Dai
risultati di varie ricerche del settore, abbiamo appreso che l’emozione è allocata
nel nostro DNA, per cui nessun educatore ci può insegnare, essendo un
patrimonio genetico tramandato dai nostri progenitori. Secondo gli studiosi, la
persona può essere invece educata ad apprendere e riconoscere quali sono le
emozioni e come gestirle.
I componenti di base infatti che
caratterizzano le emozioni, se insegnati precocemente al bambino, costituiscono
il primo passo per un vero e proprio antidoto emotivo, in quanto dato un utile
strumento che lo metterà in grado di comprendere le proprie reazioni emotive
negative per poterle in seguito trasformare. Quanto appena detto non significa
che il bambino non proverà più nella vita emozioni spiacevoli, ne farà
senz’altro esperienza di tanto in tanto, ma anziché essere sopraffatto da esse,
sarà in grado di dominarle.
Oggi in famiglia circolano non solo persone
appartenenti alla stesso nucleo familiare, ma anche ai media e alle varie
categorie di esperti, di conseguenza viene a mancare un metodo educativo
unidirezionale ed emozionale.
È anche noto che in famiglia gli incontri sono abbastanza
rari e quindi, mancando il contatto fisico, meno si conoscono. A detto degli
esperti, nella vita quotidiana di una famiglia, l’incontro assume una
importanza vitale, anche durante la consumazione dei pasti, perché si possono
verificare normali scontri verbali e non quel patologico contrasto cui si
assiste di questi tempi. D’altronde, le emozioni costituiscono la prima
esperienza che i bambini fanno dell’ambiente e dei rapporti con le persone del
proprio nucleo d’appartenenza dove vivono. Permettere, quindi, anziché impedire ai
bambini di vivere le emozioni, incoraggiandoli a incrementare emozioni positive
quali la serenità, la gioia, l’entusiasmo e nello stesso tempo aiutarli a
ridurre la frequenza e l’intensità di quelle negative.
Le
ricerche di John Gottman, autore del saggio “Intelligenza emotiva per un
figlio”, rilevano che i bambini cui i genitori hanno precocemente insegnato a
essere <<emotivamente intelligenti>> rendono di più nei compiti
scolastici, si agitano o si arrabbiano di meno, hanno un controllo psicofisico
adeguato e quindi si ammalano raramente.
Oltre
all’insegnamento, i genitori devono dimostrare ai propri figli tutto il
sostegno e la vicinanza di cui siano capaci di farli sentire sollevati e meno
spaventati perché degli adulti loro si fidano tanto. Creando in casa un clima
sereno e dimostrandosi disporsi a relazionare e a divertirsi insieme ad altre
persone, i genitori trasmettono serenità interiore, che sarà per loro di valido
supporto per tutta la vita.
Per
sensibilizzare i bambini alla gaiezza, che porta anche alla fiducia, è
indispensabile farli apprezzare le gioie semplici e impratichirli ad
appassionarsi
per le cose belle offerte dalla natura (per i
fiori e le piante, per le albe e tramonti e così via). Oppure ad essere
appagato nella conoscenza degli avvenimenti quotidiani, nella lettura,
nell’ascolto di un brano musicale, nella visione di un interessante film.
Bisogna
aiutare i bambini a gestire le loro emozioni. Quando un bambino scoppia in
lacrime, oppure è rabbioso o noioso, non
bisogna farsi travolgere da emozioni negative, ma restare tranquilli e pensare
a questo evento come una vera e grande occasione per allenarlo
emotivamente. Un atteggiamento da
evitare in modo assoluto è quello di ignorare o sminuire le emozioni negative
pensando che si risolvano da se stesse o che non siano importanti. I bambini
invece hanno necessita di imparare a comprendere quello che provano
sentendoselo dire dai genitori e per non crescere con delle insicurezze hanno
bisogno di sentirsi compresi.
Le
sicurezze vanno nutrite con la conversazione e lo stabilire di un rapporto
relazionale sicuro, che si instaura
quando tra genitore e figlio sussistono palesi canali comunicativi. La
presenza, lo scambio verbale e
affettivo, infatti, danno la possibilità alla coppia, genitori/figli, di
identificarsi come elementi di una unica struttura sociale, che per avere un
buon funzionamento ha bisogno di una massima apertura verso l’altro e una
disposizione a dare, oltre che a ricevere.
L’uso
del linguaggio emotivo quindi, dà modo alle persone di manifestare e dare un
senso ai propri sentimenti. Per cui, è un buon metodo insegnare al bambino a
comunicare il proprio stato d’animo, a fare domande e a chiedere spiegazioni
quando non comprende il discorso del genitore.
È da
notare. La curiosità costituisce un bisogno primario dell’uomo sin dalla
nascita. Per soddisfarla occorre un ambiente sufficientemente stimolante. Il bambino sin dai primi anni di
vita va esposto a numerosi stimoli, complessi e tali da impegnarlo mentalmente.
Infatti, la mancanza di stimoli, crea ragazzi demotivati. Tuttavia, il bambino
non deve essere sottoposto ad informazioni che non può elaborare.
Attraverso questo sistema di comunicazione
bidirezionale è più facile favorire nel bambino il riconoscimento del suo stato
emotivo, in modo tale che crescendo non si vergogni di esprimersi, ma anzi sia
orgoglioso di mostrare i suoi aspetti
più intimi.
Per
concludere, nel corso dello sviluppo il bambino acquisisce diverse capacità,
che gli permettono di interpretare e interagire col proprio ambiente, umano e
naturale. Anche il linguaggio emotivo si acquisisce nel tempo, grazie al
continuo ascolto e all’imitazione, che facilitano la ripetizione delle parole.
Resta
inteso che non tutti i bambini acquisiscono alla stesso modo le varie
competenze, per cui bisogna rispettare le singole capacità e, soprattutto gli
adulti, e in particolare, i genitori dovranno non solo rilevare eventuali
carenze, ma aiutarli a raggiungere primo
grado di benessere psicofisico, individuando i punti favorevoli e dargli un
valido sostegno là dove risultano più carenti.
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