ai giovani della nuova generazione un domani di  segno positivo.
  A nostra pare, quanto appena detto ci invita a riflettere sull'essenza della speranza e della sua importanza, quando nella vita quotidiano si affrontano problemi di varia natura.
  Iniziamo il nostro percorso analitico citando la riflessione sulla speranza di Papa Francesco:<<la più umile delle virtù, perché si nasconde alla vita. È una virtù rischiosa, una virtù, come dice San Paolo, di un’ardente aspettativa verso  la rivelazione del Figlio di Dio. Non è un’illusione>>, da Osservatore Romano, n°249, merc. 30/10/2013).
  Dal punto di vista semantico, la speranza  è <<l’aspettazione fiduciosa di qualcosa  in cui si è certi o ci si augura che consista il proprio bene, o di qualcosa che ci si augura avvenga secondo i propri desideri>>, Il Nuovo Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana.
  In ambito psicologico si è discusso molto tempo sulla natura della speranza. Per alcuni ricercatori la speranza come virtù non rientra nella grande famiglia delle emozioni per carenza di elementi biologici e fisiologici; per altri, invece,  attribuiscono alla speranza un compito importante che è quello di sostenere la motivazione, perché senza speranza cede ogni possibilità di cambiamento soprattutto in situazioni di grave disagio psichico.
   Queste invece sono le parole di uno psichiatra contemporaneo e fenomenologo di fama, Eugenio Borgna che dice:<< Quando speriamo, quando in noi nasce la speranza, ne avvertiamo la fragilità, la vulnerabilità e l’apparente inconsistenza, e nondimeno la speranza ha una sua durata, e una sua tenuta psicologica e umana, che sono in flagrante contraddizione con la sua fragilità.>>, da La fragilità che è in noi, Einaudi, 2014, pag.32.
  A questo punto del nostro discorso  diciamo che se non è una << illusione>> allora è evidente la duplice natura della speranza, nel senso che è fragile quando essa si manifesta in particolari condizioni ferite dalla disperazione e dall'angoscia, è forte quando invece nei momenti più critici da la possibilità di trovare la risoluzione ai problemi. Leggiamo qualche esempio.
  Per esperienza clinica sappiamo che la speranza estremamente fragile si manifesta in ogni sindrome depressiva, caratterizza dalla diminuzione lieve o grave del tono dell’umore e dalla profonda tristezza e desolazione dell’anima. La persona affetta da malinconia patologica è pessimista, si vede in un modo negativo. Può credere di essere senza speranza e senza aiuto e spesso si rimprovera di non impegnarsi in attività che vorrebbero rendergli la vita più piacevole e persino dell’incapacità di non riuscire a piangere. Quando lo stato depressivo inizia a regredire, qualcosa comincia a cambiare. Il pessimismo lentamente si allontana, mentre la nuova luce della speranza – che era stata travolta e spenta dalle correnti del dolore e della sofferenza psichica - incomincia a comparire e inizia a rompere il muro di silenzio e di ombre del buco nero, dove era precipitata, per illuminare il cammino verso il futuro.
  Nell'esempio che segue, consideriamo la speranza come una virtù forte che ha il coraggio di guardare lontano, come slancio vitale che non si fa abbattere dai momenti più critici. È questo tipo di speranza che tiene viva la tensione e annulla le ombre interiori dell’impotenza di migliaia di studiosi di varie discipline che  nei loro laboratori quotidianamente si scontrano con insuccessi parziali o totali, e il giorno dopo con una costanza certosina sono pronti a riprendere i loro lavori, proprio perché  sanno perfettamente che nel campo scientifico non si può predire la data precisa per raggiungere il risultato positivo.
  Ma la di là della natura fragile o forte,  la speranza è una virtù preziosa  per la vita di ognuno di noi.

