sabato 9 gennaio 2016

LA CONDIZIONE ANZIANA

Il progresso tecnologico del terzo millennio, se dal punto di visto comunicativo, economico e sanitario ha offerto un notevole vantaggio alle persone, da quello morale non ha raggiunto livelli qualitativi sufficienti. Riporto di seguito l’esempio della scarsa attenzione all'attuale condizione anziana, che la frenetica vita quotidiana della nostre città più sviluppate tende a locare ai margini più nascosti della società civile.
  Certamente, concluso il ciclo produttivo ed uscito dal mondo del lavoro, l’anziano entra a far parte di un mondo a sé. Un modo dell’ultima età della vita, di questa vita considerata inutile forse perché l’anziano non svolge più un ruolo attivo, un ambiente circondato dal filo spinato del pregiudizio che nasconde nel suo seno la tendenza a escludere, in modi a volte ambigui e sottili, chi non ha la capacità ad adeguarsi ai nuovi valori dominanti del progresso ( velocità, efficienza, successo) e, nello specifico, chi per vulnerabilità, debolezza manifesta penose malattie, insufficienza psicofisica, incapacità gestionale, che lo costringe a misurarsi quotidianamente con i propri limiti e la propria fragilità e desolante condizione di essere umano.
  Dalla scienza abbiamo appreso che l’invecchiamento è un ineluttabile fenomeno biologico graduale e individuale, che inizia in tempi diversi nei vari organi e apparati provocando importanti modificazioni quantitative e qualitative a livello fisico (articolazioni, capelli, pelle e così via), cognitivo ( attenzione,memoria, linguaggio ) e psichico (ansia, depressione, demenza).
  Secondo la scienza, quindi, l’invecchiamento è il risultato “normale”, fisiologico dell’ultima parte del ciclo vitale che va dalla maturità alla morte. Il pregiudizio, invece,  mette in risalto, amplifica, generalizza i difetti, le difficoltà, la fragilità emotiva di questo periodo di disabilità e di decadimento fisico; inoltre incita ad affermare la corrispondenza fra la condizione umana, intesa come una vita in cui le emozioni e gli stati d’animo si inaridisco, e il destino biologico e ad essa  segue l’assunto, tenebroso e celato, di una vita che non vale più la pena viverla quando è giunta a quell’età così fragile e lontana dai valori oggi dominanti.
  Ora bisogna ricordare che l’uomo è una unità bio-psico-sociale e ha delle dimensioni molto correlate tra di loro. Noi, infatti, non siamo un  insieme di archi vitali chiusi e fossilizzati dalla sfera biologica ma esistenze immerse sin dalla nascita nelle relazioni con altri e, per tanto, siamo condizionati nei nostri specifici comportamenti per l’intero arco della vita dal le relazioni interpersonali (costituite da un insieme d’individui  che irrompono nel nostro spazio vitale, cui rispondiamo in forma singola) e sociali (un rapporto tra due  o più persone che orientano reciprocamente le loro opinioni. Possono essere profonde e stabili ma anche transitorie  e superficiali).
  Certamente, nella società attuale molti atteggiamenti personali e non solo, tendono ad esaltare il culto dell’efficienza e del lavoro; per cui, il lavoro  non appare come un mezzo fondamentale per procurarsi da vivere, ma come un valore assoluto di carattere “etico-sociale”, che ha la facoltà di decidere  il percorso della nostra strada terrena.  Sarà, quindi, la perdita del senso della vita anziana a influenzare  l’ambiente culturale in cui trascorrono l’ultimo periodo della vita gli anziani, prima ancora che non  i cedimenti psicosociali dipendenti dalla perdita dei parenti cari,dalla solitudine e dall’avvicinarsi della fine della vita. Argomenti, questi, che possono generare tempeste emozionali e malattie organiche e psichiatre da cui in seguito non sarà facile guarire.
   Per quanto riguarda il vissuto emozionale, diremo che studi più recenti hanno  evidenziato, nella condizione anziana, la presenza  di una vita affettiva caratterizzata tanto da emozioni positive  quanto quelle negative, entrambe dipendenti da  atteggiamenti di relazione con l’ambiente: la soddisfazione ha a che fare con l’autorealizzazione, la paura con il timore di non essere in grado di far fronte da soli alle sfide dell’ambiente.   
  Si deve quindi riconoscere che la senescenza non è l’età dell’isolamento e della solitudine, ma una forma di vita nella quale tale condizione può verificarsi con una certa frequenza e alla quale la società civile deve dedicare tutta la propria attenzione, sostenendo persone che presentano una particolare fragilità e sforzandosi innanzitutto di comprendere il problema individuale di chiunque invecchi con difficoltà, e d’intervenire in modo adeguato.

                                                                  E. C.

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