Prima
d’iniziare a parlare delle ferite, passiamo, brevemente, in rassegna il
contenuto del termine <<anima>>
nelle sue differenti forme ed espressioni, rintracciabili nelle varie tipologie
antropologiche, culturali e scientifiche di ogni periodo storico.
Secondo la Bibbia l’anima umana è l’intera
persona che può lavorare, desiderare il cibo, mangiare e ubbidire alle leggi.
Per
la concezione cristiana, l’anima è
l’elemento spirituale dell’uomo, che con il corpo producono, - nella sua unità,
un unicum - , la persona umana vitale.
Dal
punto di vista della filosofia moderna, Hume critica il dualismo di Cartesio, -
il corpo e l’anima, percepiti separati che agivano separatamente – parlando
dell’anima come un fascio di fatti o eventi psichici in perpetuo movimento. Nel
Novecento si è spesso parlato dell’anima
come un principio vitale, non puramente spirituale--razionale, ma
inconsapevole.
In ambito psicologico contemporaneo la psiche,
che per gli antichi greci era l’anima, è un complesso di funzioni cerebrali,
emotive, affettive, relazionali, pur avendo un aspetto più astratto legato
all’inconscio e alla coscienza.
Va da
sé che, da ora in poi parlando di anima, noi intendiamo psiche, poiché in
psicologia l’uomo è anzitutto psiche, e la psiche è l’essenza dell’uomo
stesso.
Passando
al tema, diciamo che ogni trauma psicologico, visibile o invisibile, ha effetto
profondo sulla psiche e sulle relazioni interpersonali della persona. Esso
genera un nuovo e strano mondo fatto di vari strati di dolore. Tuttavia, esiste
una varietà soggettiva che riguarda le ferite dell’anima. Queste, infatti, non
sono percepite allo stesso modo da tutti. Un evento può accadere di non essere
accettato dal punto di vista emotivo – per esempio il senso di vuoto – fino ad
avere tragiche conseguenze nell’ambito delle relazioni interpersonali,
continuando a mantenere vivo e attivo il suo effetto traumatizzante, attraverso
i ricordi. Questo risultato può diventare motivo di disturbo nel vissuto di una
persona, mentre potrebbe essere meno
deleterio o vissuto con meno dolore da altre persone.
Per essere, quindi, considerata una vera
ferita psicologica, di fronte a un trauma, la risposta della persona deve
comprendere un serie di emozioni tra le quali paura intensa, il sentirsi
incapace di agire o addirittura di avere
orrore.
Quali traumi possono ferire la nostra anima?
Intanto bisogna dire che non tutti i traumi sono uguali. Per cui alcuni
studiosi addetti alla materia distinguono i traumi in categorie, altri sui
principali eventi emozionali.
In breve per i primi vi sono due categorie di
traumi:1) legati a rapporti
interpersonali, cioè eventi della vita quotidiana che, pur apparentemente
innocui, se si ripetono, procurano danno psichico alla persona; 2) legati ad
eventi profondi che compromettono la stessa esistenza o l’integrità fisica
della persona.
Per gli altri, le più importanti ferite
dell’anima sono quelle emozionali: l’abbandono, il rifiuto, l’umiliazione, il
tradimento, l’indifferenza e la derisione. Queste ferite profonde bloccano la
capacità di essere se stessi e condizionano la stessa vita.
Dal nostro punto di vista queste ferite
emozionali dell’anima, sono esperienze il cui impatto emotivo è così intenso e
negativo da produrre nel nostro cervello delle vere cicatrici biologiche che
condizionano i nostri comportamenti, le nostre emozioni, la nostra personalità,
le nostre capacità relazionali.
Le cicatrici degli avvenimenti più dolorosi
non scompaiono facilmente dal cervello, mostrandone le conseguenze sintomatologiche
anche a distanza di decenni.
Alcuni di questi traumi emozionali sono
generati da profondi dolori personali, intimi che la persona colpita non sa
come gestire. Altri traumi vengono attivati dalla cosiddetta “memoria
traumatica” : la persona risponde con paura, vulnerabilità, orrore, dopo avere
assistito ad eventi potenzialmente mortali, con pericolo di morte o di feriti
gravi, o una minaccia alla propria integrità psicofisica. Facciamo qualche
esempio letterario.