                                                                                     E. C.

domenica 22 novembre 2015

LE EMOZIONI PIU' SEGRETE

 nell’opera “Passaggio in ombra” 
di Maria Teresa Di Lasci
Sappiamo bene di fare un’operazione psicologica di scavo e di rilievo nei labirinti profondi della coscienza, apprestandoci ad analizzare l’unico romanzo completo, ricco di emozioni, di sentimenti e stile, Passaggio in ombra  Premio Strega 1955,di Maria Teresa Di Lascia(Rocchetta Sant’Antonio 1954 – Roma 1994), un’operazione priva di manipolazioni ideologiche in una sostanza così strettamente personale e dolorosa che viene evocata in superficie per cercare di pacificarsi.
   Ripercorrendo a brevi linee la biobibliografia della grande scrittrice pugliese diciamo che spese la maggiore parte della sua breve esistenza – si spense a soli quarant’anni per un tumore – impegnata, dopo una parentesi di studi di medicina, sul campo irto di tante difficoltà dei diritti umani e civili all’interno del Partito Radicale prima come vice segretario e poi come deputato, al punto da fondare la Lega Internazionale <<Nessuno tocchi Caino>> per l’abolizione della pena capitale nel mondo e di promuovere  la campagna <<Io digiuno>> a favore delle vittime dalla ex Jugoslavia.
   Nel 1988 possiamo collocare il suo esordio letterario, anno in cui scrisse ma non pubblicò il romanzo “La coda della lucertola” e la prima stesura del romanzo Passaggio in ombra che verrà pubblicato da Feltrinelli quattro anni dopo, e nel 1955 aveva iniziato a scrivere un nuovo romanzo, “Le relazioni sentimentali” rimasto incompiuto. A queste prove di narrativa, seguirono la pubblicazione di quattro racconti, con uno dei quali, Compleanno, vinse il Premio Millelire.
   Ambientato in un luogo geograficamente definito e individuato, un paesino della Puglia del dopo il secondo conflitto mondiale, il romanzo, Passaggio in ombra, è fatto di due parti: “L’audacia”e “Il silenzio”. Nella prima parte del romanzo chiaramente realistico di antica memoria impreziosito da descrizioni psicologiche di ambienti umani e naturali, si racconta, dal punto di vista della bambina protagonista, Chiara, la storia del padre che non ha ancora regolarizzato la sua posizione e della giovane molto amata  madre nubile, che attenderà invano in chiesa, insieme alla figlia e ai parenti e sotto gli occhi curiosi di tutti gli abitanti del paese, l’arrivo in chiesa dello sposo e padre. Ma lui non viene, si rifiuta di contrarre il matrimonio e anche di esercitare la paternità, più per un condizionata irresponsabilità che per mancanza di affettività. Poi la protagonista racconta la morte della madre, sopravvissuta a questo doloroso affronto e i rapporti con le zie. Nella seconda parte del romanzo di genere introspettivo, Chiara ormai adolescente racconta l’amore impossibile da realizzare per il rapporto di parentela ed esclusivo che giorno dopo giorno nasce in lei, per il cugino illegittimo  -“Bastardo”-. Questo sentimento amoroso puro diventa il tema ossessivo del romanzo. Ma anche il cugino come si era comportato il padre, nel momento della scelta decisiva fuggirà e la lascerà sola.
   Insomma, possiamo concludere questa breve sintesi di un libro, i cui fili della storia complessa e meravigliosa, descritti attraverso il filtro, lungo e lento, della memoria, con il giudizio critico di Ettore Catalano:”la protagonista chiusa in un suo sogno d’amore diviso tra innocenza e tentazione, dà vita a pagine visionarie, certo, ma rette ancora dall’illusione di “dire” e raccontare la storia di un disfacimento, di un asma metaforico attraverso strategie che negano la realtà delle apparenze e disoccultano verità nascoste”, (1).
    Incamminandoci in punta di piedi in questo lungo viaggio sentimentale a ritroso, dove i ricordi dell’autrice, attraverso il personaggio Chiara ci rivelano le sensazioni, i pensieri, le intime emozioni di una bambina ormai diventata donna, il nostro scandaglio analitico sarà profondo e preciso nel tessuto semantico, atto a individuare, selezionare ed evidenziare nel vasto spettro di stati d’animo le tensioni e le angosce che affliggono i personaggi.
   Sin dall’inizio della storia cogliamo nella voce dell’io narrante i pensieri e le emozioni  più intime che sorgono dal profondo in determinati momenti di tensione interna quando l’io avverte l’urgenza di una particolare situazione, carezzevole come nella seguente occasione:”Io ero in braccio a mia madre e, da quel nido amoroso, guardavo il mondo sconosciuto che mi si apriva davanti” mentre con altrettanto immediatezza mette a nudo la sua fedeltà di pensiero:”Certe creature irrisolte, che denunciano fin dall’aspetto il proprio ibrido destino, non ho mai osato smemorarmi di me stessa totalmente: così, dunque, non mi sono liberata delle cose fino a divenire una folle. Prigioniera della mia vita, sono rimasta una creatura di confine”, e ancora confrontandosi con un coraggio di donna matura ed esperta con la verità dolorosa della realtà palpitante che la circonda, senza tanti veli retorici esprime il suo disagio:”Guardavo quel piccolo incendio che mi divampava dentro e piangevo di rabbia e di dolore: come avevo potuto  sbagliarmi tanto su di lui; come avevo essere tanto ingenua da non capire chi era veramente! Ne avevo fatto un dio…invece era un vigliacco, un pavido, un pusillanime!”.                                                        
   Nello scrigno della memoria di Chiara dimoravano diverse figure femminili amate, tra le quali spicca per nitidezza quella di Anita, la madre,  descritta come una coraggiosa e giovanissima “mammana”, che, nonostante i continui abbandoni, continuava ancora ad amare Francesco, il suo  seduttore e padre biologico di Chiara. Per cui dopo tanti anni di assoluto silenzio “Quando lo aveva visto sulla porta di casa, forse con lo stesso cappotto dei loro incontri, aveva sentito un tuffo al cuore e la forza di quella spinta nel sangue l’aveva fatta tremare fino alla radice dei capelli. Si era ripresa subito, perché sapeva dissimulare le emozioni e controllare i sentimenti”; e seguendo la via del cuore, il richiamo primordiale dell’istinto materno, superò tutti di dubbi compreso il suo egoismo,  placò ciò  “che rispuntavano  da un angolo remoto dell’animo e la inquietavano con domande insidiose” ,  per non far crescere la figlia senza padre “Chiara non ti conosce, disse. Deciderà lei se ti vuole per padre”.
   Alle figure dominanti di Chiara e Anita, l’io narrante affianca quella della zia Peppina, una donna descritta con pennellate sapienti di psicologia analitica, tali da rendere evidente, nei suoi elementi essenziali, la sua complessa e intricata personalità. Quindi, tralasciando altre strade che  potrebbero infittire le immagini tratte già dal mondo misterioso della coscienza,  prendiamo  in esame alcuni brani in cui le parole sono veicoli naturali e rivelatori di conoscenze psicologiche acquisite. In un clima misurato e solare cogliamo i frutti di questo lavoro descrittivo:”Mia zia era, a suo modo, una conoscitrice di caratteri. Benché le cose che comprendeva degli altri fossero inutili per definire una personalità o per indirizzare i comportamenti, tuttavia coglieva certi aspetti dei sentimenti e delle passioni che erano nella loro stravaganza, quanto di meno vago possa esistere. “,  e senza il pur minimo turbamento l’io esprime una particolare e profonda osservazione della propria realtà nel rapporto con la zia:”Io vi aderii per opportunismo e per vigliaccheria: nascosta dietro i rumori confusi del suo delirio, riparata dalla distrazione delle sue gesta, ho potuto tessere la trama del mio disfacimento”, ancora, nel procedere del discorso  analitico, non stupisce  la bugia in risposta della nipote  al comportamento furioso della zia Peppina “Alle domande incalzanti e alle grida acute con cui mi assaliva, rispondevo nell’unico modo che, sebbene disperandola placava i suoi furori: avevo avuto un attacco d’ansia”.
   Emozioni fitte e articolate percorrono le azioni dell’io narrante senza mai coprirle con veli retorici o con sentimentalismo ideologico, il risultato sono  esempi raffinati di trovate psicologiche per dare un senso alle proprie sofferenze psichiche, ai pregiudizi morali del proprio ambiente umano.  E quando la balia dice a Chiare che i genitori non sono sposati,”A quel punto, piansi disperata, lanciando grida che furono sentite anche nella piazza”.
   Proseguendo l’argomento emotivo, troviamo modalità e toni diversi per esprimere nuovi comportamenti che rendono credibili le immagini offerte agli occhi dei lettori, e vi riesce soprattutto nei rapporti col padre “Ma io non ero sempre la bambina affettuosa e leale che egli mi credeva…mi piaceva mettere alla prova tutta la sua devozione per me…senza avere nessuna considerazione dei suoi sentimenti, e anzi abusandone” e per dare visibilità alla sua motivazione interiore, nutrita da una strana punta d’orgoglio, dà voce al suo pensiero “Tuttavia conservo, con assoluta attualità, il sentimento appagato del trionfo: un benessere un po’ cannibale che si nutriva della sua apprensione nell’attesa che io tornassi a essere Chiara di papà.”. le vicende giudiziarie del padre richiamano alla coscienza di Chiara nuove emozioni, che acquistano rilevanza particolare in quanto rendono più verde le scene quotidiane di vita familiare “Dopo l’arresto di mio padre, mi accadeva spesso di non pensare a nulla e di restare attonita, come fossi catturata in uno spazio senza uscite dal quale riemergevo solo per un richiamo ostinato di Anita o grazie  a un evento particolarmente rumoroso. Il  mio ritorno alla realtà aveva la lentezza stuporosa che accompagna una lunga malattia…”. Vicina al capezzale della madre morente, Chiara rifiuta le attenzioni affettive paterne; il suono della voce ha modificato le tinte originali; i momenti di massima intensità emotiva rappresentano la dolorosa fine di un amore, forse mai nato “Lo guardai con durezza, senza farmi commuovere, e il rifiuto prese dentro me la sua forma più gretta. No, gli dissi senza parlare. No, non ti perdono!”.
   Ma se anche nel romanzo si possono individuare scene di penosi abbandoni, scene di angoscia esistenziale di particolare intensità, Mariateresa con un tocco di grazia dispiega la voce del cuore, fa vivere in toto la passione amorosa ora esclusiva nella forma emotiva nella relazione tra i due innamorati “”Saverio!” implorai, chiamando il suo caro nome. “Saverio!”. Il pensiero che egli potesse essere scomparso prese forma lentamente, ma fu scacciato dalla veemenza del mio amore. “Impossibile” mi ripetevo, “impossibile. Non può andarsene, come non potrei farlo io! Siamo l’uno dentro l’altra!””, e seguendo la via primordiale dell’istinto, la giovanissima Chiara chiede a gran voce il diritto di amare e di essere amata “In questi occhi vorrei perdermi per sempre, anima mia! Così sussurro, mentre cerco la bocca che intento si è schiusa sui denti che illuminano la notte. Poso le mie labbra sulle sue in un bacio casto come il primo suggimento di un neonato. “Vita mia!” lo imploro, e sento che non vivrò senza di lui”, ancora, con la segreta speranza di poter realizzare il suo sogno, abbandona ogni tipo di riserva e risoluta esprime il suo desiderio”Oh, poterti dire sùbito:”Sono tua!” Poterti dire subito:”Fuggiamo! Non c’è tempo, mettiamo in salvo il nostro amore…”.
   Dietro i buoni propositi che dovrebbero cullare future speranze di felicità, spesso invece si celano inganni, disillusioni e tante espressioni di amarezze che riempiono i vuoti dell’anima. Restano i ricordi? “Forse, mi dico, forse”.
    Maria Teresa Di Lascia, dunque, è una scrittrice riservata, originale che trae dai suoi diversi stati d’animo affascinanti e coinvolgenti motivazioni che, con un lavoro di scavo profondo, analizza e trasmette senza compiacimento o manipolazioni concettuali le proprie ansie, le proprie emozioni e i propri sentimenti più intimi.  
                


