Nella
società tecnologica, come la nostra contemporanea, in cui l’individualismo è
l’icona, segno visivo di una realtà esterna, caratterizzata da egoismo, da
eccessiva considerazione di sé, l’invidia trova terreno fertile per alimentarsi
e svilupparsi.
Che cosa è l’invidia?
Tralasciando le teorie bioneurologiche, dal
punto di vista psicologico l’invidia è una emozione spiacevole, spesso penosa,
caratterizzata da inferiorità, ostilità e risentimenti, che a origine falla presa
di coscienza che un’altra persona o un gruppo di persone posseggano un bene
ambito – oggetto, posizione sociale, titolo o qualità professionale. Insomma, è
una motivazione, un desiderio di qualcosa posseduta da un altro.
Dal punto di vista sociale, l’acido corrosivo
dell’invidia distrugge il tessuto sociale.
L’invidia è una emozione nota sin
dall’antichità e su di essa si è riflettuto e scritto tanto. Tra le tante
testimonianze, in questo discorso riporto in sintesi l’intervento dell’Apostolo
Paolo che si lamentava di alcune persone che:
<<[…] predicano Cristo anche per invidia e per rivalità>>,
(Filippesi 1:15,18),
e
l’incontro di Dante con gli invidiosi (43-72) del XIII Canto del Purgatorio.
Il poeta è molto colpito dalla pena degli
invidiosi, tanto che non crede ci sia
uomo così duro da non esserne commosso:
infatti, quando li vede meglio, è costretto a versare lacrime.
Oggi, più di ieri, è importante ritornare a parlare dell’invidia, perché a
differenza di altre emozioni negative - quali tristezza, angoscia, collera,
vergogna, disagio – che oscurano la nostra parte razionale ( che però non vanno
eliminate ma gestite) è una emozione che danneggia tutti, chi la prova e chi la
subisce.
Se, quindi, è una emozione sorretta da un mega
e distruttivo egocentrismo, l’invidia amareggia l’esistenza. Ma non è tanto il
voler avere ciò che l’altra persona possiede
in talenti e qualità, è l’odio
per quello che l’altro ha oppure rappresenta.
La persona che invidia un’altra carismatica,
ricca di passione e ingegno, amata da molti conoscenti del proprio ambiente,
che fa le cose non per mettersi un mostra ma per piacere, non si accontenta di
rodersi dentro, ma semina calunnia, desidera distruggere i pregi dell’altro.
L’invidia si alimenta di risentimento. Si insinua
nella pretesa che ciascuno ha di valere qualcosa a se stesso e agli occhi degli
altri.
L’invidioso sminuisce i successi altrui e li
attribuisce alla fortuna o al caso o sostiene che siano frutto di ingiustizia.
La professionalità e l’entusiasmo altrui sono fonte di personale frustrazione.
Si può trasformare l’invidia, o in genere una
emozione negativa in positiva?
Secondo la psicologia si può, avendo a
disposizione grande forza di volontà ed energia psichica per non identificarsi
con l’emozione negativa quando in modo autonomo si instaura.
A questo punto bisogna riconoscere la causa
della sua presenza che non è esterna ma è tutta interna a noi, per cui per
trasformarla e gestirla bisogna adottare
una intensa e assidua meditazione ( intesa quest’ultima come una
profonda riflessione della mente atta a ricercare la ragione di questa autonoma
e improvvisa intrusione).
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