Dai traumi interni origina la poesia di Amelia
Rosselli, i cui versi sono caratterizzati da impulsi emotivi instabili, da
gridi afoni di un io poetico che tollera con grande sofferenza psichica gli
eventi della vita interiore ed esteriore. Di tale fragilità emotiva sono i
segni di molti versi sparsi nelle raccolte che colpiscono il lettore. Alcuni di
questi particolari versi sono i seguenti:
<<E
il delirio mi prese di nuovo, mi trasformò
stanca ed ebete in un largo pozzo di
paura,
mi chiamò coi sui stendardi bianchi e
violenti
mi spinse alle porte della follia>>
(La libellula).
Proseguendo l’analisi di questo conturbante
discorso poetico, abbiamo rivelato che le parole, senza alcun artificio
letterario, portano alla luce gli angoli più bui, più profondi del suo, del
nostro essere, che sfuggono al controllo della ragione. Leggiamo alcuni versi:
<<Dissipa
tu se tu vuoi questa debole
vita
che non si lagna. Che ci resta. Dissipa
tu il
pudore della mia verginità; dissipa tu
la resa del corpo nemico. Dissipa la mia
effige.
Dissipa…dissipa>> (La libellula).
Si tratta
di un parlare affannoso, debordante di tensione interna da cui nasce una
poesia che analizza, cerca di portare alla luce, per quanto possibile, le
contraddizioni insite nella sua coscienza.
E concludiamo questa breve disamina delle
ferite dell’anima di Amelia Rosselli con i versi che seguono:
<<Oh mio fiato che corri lungo le sponde
dove l’infinito mare congiunge braccio di
terra
a concava marina, guarda la triste
penisola
anelare: guarda il moto del cuore
farsi tufo, e le pietre spuntate
sfinirsi
al flutto>>, e ancora:
<<L’alba
ai rintocchi cade
sulla mi testa malata
il difficile umore m’assale
verde come la paura>> ( Variazioni
belliche).
Passando alle memorie traumatiche, prendiamo
in considerazione alcune composizioni in versi de le POESIE SPARSE E PROSE LIRICHE, che rivelano il travagliato stato d’animo
di Clemente Rebora durante i mesi
trascorsi in prima linea, come sottotenente di fanteria nella prima guerra
mondiale; un periodo drammatico, di avvenimenti dolorosi, che mostrano
chiaramente le conseguenze sintomatologiche anche a distanza di decenni.
Queste composizioni poetiche vivono un
profondo malessere esistenziale, o meglio una tensione interna che esprime
senza formalismi retorici un insieme di amarezze, delusione, stordimento e smarrimento:
<<[…] Tra melma e fango
tronco senza gambe
e il tuo lamento ancora,
pietà di noi rimasti
a rantolarci e non ha fine l’ora,
affretta l’agonia,
tu puoi finire […] (VIATICO),
e quando il disagio psichico aumenta sfociando
in un dolore e in un’angoscia insopportabile, il poeta avverte un senso di
vuoto come un’anima persa, intimidita, spaurita:
<<
[…] Fungaia
d’un morto saponava la terra; a divano.
Forse
[…] Feci come per tergerlo al cuore – ma
Viscido anche il mio cuore.
Perdono? […] (Perdono?),
e
continuando la nostra lettura incontriamo nuovi squarci di umana sofferenza:
<<C’è
un corpo in poltiglia
Con crepe di faccia, affiorante
Sul lezzo dell’aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
Affar di chi può, e del fango […] (Voce di vedetta morta).
Da
questa breve sintesi di versi la figura umana e psicologica di Rebora emerge
nella sua fragilità, nella sua vulnerabilità emotiva e nella sua incapacità di
superare vicende drammatiche. Nelle sue parole si può cogliere un insieme di
dolore, di paura e di angoscia, cicatrici indelebili dell’esperienze di una
guerra che destabilizzò psicologicamente il poeta.
Ogni tipo di trauma, dunque, lascia evidenti
tracce negative e invisibili nella nostra mente, che, nel breve o lungo periodo
della propria esistenza, condiziona i nostri normali modelli comportamentali,
le emozioni e le relazioni sociali.
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