NOTA
1)    E. Catalano, Le ragioni di un Convegno in La saggezza della Letteratura,  a cura di Ettore Catalano, Bari, Edizioni G. Laterza, 2005, pag. 23.


    

giovedì 12 novembre 2015

ELEMENTI EMOTIVI E MENTALI NELLA POESIA di EWA LIPSKA

In un nostro precedente intervento sulla vasta produzione in versi e in prosa di Ewa Lipska - una delle più importanti poetesse polacche contemporanee - mettemmo in evidenza le principali caratteristiche della sua creatività nel campo poetico e precisamente l'innata abilità ad arguire gli elementi più limpidi del mondo e dei mutamenti dell'animo e comunicarli con una scrittura raffinata e intesa.      
  Questi stessi elementi distintivi li rileviamo ora, dopo un’attenta lettura di alcune liriche scelte e pubblicate su vari riviste, cartacee e online, naturalmente, con rinnovato cipiglio compositivo, nel senso che trasmettono nuove percezioni ora decantate in un linguaggio caratteristico ed espressivo, ora turbate da un flusso d’angoscia, emozioni fragili che prive di veli crepuscolari si concretizzano nei versi delle varie composizioni.
 Prima di procedere nella nostra analisi, per chiarire quanto appena detto, riteniamo opportuno aggiungere che sarebbe riduttivo considerare queste poesie al pari di un semplice tentativo di esorcizzare l’angoscia insita nella sua sfera psichica e della stessa precarietà dell’esistenza: la silloge è, invece, una sapiente selezione di componimenti il cui tono misurato e spesso monocorde dell’ansia,  condivide gli esiti estetici di un flusso continuo di sentimenti e di varie emozioni, che stazionano in tutte le liriche.
Passando brevemente all'analisi del contenuto, notiamo che pur non costituendo un libro compatto, queste liriche sparse, con la loro presenza, testimoniano la conquista di una più equilibrata certezza tra la fragilità dell’emozioni e il mistero dell’esistenza condannata a morire.
  Dal punto di vista dell’architettura compositiva,  ci limitiamo a dire che le poesie presentano dei versi essenziali su un monologo interiore. Versi liberi con un loro ritmo, particolare per ogni composizione.  Pregiate, invece sono le poesie della Lipska, le quali hanno la freschezza di una sorgente d’acqua che sgorga tra le rocce: non si rivestono di complicazioni intellettualistiche, non si arroccano sull’arroganza dei significati. Ogni composizione arriva alla sua sintesi lirica attraverso un labirinto di sensazioni da cui trae, poi, la scintilla ritenuta necessaria per manifestare fino in fondo la sua gioia o la sua angoscia, le sue esaltazioni, le sue emozioni: sono le emozioni , in gran parte, a fare da sottofondo a queste poesie , come in, VETRI, che di seguito analizziamo.
  La poesia si apre con un quadretto che ritrae a tinte soffuse la scena mattutina di alcune donne appena sveglie e dietro di loro il brulicante paesaggio, urbano e  umano. Il quadretto non ha finalità descrittiva, piuttosto evidenzia una continuità di variazioni d’umore, che si succedono secondo una scala di opposti: tristezza e gioia, emozioni fragili. Sono passaggi che contengono e sviluppano temi con coerenza e sapienza stilistica. Così le riflessioni esistenziali diventano veicoli emotivi dell’esistenza umana, che oggettivano in un linguaggio limpido e armonico i sentimenti ben riposti. Leggiamo alcuni versi:
<<Nel paesaggio ci sono i tavoli. Sui tavoli c’è il vino./  A un tavolo una ragazza/. Nella ragazza c’è il sorriso/ E nel sorriso c’è tristezza. E tutto è/ come al cinema/ in quei vetri oblunghi. Nella ragazza c’è il sorriso/. Fa pena guardare. Donne assonnate/ Nelle donne c’è l’amore. Nell'amore c’è la fine/  E poi ci sono vetri oblunghi/ e la tristezza. Viaggiatori. Nell'amore c’è la fine>>. Nel limpido ambiente urbano si fa strada un sottile velo malinconico, di quella malinconia che non ha nessun nesso con la psicopatologia. È un momento di tristezza indispensabile per raggiungere una conoscenza più profonda di se stessi e delle proprie emozioni.
 E ancora, in questo inarrestabile flusso coscienziale, misurato e lento di una attività creativa che tenta di dare un senso alla paura insita nel DNA dell’eterno, del suo profondo mistero e alla violenza che passa, in varie forme, tra gli uomini, da cui nessuno è esente: una paura e una violenza che sono dentro di noi, quanto più noi l’attribuiamo agli altri. Leggiamo:
<<Nei viaggiatori c’è il treno/. Battono in essi le ruote/. E nelle ruote c’è l’eterno/.Nell’eterno c’è la paura/. E nella paura c’è il silenzio/. E nel silenzio più silenzioso/. Nei viaggiatori c’è il treno/. E il continuo gioco delle ruote/. Che pena guardare/. La truppa marcia/. Nel soldato c’è la pallottola/. E nella pallottola c’è la morte/. E nella morte c’è tutto e nulla c’è nella morte.>>.
 Sebbene la nostra analisi abbia sin qui rilevato momenti di riflessioni esistenziali modellate su un flusso verbale malinconico con tutte le sue sfumature, nei versi delle poesie che seguono notiamo una Lipska che presenta un dettato diverso rispetto al precedente, nel senso che una voce più chiara e discreta riduce la tensione interna:
 << < L’amore è un indovino/. Prevede se stesso te e me/. È del popolo eletto/ e usa una lingua/ ad alta tensione>>, Amore, e ancora sullo stesso tono alcuni versi caratterizzati da una metodologia analitica finalizzata a rilevare varietà di caratteri e di situazioni reali:
<<Una vecchietta ha preso un sonnifero/ ed è tornata indietro/. La veglia è sopraggiunta inattesa/. Le ho comunicato soltanto il dolore della testa/ posata male sul cuscino>>,  Sogno

