Il
progresso tecnologico del terzo millennio, se dal punto di visto comunicativo,
economico e sanitario ha offerto un notevole vantaggio alle persone, da quello
morale non ha raggiunto livelli qualitativi sufficienti. Riporto di seguito
l’esempio della scarsa attenzione all'attuale condizione anziana, che la
frenetica vita quotidiana della nostre città più sviluppate tende a locare ai
margini più nascosti della società civile.
Certamente, concluso il ciclo produttivo ed
uscito dal mondo del lavoro, l’anziano entra a far parte di un mondo a sé. Un
modo dell’ultima età della vita, di questa vita considerata inutile forse
perché l’anziano non svolge più un ruolo attivo, un ambiente circondato dal
filo spinato del pregiudizio che nasconde nel suo seno la tendenza a escludere,
in modi a volte ambigui e sottili, chi non ha la capacità ad adeguarsi ai nuovi
valori dominanti del progresso ( velocità, efficienza, successo) e, nello
specifico, chi per vulnerabilità, debolezza manifesta penose malattie,
insufficienza psicofisica, incapacità gestionale, che lo costringe a misurarsi
quotidianamente con i propri limiti e la propria fragilità e desolante
condizione di essere umano.
Dalla scienza abbiamo appreso che
l’invecchiamento è un ineluttabile fenomeno biologico graduale e individuale,
che inizia in tempi diversi nei vari organi e apparati provocando importanti
modificazioni quantitative e qualitative a livello fisico (articolazioni,
capelli, pelle e così via), cognitivo ( attenzione,memoria, linguaggio ) e psichico
(ansia, depressione, demenza).
Secondo la scienza, quindi, l’invecchiamento
è il risultato “normale”, fisiologico dell’ultima parte del ciclo vitale che va
dalla maturità alla morte. Il pregiudizio, invece, mette in risalto, amplifica, generalizza i
difetti, le difficoltà, la fragilità emotiva di questo periodo di disabilità e
di decadimento fisico; inoltre incita ad affermare la corrispondenza fra la
condizione umana, intesa come una vita in cui le emozioni e gli stati d’animo si
inaridisco, e il destino biologico e ad essa
segue l’assunto, tenebroso e celato, di una vita che non vale più la
pena viverla quando è giunta a quell’età così fragile e lontana dai valori oggi
dominanti.
Ora bisogna ricordare che l’uomo è una unità
bio-psico-sociale e ha delle dimensioni molto correlate tra di loro. Noi, infatti,
non siamo un insieme di archi vitali
chiusi e fossilizzati dalla sfera biologica ma esistenze immerse sin dalla
nascita nelle relazioni con altri e, per tanto, siamo condizionati nei nostri
specifici comportamenti per l’intero arco della vita dal le relazioni
interpersonali (costituite da un insieme d’individui che irrompono nel nostro spazio vitale, cui
rispondiamo in forma singola) e sociali (un rapporto tra due o più persone che orientano reciprocamente le
loro opinioni. Possono essere profonde e stabili ma anche transitorie e superficiali).
Certamente, nella società attuale molti
atteggiamenti personali e non solo, tendono ad esaltare il culto
dell’efficienza e del lavoro; per cui, il lavoro non appare come un mezzo fondamentale per
procurarsi da vivere, ma come un valore assoluto di carattere “etico-sociale”,
che ha la facoltà di decidere il
percorso della nostra strada terrena. Sarà, quindi, la perdita del senso della vita
anziana a influenzare l’ambiente
culturale in cui trascorrono l’ultimo periodo della vita gli anziani, prima
ancora che non i cedimenti psicosociali
dipendenti dalla perdita dei parenti cari,dalla solitudine e dall’avvicinarsi
della fine della vita. Argomenti, questi, che possono generare tempeste
emozionali e malattie organiche e psichiatre da cui in seguito non sarà facile
guarire.
Per
quanto riguarda il vissuto emozionale, diremo che studi più recenti hanno evidenziato, nella condizione anziana, la
presenza di una vita affettiva
caratterizzata tanto da emozioni positive
quanto quelle negative, entrambe dipendenti da atteggiamenti di relazione con l’ambiente: la
soddisfazione ha a che fare con l’autorealizzazione, la paura con il timore di
non essere in grado di far fronte da soli alle sfide dell’ambiente.
Si deve quindi riconoscere che la senescenza
non è l’età dell’isolamento e della solitudine, ma una forma di vita nella
quale tale condizione può verificarsi con una certa frequenza e alla quale la
società civile deve dedicare tutta la propria attenzione, sostenendo persone
che presentano una particolare fragilità e sforzandosi innanzitutto di
comprendere il problema individuale di chiunque invecchi con difficoltà, e
d’intervenire in modo adeguato.
E. C.
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