venerdì 1 maggio 2020

L’ANSIA EMOZIONE NORMALE O PATOLOGICA


Parlando di ansia, la maggioranza delle persone conosce perfettamente a che cosa ci si riferisce: l’ansia è un’emozione primaria di per sé utile all'adattamento. Se pensiamo, infatti, che senza ansia e paura, l’essere umano non avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere ai numerosi pericoli dell’ambiente. L’ansia ha dunque
funzione adattiva, che il nostro organismo adotta per avvisarci di un imminente pericolo.
 Escludendo questi casi limiti, pensiamo che se l’attacco d’ansia permane il tempo utile per far fronte adeguatamente un’attività quale, a esempio, un esame, un colloquio di lavoro, una particolare circostanza in cui è essenziale una rilevante quota di attenzione e impegno, dice che in uno stato emotivo adeguato all'acquisizione di un nostro obiettivo. Una certa quota di ansia è dunque utile nelle nostre attività quotidiane, quando, però, in alcune situazioni l’ansia supera una certa soglia allora diventa uno stato problematico, può immobilizzare l’individuo, trasformarsi in panico, in breve, può diventare patologica.
 L’ansia patologica si differenzia da quella consueta per il fatto che è caratterizzata da uno stato permanente di tensione psichica, che, a differenza di ciò che accade nelle normali ansie, impedisce al soggetto di modificare le sue risposte, facendo precipitare le sue prestazioni e unendosi a sensazioni di disagio e sofferenza. 
 Nella società contemporanea l’interesse dell’uomo è transitato dalla pura conservazione della specie alla ricerca degli ottimi risultati personali e della notorietà sociale.
 Quello su cui ci si confronta e che assorbe sempre più l’uomo contemporaneo è il pensiero del successo collegato al lavoro, all'avere beni di consumo (casa, auto, abbigliamento, tecnologia domestica, vacanze) che mette a rischio con molta facilità di essere coinvolto anche il valore affettivo: famiglia, coppia, amici.
 Entro questo modo di vedere i ritmi di vita aumentano velocemente, gli eventi lasciano poco spazio alla riflessione se non attraverso pensieri preconfezionati, tipo: sto andando male…devo dare di più del mio collega.
 Allorquando questi modelli di esprimersi diventano i soli pensieri intorno cui gira la nostra esistenza, ecco giungere l’ansia come suadente timore di non avere più nulla. L’ansia di scoppiare, di restare indietro, di essere esclusi.
 Va da sé che i turbamenti si trasformano in vere e proprie fissazioni, così profonde, persecutorie, che irrompono anche negli attimi e nei momenti inattesi, impedendo l’operosità della vita quotidiana.
 L’apparire dell’ansia allora raffigura l’avvenimento interno che ci affretta a sostare a meditare sul significato delle nostre iniziative, da cui siamo stati certamente dominati. Oltre la qualità delle nostre attività e degli esiti di vita conseguiti, l’ansia esegue in ogni caso la sua attività fondamentale: pone in confronto le nostre azioni automatizzate e ci costringe al raffronto con noi stessi.
 L’ansia prende origine da un esempio culturale (che può essere individuale o sociale) del non desiderare mai di fermarsi un attimo a meditare, poiché fermarsi è sprecare tempo prezioso, uno sfoggio che non possiamo attribuirci, perché colui che si arresta è perso, perché noi abbiamo l’obbligo di essere sempre al posto giusto nell'attimo giusto è conoscere sempre cosa svolgere. L’ansia ci rammenta che tutte queste cose non sono altre che fantasie, ingannevoli abilità, agiti emotivi, che ci danno soltanto illusione di essere proprietari della nostra vita ma col passare del tempo ci logorano dentro e ci ostacolano di vivere dimensione di stabilità e in salute psicofisica.
 L’ansia, quindi, ha il compito di fare a pezzi il suddetto inganno, a mandare via e a metterci nello stato da fare una fermata, aspirare un lungo respiro e confrontarci con noi stessi dentro una circostanza riorganizzata. 
 Possiamo concludere dicendo che l’ansia normale è adattiva, invece quella patologica è disadattiva.

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