 Il mondo psicologico e letterario di Ewa Lipska è, dunque, lo specchio analitico di uno schema narrativo raffinato e intenso, caratterizzato da variazioni di umori, a volte malinconiche , a volte simpatiche,  introspettivo privo dell’ottica psicopatologica, in una girandola di emozioni, di elementi mentali godibili e di varie figure retoriche, attraverso la voce recitante dell’io poetico vigile, pacato ma mai presenzialista, piuttosto si associa al coro degli altri attori. Una scrittura moderna, che merita ulteriore attenzione dei lettori e dei critici.
                                                                                                       E.C.


lunedì 19 ottobre 2015

L'UMANO SISTEMA FOGNIARIO

In questo romanzo, Cosimo Argentina ha collocato –come ha affermato in un’intervista - <<la parte peggiore della sua mente>> consistente in varie paranoie e grosse risate.
Un misto questo che può apparire, da una lettura superficiale, un coacervo di situazioni di vita frustranti e di reazioni a momenti di rabbia o di tristezza, invece è il frutto di un razionale percorso  cognitivo ed emotivo,  che dà vitalità alla storia di un personaggio figlio del degrado ordinario di una città di provincia poco attenta alle condizioni di vivibilità della popolazione.  
 Il protagonista è il ventottenne  Emiliano Maresca, un giovane problematico non baciato dalla natura e neanche dalla società civile, un lavoro stressante in un capannone industriale, due bizzarri amici con cui condivide le scorribande per le periferie della città, una donna che ama ma non è corrisposto e la madre altrettanto derelitta, che prima di morire gli rivela l’identità del padre. Dopo il decesso la chiude nel frigorifero per continuare a godere della sua pensione. La scoperta del padre porta anche la scoperta di due sorelle. Da questa sconcertante notizia nasce l’idea di realizzare una <<CATTIVA>> vendetta con l’aiuto dei suoi amici, il tutto sullo sfondo di una città fantasma, Taranto appunto.
  Prima di proseguire, è giusto dire che rilevare e interpretare sentimenti ed emozioni dei protagonisti, così abilmente locati tra gli elementi sociali di rilevante attualità, con un metodo analitico in grado di andare oltre la psicologia intimistica, non è un impegno ideologico forviante. Diverse, infatti, sono le situazioni emergenti dall’interno dell’io narrante che mettono in luce gli elementi attivi delle vicende,  con ritmi così intensi che sin dalle prime battute è possibile cogliere i dati psicologici che denudano l’animo del protagonista : <<Io a mia madre diciamo le voglio bene>>, parole che mettono in evidenza una emozione cristallina, la cui qualità espressiva non si identifica col noto tono intimistico di derivazione crepuscolare, ma con la qualità umana e dopo poche pagine l’io narrante con spontaneità disarmante coglie alcune intime emozioni, che con semplicità semantica le colloca nel percorso narrativo:<<Sorrido. È un sorriso nervoso, il mio. Tipico dei mezzicefali, alla mia, insomma>>, ancora proseguendo la descrizione le   emozioni trasmettono disagi psichici particolari:<<Bussano alla porta. Il panico mi compare come un melanoma e si diffonde facendo lo slalom tra i brufoli che tappezzano la mia faccia>>, e per completezza <<Un senso di vuoto mi assale e cerco una sedia per sistemare alla meglio le chiappe perché forse non sono così arido come voglio far credere a me stesso>>.
 Il processo descrittivo sin qui adottato da Argentina ha in breve illustrato l’intreccio dei processi psichici in cui il protagonista vive le proprie emozioni e le proprie tensioni interne. Ora punta a comunicare senza veli morali un appassionato sentimento amoroso e il desiderio di un riscatto  di Emiliano Maresca, collocati ognuno in particolari scrigni psicologici, con segni semantici di ottima fattura.
 Seguendo questo schema, si vedono anzitutto la passione amorosa, dall’altro lato i comportamenti aggressivi del protagonista, per cui dalla sua viva voce apprendiamo che:<<Lei  è la mia ragione di vita BUONA mentre quella CATTIVA rappresentata dalla sodomizzazione della casata Borgogna>>.  Lei è Anansa una collega di lavoro<<la mia dea[…] un dea oracolo>> che lui  incontra nel capannone <<ed ero rimasto lì come un ebete a osservarla e le guardavo il neo che portava come un’attrice dei film muti e le labbra piccole ma piene di carne rossa di rossetto e soprattutto i suoi capelli neri a coronare occhi da cerbiatta in caduta libera, ma sempre all’erta.>>. Della casa Borgogna, il capo famiglia Ignazio, che ha sedotto la madre e abbandonato lei e il figlio frutto della loro relazione, offre a Emiliano <<su un piatto d’argento>> l’opportunità di vendicarsi<<Sodomia chiama sodomia, Ignazio. A te e alle due gusta banane applicherò la legge del taglione…>>.
 Da quanto appena detto, si evince che il cuore di Emiliano batte per la collega Anansa, ma <<Lei non  si era accorta che esistevo>>. Tuttavia questo comportamento della giovane donna non aveva nessuna importanza, perché bastava <<un dolce, luuungo , lento e umido bacio alla Casablanca>> per sconvolgerlo anche a distanza di giorni. E l’innamorato Emiliano accetta persino le effusioni sessuali di una Anansa delusa dal fidanzato, perché <<Con te è bene tutto. Tu puoi permettere tutto. Puoi decidere di verniciarmi con la merda e poi darmi fuoco e io sarei felice perché sarei il centro della tua attenzione fino alla carbonizzazione.>>.
  Fedele alla sua missione, Emiliano, con l’aiuto dei compagni di bisbocce, conosce Esmeralda, la <<dolce sorellastra>> maggiore. Era giunto il momento di mettere in atto la sua vendetta. E soddisfatto, <<un quarto d’ora dopo sono a casa a mangiare nutella e croste di formaggio con il pane di Laterza fa’ che magia lava nella mia gola>>. Segue l’incontro con Guendalina, la sorellastra minore, momenti di sofferenza e di dolore fisico e psichico, per la ragazza mentre per Emiliano è normale dire <<La FASE DUE è terminata>>. È la volta di Ignazio,  che come una<< preda gli è caduta in grembo>>. Per il <<paparino>>  Emiliano riserva una sorpresa al culmine dell’amplesso<<Sono il figlio di Guendalina Maresca!>>, gli rivela, <<…ah?...ah, bene>>,  <<Tecnicamente sarei…sarei tuo figlio>>. Seguono  momenti di inaudita violenza fisica a tal punto da ferire mortalmente Ignazio. E col cuore gonfio per la fine del nemico, Emiliano dice:<<Guendalina,  l’ho fatto per te…per me>>.
   Una storia borderline, dunque,  questo romanzo <<L’umano sistema fognario>> di Cosimo Argentina, che, con un linguaggio privo di compiacimenti letterari, analizza e descrive sentimenti ed emozioni di personaggi che sanno d’essere degli eterni perdenti.

                                                                                                          E. C.

venerdì 2 ottobre 2015

CRISI D'ANSIA

   Appena imboccò il vertice della piccola radura, Carlo avvertì una fitta retro sternale, un dolore tremendo che mozzava il respiro. Si fermò di colpo e cercò un appoggio, temendo di cadere. Si addossò al muro e restò immobilizzato dalla paura, che contro la sua volontà, stava nascendo in lui.
Dio mio!..Nel caos della sua mente cercò un aiuto disperato. Portò per istinto la mano verso il lato sinistro del torace, come se cercasse con la pressione delle dita di mitigare il dolore, senza risultato: esso si era fatto ancora più forte, tanto che Carlo si piegò in due per il male; la mente però rimaneva lucida. Con uno sforzo psichico controllò il respiro; fu un sollievo quando sentì sibilare l’alito tra le labbra serrate dall’ansia. Adesso aveva fiato sufficiente per gridare aiuto; ma proprio allora, come per incanto, il dolore svanì. La crisi era durata pochi minuti, ma gli sembrò un’eternità, tanto era sfinito.
dal romanzo:Il tempo della gioventù.

mercoledì 23 settembre 2015

ADOLESCENZA, UN PERIODO DI FRAGILITA' PSICOLOGICA

Moderni studi di neuroscienze hanno messo in evidenze la grande vulnerabilità dell’adolescenza per l’esordio di alcune malattie psichiche e per la dipendenza verso le bevande alcoliche e l’uso di varie droghe. Dai dati emerge che la maggioranza delle patologie mentali insorge durante il passaggio tra le acquisizioni di specifiche capacità, conoscenze e abilità di ciascun adolescente e il rinforzo delle modalità e delle competenze nell’affrontare le nuove situazioni. Gli studiosi sostengono che questo è un particolare periodo di grande fragilità psicologica e anche neurobiologica dovuto alla maturazione di specifiche aree della corteccia cerebrale.
 La maturità di queste strutture avviene con modalità diverse tra adolescenti ed è ha una importanza primaria nella gestione della ricerca e soddisfazione di sensazioni forti. A queste prime osservazioni, gli addetti ai lavori danno importanza anche ai fattori generici e familiari che possono esporre l’adolescente con maggior frequenza alla ricerca e all’uso di alcol e di cannabis oltre al rischio di sviluppare patologie psichiche e di varie dipendenze. Inoltre, i soggetti più a rischio per la dipendenza all’alcol sono coloro che s’intossicano con eccessive bevute irregolari e con l’assunzione concomitante di cannabis. 
   Attenzione, quindi, alla quantità e al tempo del consumo, perché sono elementi utili per valutare il rischio di dipendenza.
    I ricercatori concludono dicendo che l’impegno delle neuroscienze è quello di continuare a studiare i fattori di rischio e di vulnerabilità, invece quello della società è di tutelare l’adolescente per favorire in sicurezza il raggiungimento dell’età adulta, quello dei media è di fornire una corretta informazione, quello dei genitori è di saper guidare i figli in un periodo molto travagliato dell’esistenza, non sorvolando per eccessiva benevolenza, né creare drammi, ma offrire a piene mani i migliori strumenti affettivi e cognitivi, essenziali per andare incontro al proprio futuro.

 

                                                                                                     E. C.

giovedì 3 settembre 2015

LE EMOZIONI ATTRAVERSO LA PAROLA E L'ASCOLTO

È noto che se vi sono molteplici modi di leggere – a bassa o a voce alta - , altri sono i motivi che inducono a realizzarlo: per il semplice piacere che una lettura genera quando diventa esperienza estetica; per l’interesse ad apprendere nuove conoscenze quando è pratica intellettuale; per il sentimento di manifesta solidarietà quando è esperienza empatica.
 Secondo le teorie cognitiviste sulle emozioni la scelta di un tipo di queste letture dipende dal giudizio di valore da parte dell’interessato, sulla base di un insieme di fattori quali: specifiche conoscenze, interessi, percezioni e credenze. Eseguita la preferenza, al di là dell’interpretazione dei segni-simboli di un testo, la lettura impone al soggetto due tipi di processi mentali importanti la comprensione e l’interpretazione. Come attività primaria della mente entrambi questi processi sono, quindi, direttamente responsabili delle reazioni del lettore: il suo coinvolgimento, il vissuto emotivo, la passione, il giudizio critico e così via.    
  In particolare diremo che la comprensione è il risultato del processo di elaborazione linguistica delle informazioni che vengono trasformate, in termini psicologici, a una rappresentazione semantica del testo. L’interpretazione si riferisce, invece, a una rappresentazione semantica del testo. In sintesi, la lettura implica parallelamente comprensione e interpretazione.
 Sulla base di quando detto, ora facciamo qualche considerazione sulle emozioni che rileviamo spesso nella lettura, in conseguenza dei processi di compressione e di interpretazione. Quelle che inducono piacere nella lettura si chiamano “emozioni della mente”. Accanto a queste vi sono emozioni che nascono dalla partecipazione del lettore all’oggetto della lettura. Tipica risposta emozionale di questa natura ai testi narrativi, è l’empatia. Un racconto, un romanzo fanno  proprie le ansie e le gioie  dell’umanità.  In quelle riconosciamo noi stessi, la nostra esistenza possibile. L’attenzione intensa sulla paura, sulla pietà,o sull’amore dei personaggi ai quali ci rivolgiamo con la lettura dipende dal giudizio d’importanza che noi diamo circa ciò che riteniamo giusto e non da un impulso indiscriminato di condivisione.
  Sin qui, il valore della parola, ora una breve nota sull’ascolto. Che l’ascolto di un racconto o di una poesia sia capace di suscitare emozione è certo esperienza di ognuno di noi. Tuttavia, pur essendo presente  in tutti i soggetti, la risposta emotiva all’ascolto di una lettura non è sempre la medesima. Al contrario. Essa varia al variare dei fattori individuali come l’età, la cultura, lo stato psicologico. Per esempio non tutti i bambini hanno un atteggiamento di accoglienza e di ascolto sereno sufficiente per contenere l’emozione in un racconto. Vi sono, infatti, bambini che faticano ad ascoltare, alcuni non riescano a farlo perché sono distratti, altri ascoltano forzatamente. Per questi bambini che vivono disagi personali o difficoltà emotive, gli psicopedagogisti suggeriscono di comprendere più che di capire il comportamento disturbato dei bambini e soprattutto di non usare parole pericolose che spesso si utilizzano con poca accortezza, perché scoraggiano e inibiscono il desiderio di essere diversi, lasciando il posto a un sentimento di amarezza, di inutilità, di solitudine.
  La parola e l’ascolto, dunque, sono i veicoli insostituibili del cuore e della mente, che accompagnano nella vita adulti e bambini alla scoperta delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, anche quelli cattivi, per conoscerli, comprenderli, accettarli e trasformarli senza averne timore.
                                                                           E. C.

Per una didattica delle emozioni.

mercoledì 19 agosto 2015

SINCERITA'

L’abate Eugenio Dévoud, grande educatore di bambini, fu, un tempo, ospite in Belgio di una nuova scuola denominata “Ermitage”. Erano gli ultimi giorni di scuola e, come ben sappiano, tutti gli scolari aspettano con ansia la fine delle lezioni.
  Quel mattino, il buon Eugenio se ne andava per il viale alberato, che conduceva alla scuola, con il suo grande mantello svolazzante. Egli notò che sebbene in giro non vi fossero né tigri e né banditi in arrivo, gli scolari andavano a scuola in silenzio e con una faccia scura.
 <<Buon giorno, bambini>>, salutò un gruppo di scolari, che procedeva trotterellando, in uno stato particolarmente allegro. <<Ci sono molte scuole qui intorno?>> chiese. <<No, signore>> gli rispose una bambina dai lineamenti fini, con gli occhi alla saracena e infilata alla bell’e meglio in un grembiulino bianco.
  <<Meno male!>> esclamò Eugenio con un sorriso.
<<Perché?>> lo interrogò la bambina con aria perplessa.
<<Per un attimo avevo creduto che la nuova scuola avesse deluso voi scolari>> rispose con sincera ingenuità l’educatore, pensando ai visi tristi che incontrava.
<<Niente affatto>> lo rimbeccarono prontamente i bambini che nel contempo gli si erano avvicinati. Poi Eugenio ascoltò con orecchio attento le osservazioni degli scolari. La conversazione durò piacevole e gaia sino all’ingresso della scuola. Erano arrivati. Eugenio, esitando un poco, disse:<<Bene! Sono contento di avervi conosciuto e a breve vi verrò a trovare  in classe, se vi farà piacere. Arrivederci.>>.
<<Ma, naturalmente, quando vuole. ArriverderLa>> rispose la bambina con gli occhi alla saracena; e il gruppo volò via.
 Poche ore dopo, Eugenio bussava alla porta di una classe nota in tutto l’Istituto per il buon profitto e l’ottima condotta degli scolari. Fu invitato ad entrare. Appena in aula, Eugenio girò lo sguardo attorno nell’ambiente sapientemente illuminato, distribuendo benevoli sorrisi. Riconobbe subito, tra i volti allegri e rosei degli scolari, la bambina dagli occhi oscuri. Ella era seduta in fondo all’aula, sola,e per nulla intimorita, lo salutò come un vecchio amico. Eugenio le si avvicinò e, con aria disinvolta, le si sedette accanto. Poi pregò il maestro di continuare la lezione interrotta dal suo improvviso arrivo.
 Superato l’impaccio del primo momento, il maestro, un giovane smilzo con le lenti molto spesse, riprese a parlare della fondazione di Roma.
 Gli sguardi ammirativi degli scolari, che un minuto prima erano rivolti a Eugenio, passarono alla figura del maestro che, con voce squillante, continuò a raccontare la storia dei due gemelli. D’un tratto, il maestro interruppe il racconto e rivoltosi agli scolari disse:
<<Chi di voi ricorda il nome di quel troiano che la leggenda pone come capostipite  di Romolo e Remo?>>.
 A questa improvvisa domanda, seguì un breve vocio di consultazione, poi silenzio. Tutti sembravano concentrati nella ricerca di quel nome che avevano udito tante volte ma che forse in quel momento si era nascosto in un remoto angolo del loro cervello.
 I minuti passavano e la risposta tardava a venire. Eugenio girò gli occhi attorno e notò sui volti delle bambine e dei bambini un velo di malinconia e di sconforto, come se il mondo, patapunfente, fosse loro caduto addosso. La faccenda si presentava più complessa del previsto, pensò Eugenio. E poiché la cordialità e la vivacità andavano man mano spegnendosi, a discapito della serenità e dell’armonia generale, l’educatore, per solidarietà, si avvicinò e sussurrò all’orecchio della piccola compagna di banco: <<Enea>>.
  La bambina, udito il nome dell’eroe troiano, tirò un sospiro di sollievo, le guance si colorarono  di un rosa pallido e di scatto alzò la mano in segno di trionfo. Ma come fu rapida ad alzarla, così fu rapida nell’abbassare la mano. Poi, colorando le guance di un rosso gambero, giro il viso verso Eugenio – che la stava guardando senza cogliere il senso del suo gesto – e con voce sottile  e tremante, gli sussurrò:<<Non posso dirlo, perché non l’ho trovato io>>.                                                                  E. C.
Per una didattica: Le emozioni attraverso i racconti.

lunedì 3 agosto 2015

DIMAGRIRE SI', MA CON INTELLIGENZA

È estate, e se vogliamo ancora perdere un po’ di pancetta per modellare il nostro corpo, non è necessario seguire particolari diete, basta adottare uno stile di vita funzionale.
  Recenti studi di settore, hanno dimostrato, con dovizia di dati, che per le persone affette da sovra peso e obese perdere peso – anche modesto – fa bene al fisico, ma non proprio alla psiche.
  Dai risultati dell’indagine è emerso che tali soggetti sottoposti a un regime dietetico particolarmente restrittivo, dopo aver perso nel tempo una quota del peso corporeo, erano a rischio di un evidente calo dell’umore, pur mostrando un miglioramento nel fisico.
  A questo punto, è importante tener presente la salvaguardia della salute mentale, oltre naturalmente a quella fisica, di quelle persone che volontariamente si sottopongono a regini di controlli alimentari.
   Tuttavia bisogna precisare che perdere peso non sempre s’incorre in una sindrome depressiva, ma vi possono sussistere elementi patologici comuni.
Un dato però bisogna tener presente, la perdita motivata di peso corporeo non agevola certamente una migliore performance mentale. Con ciò non s’ignora i benefici di una sana ed equilibrata dieta adotta dalla persone o quella di lasciare la macchina a casa e recarsi al lavoro a piedi, che desiderano perdere qualche chilo del proprio peso, ma bisogna aggiungere che pure dimagrendo non migliora la qualità della vita.
  Dimagrire sì – perché un elevato indice di massa corporea aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare molti tumori comuni -, ma con intelligenza, dunque, nel senso che prima d’iniziare un percorso dietetico, è ragionevole calcolare i rischi del fai da te, poi chiedere senza particolare timore aiuto alle persone di fiducia e in seguito rivolgersi a esperti sanitari.
  Tutto ciò non vuole essere una semplice proposta estetica, ma una reale prospettiva di qualità di vita per favorire lo sviluppo di una consapevolezza e l’assunzione nei confronti del proprio benessere del corpo e della mente.        
                                                                       E. C.

venerdì 3 luglio 2015

PER UNA VITA EMOTIVA ACCETTABILE

Keith Oatley, docente di Psicologia cognitiva, presso l’ Università di Toronto, dopo una lunga ricerca scientifica, afferma che per gli antichi greci e romani, popoli particolarmente attenti a esprimere e ad individuare particolari stati dell’animo, le emozioni da cui bisognava guardarsi erano la ybris ( nella mitologia greca atteggiamento  arrogante dell’uomo che, presumendo troppo di sé, arriva a violare le leggi morali e divine, meritando di conseguenza il castigo degli dei. Garzanti Linguistica) e l’ira, da cui tutt’oggi non ci siamo ancora totalmente liberati.
  Analizzando alcuni aspetti antropologici, psicologici e sociali della nostra attuale società, nel settore pubblico, e in parte anche in quello privato, possiamo vedere che l’ybris , cioè l’arroganza, la presunzione, rende i capi e i capetti, completamente  convulsi e avidi di potere e di dominare gli altri. Per quanto riguarda l’ira, merita particolare attenzione la vita familiare perché è la prima scuola psicopedagogica nella quale apprendiamo insegnamenti riguardanti la vita emotiva. Per cui, come centinaia di studi dimostrano, nell’intimità familiare i più deleteri, i più distruttivi modi che vengono trasmessi dai genitori ai figli sono gli abusi – di vario genere - e i comportamenti rabbiosi, che possono agire come una sorta di messaggio genetico della violenza.
  A tale proposito, da una ricerca moderna sono stati acquisiti dati certi che dimostrano  la correlazione tra la presenza di un gene di bassa attività di una sostanza che agisce sugli effetti del maltrattamento dei bambini e una storia di abusi e di maltrattamenti subiti durante l’infanzia. I bambini, infatti, con un gene di bassa attività e che durante il periodo di crescita psicofisica hanno subito maltrattamenti più o meno gravi, hanno più probabilità di mostrare comportamenti aggressivi e violenti, per esempio:il bullismo.
  La stessa originale  ricerca ha messo in evidenza il modo con cui alcuni geni si combinano con la storia caratterizzata da eventi stressanti per indurre la depressione. In sintesi, la mancanza di produzione di serotonina – sostanza prodotta dal cervello che è coinvolta in numerose e importanti funzioni biologiche – è un fattore di vulnerabilità per la depressione. Naturalmente, non ha effetto da sola, ma può essere potenziata quando nella vita del soggetto si verificano avvenimenti gravi: lutti, perdita di lavoro e così via. Oggi sappiamo che la depressione compromette e limita moltissime persone. Diverse depressioni guariscono. Per la maggioranza delle persone colpite, il periodo difficile si supera, grazie ai moderni sistemi di terapia psicologici e farmacologici. 
  Percorrendo la storia della nostra civiltà, Oatley traccia un breve profilo psicologico delle pratiche mentali che permettono di regolare le emozioni, nel passato  e nel presente. Così, la eliminazione di tutti i sentimenti proposta dagli stoici, ai moderni  le emozioni d’amore sono le massime espressioni dell’uomo. E un essere umano che non si indigna e non prova compassione di fronte ad atrocità come l’Olocausto, o perfino a una ingiustizia sul lavoro, per la mentalità contemporanea è meschino e disumano. Nel I secolo avvennero una serie di cambiamenti nell’idea di pietà, o meglio di compassione, ma non furono i soli. Lentamente migliorarono le condizioni di vita, le persone cominciarono a stare meglio, a nutrirsi correttamente e ad avere un certo controllo sulla salute. Tuttavia ,oggi  in quelle parti del mondo lacerate dai conflitti , in cui la mancanza di cibo è persistente o è in vigore la tirannia politica, la vita può essere ancora sporca, disumana ed effimera.
  All’inizio del XXI secolo, grazie alla tecnologia possiamo viaggiare, mangiare in abbondanza e divertirci.  E ciò che più conta la vita è più sicura e più vivibile che nel passato.
  Quindi, bisogna cercare di non isolarsi dall’ ambiente umano e naturale che ci circonda – come proponevano gli stoici -, ma cogliere e conservare il meglio delle loro proposte e nel contempo dare massima priorità alle emozioni di affetto e di reciproca fiducia.
                                                                            E. C.

lunedì 15 giugno 2015

L'AGGIUSTATORE DI DESTINI di Francesco Colizzi

Ci sono molte figure di medici narratori, Colezzi è uno di quei medici letterati  che scrive le storie dei suoi pazienti in modo più o meno romanzate. La scrittura, infatti, favorisce il ripiegamento introspettivo, si accompagna a pause di riflessione e ciò permette di cogliere l’interezza dell’essere uomo, il suo essere, della sua sofferenza, che non va considerato dal un sol punto di vista (dal clinico), ma bisogna sviluppare una visione antropologica che abbracci tutte le dimensioni dell’esistenza umana.
  Dopo la pubblicazione di alcuni libri <<ricreativi e di saggistica>>  Francesco Colizzi, psichiatra e psicoterapeuta, nel 2015 dà alle stampe il suo primo romanzo dal titolo alquanto suggestivo, L’aggiustatore di destini, manni, inaugurando la sua nuova  stagione creativa; un articolato e composito discorso  che indaga, con  una strategia narrativa simile a quella del commissario  <<Maigret>>,  le vie contorte e più profonde della mente umana con il rischio <<di trovarsi fortemente coinvolto in una vicenda per la quale non si sentiva, e non era, affatto pronto.>>.
  A ben leggere, l’indagine psicologica di Colizzi si svolge – con qualche variante, dato il vario percorso produttivo – nell’ambito dell’ambiente umano e geografico aderente alla sua esperienza, un sito quindi individuato e delimitato da confini mnesici, psicologici e culturali di uno specifico territorio della Provincia brindisina, Ostuni, appunto: un suolo patrio dove <<nonna Candida aveva deciso di non muoversi più dal rione antico, dalla piccola casa di via Clemente Brancasi, lasciando in eredità all’amato nipote, studente di medicina, il nuovo immobile affinché ne facesse un ambulatorio medico>>,
  Questo libro, in bella veste tipografica e articolato in tre capitoli: PROLOGO, FEMMINILE  PLURALE, EPILOGO, analizza con oculata sensibilità e mette in luce ad uno ad uno i temi principali dei singoli capitoli, non mancando di proporre un esergo ad ognuno di essi, quale senso di gratitudine da esprimere verso autori che si ritrovano nel percorso di scrittura del romanzo.
 Con il prologo, inizia il cammino professionale del giovane specializzando in psichiatria, il dottor Nilo, un viaggio esistenziale sulle note  della Quinta sinfonia di Beethoven. Da ogni tema della sinfonia emerge una scena <<di quella brevissima quanto densa vicenda>>.  Dopo i primi tre temi, anche nella quarta sinfonia viene fuori con chiarezza anche <<quello umanistico della speranza>>. Tema per entrambi, medico e paziente, importante per l’evoluzione del rapporto interpersonale, a tal punto che alla domanda della paziente, <<Posso abbracciala?>>, <<Può farlo, Adele.    
In fondo, in questo momento non siamo che due esseri umani>> rispose il dottor Nilo, pensando di aver dato << un piccolo scacco>> alla <<forza del destino>>.
 Nel secondo capitolo, il più corposo – comprende trenta racconti brevi -, tante sono le storie e diversi i personaggi che emergono da un mondo adulto fatto di violenza, di paura, di dolore psichico, ma anche di cultura e di amore. Tra questi spiccano le figure femminili di Lucia e di Emma oltre ad alcune di eminenti scrittori.
 Analizzando brevemente il caso Lucia, rileviamo che il dottor Nilo un giorno << si era ritrovato davanti una strana bambina che chiedeva accudimento con fare lamentoso e accondiscendente al tempo stesso>> . Il giovane psichiatra per un attimo rimase incredulo: quel timbro di voce era una regressione o nascondeva cos’altro? Con pazienza certosina e disponibilità all’ascolto, dopo aver ricomposto pezzo dopo pezzo i fotogrammi della sua ricostruzione, comprese ciò che angosciava la giovane paziente: Lucia non era una donna perversa, come credeva di essere, ma <<Una vittima alla quale il carnefice, il fratello di sua madre, è riuscito anche ad installare vergogna  e senso di colpa>>. In questo spazio narrativo è presente come un bisogno naturale  un sentimento amoroso quasi sussurrato, un amore intessuto di autentica gioia il cui ritmo è modulato dalle emozioni occasionali, da <<una carezza olfattiva>>, da << un debordante desiderio sessuale>>. Sì, Emma è innamorata e a Nilo che le sta vicino e lo bacia con trasporto, trova le parole giuste per dire :<<Lo so, tesoro, e anche per questo ti amo>>.
  Non manca  qualche  <<storiella divertente>> come  quella dell’incontro in un ospedale psichiatrico giudiziario tra il dottor Nilo, da pochi giorni in servizio nel nosocomio e lo Zio Mingo, un ricoverato. Ipotizzando che anche Nilo fosse ricoverato esclamò :<<Giovà! Pure tu stai qua?>>.
  L’epilogo conclude il romanzo. Con una lettera scritta a mano, che accompagna un pacco, Lucia comunica al dottor Nilo che grazie alla sua preziosa e affettuosa presenza è giunta  a una conclusione che <<Ho diritto di andare avanti, per una strada che sia solo mia …che devo lasciar andare i miei sensi di colpa e di vergogna…devo imparare ad amarmi e ad amare>>.
  Il dottor Nilo chiuse la lettera, rimosse l’imballaggio ed estrasse la bambola <<Gli parve del tutto innocua, per niente inquietante>>. La collocò alla spalle del <<pupazzo di Freud>>.
  All’uscita dallo studio il dottor Nilo si fermò sull’ingresso. <<Sorrise a Dènise e chiuse la porta>>.
  In questa prima prova narrativa intessuta di elementi umani e psicologici, Francesco Colizzi ha abilmente esplorato, raccolto e descritto con professionalità analitica essenziale e preziosa i drammi oscuri della psiche e i complicati rapporti interpersonali, cogliendone le tensioni interne e la fragilità della condizione umana.
                                                                                                E.C.
 
 

giovedì 4 giugno 2015

LEGGERE E SCRIVERE ROMANZI

Da quando è finalmente terminata la netta distinzione dei ruoli che separava i produttori di carta stampata dai consumatori, diversi autori – tra i quali chi scrive – si sono chiesti perché oggi è sempre così difficile leggere o scrivere romanzi. Se questo è il problema, credo che bisogna restituire dignità e circolarità in modo salubre al leggere e allo scrivere. E nel particolare chiarire le incertezze e lo stesso desiderio di successo.
  Alcuni interventi di eminenti critici mettono in evidenza in chiare lettere qual è la finalità principale della ricerca: nell’attuale periodo storico contrassegnata dalla ”Egemonia del Romanzo” l’attività primaria del leggere e scrivere perde di significato, entrambe diventano feticci imbalsamati. Dopo aver dissipato il ricco patrimonio,  restano solo due attività: dipendenti e speculari: la produzione di trame e il loro commercio. Gli scrittori, nell’ambiente privo di vitalità e parzialmente controllato dall’arroganza della fiction, mettono in scena i loro deboli personaggi, con più o meno destrezza. Ai lettori, dal lato opposto, non restano che illusori vantaggi di accertare l’identità e il desiderio, ripetitivo e privo di acutezza mentale, di cogliere il finale.  Ma quale funzione svolge la critica? Non tutti sono d’accordo nel definire la produzione del critico come un semplice esercizio letterario senza alcuna finalità. Indubbiamente la maggior parte si limita a una colonna di un quotidiano cercando di riassumere più che di evidenziare problemi di natura tecnica, altri  iscritti a libro paga di  grandi editrici  ne seguono pedissequamente i dettami , i restanti cercano e/o parlano di grande romanzo, anche se non hanno la più pallida idea di dove la letteratura stia andando.   
  Di fronte a questo spettacolo desolante di una letteratura ridotta a fanalino di coda del modo creativo, fare previsioni sulle prospettive delle forme espressive del futuro non è proprio un compito al momento risolvibile.
   Intanto, bisogna dare una risposta alla evidente usura del romanzo, mettendo da parte polemiche moderniste e avanguardistiche contro la trama e i personaggi.  
  A questo punto, ritengo personalmente utile utilizzare la scrittura psicologica per far uscire l’io dai rigidi schemi della trama del romanzo – spesso soggetto sacrificale del suo stesso riciclo –  che, tramutandosi in ego, in voce narrante, in protagonista attivo, colga le stille della realtà e le posizioni nelle sue storie.

                                                                                          E. C.