venerdì 13 ottobre 2017

IL LINGUAGGIO DELLE EMOZIONI

 Sebbene attualmente i ricercatori discutano ancora sul tempo di reazione in una situazione emozionale – sono prima i sentimenti(il cuore) e poi i pensieri (la ragione) o è il contrario?- noi nella vita relazionale sperimentiamo quotidianamente il linguaggio delle emozioni, con la mediazione di un fenomeno psichico, l’ empatia, che è capace di percepire gli stati d’animo e i sentimenti di un’altra persona e in particolare di condividere la sue sofferenze psichiche.  Ed è l’empatia che, certa della sua capacità di leggere i messaggi, ci rende più abili nel cogliere e interpretare i sentimenti altrui, allorquando saremo più aperti verso le nostre emozioni. 
 Questa capacità, quindi, che ci dà l’opportunità di conoscere le variazioni dell’animo di un essere umano, entra in scena in diverse situazioni, da quelle appartenenti alla sfera privata: relazioni sentimentali di coppia, rapporti tra genitori e figli - a quelle professionali: lavoro dipendente o libero professionista.
  Secondo Daniel Goleman le nostre emozioni raramente usano le parole per rendere visibili le loro presenze, spessissimo sono invece altri segni comunicativi che le rappresentano.  La soluzione possibile, quindi,  per cogliere e rendere intellegibili i sentimenti degli altri  consiste  nell’abilità di leggere i messaggi ,vocali o semantici, che percorrono sentieri  comunicativi non verbali: gli sguardi, il tono della voce, la testa, la postura e così di seguito.
 L’empatia, presente sin dai primi giorni della nostra vita, immergendosi nel mondo soggettivo altrui, legge e comprende le emozioni dell’altro (paura, amore, rabbia, ecc.) espresse con il tono di voci, gesti, espressioni del volto e altre simili in canali non verbali. Insomma, guardare con attenzione e partecipazione ciò che è all’esterno per poter percepire e leggere il contenuto interno dell’altro, un labirinto profondo che è altrimenti inaccessibile con i nostri mezzi. Ed è possibile questa evenienza perché l’empatia ha una funzione di apertura totale verso l’interlocutore, senza alcun pregiudizio, riserva mentale e allo scopo di ottenere un’evoluzione autentica nella relazione tra due persone.
 L’empatia è, quindi, importante nelle relazioni affettive ( genitori-figli), nel lavoro  (professionale, creativo): riuscendo ad immedesimarsi nell’emozioni dell’altro e gestire  le proprie in modo proficuo.
  Sulla base di quanto appena detto, ora qualche considerazione sulle emozioni che rileviamo a volte nelle letture, in conseguenza della nostra interpretazione e comprensione. Vi sono diversi tipi di emozioni, alcune inducono piacere, altre che nascono dalla partecipazione attiva del lettore all’oggetto della lettura. Tipica risposta emozionale di quest’ultima natura a testi narrativi e poetici, è l’empatia.
  Una poesia, un racconto, un romanzo fanno proprie le gioie e le ansie dell’umanità. In quelle riconosciamo noi stessi, la nostra esistenza possibile. L’attenzione intensa sulla paura, sulla pietà, o sui sentimenti intimi dei personaggi ai quali ci rivolgiamo con la lettura dipende dal giudizio d’importanza che noi diano circa ciò che riteniamo giusto e non da un impulso indiscriminato di condivisione.
 A questo punto inizio la visitazione di alcuni testi di autori italiani contemporanei, usando l’espediente intrigante dell’esterno-interno, che è specifico dell’atto di leggere empaticamente, ma di cui non siamo consapevoli.
Tra gli autori del primo Novecento, che secondo l’estetica motivazionale hanno dato libero sfogo alla natura libera dell’uomo, a scoprire la relazione tra la vita intima e la vita quotidiana del singolo individuo, tra la vita quotidiana del singolo e quella della collettività in cui egli vive, sono i triestini  Umberto  Saba e  Italo Svevo (pseudonimo di Aron Hector Schmitz), due involontari e solitari navigatori terrestri, che si pongono sulla via dello scavo interiore, la quale permette loro di viaggiare nel mondo dell’invisibile alla ricerca di ritrovare la coscienza di sé e la sospirata liberazione dell’io dall’angosce e dalle ossessioni.
  Sono del parere che questo tipo di scelta psicologica non impedì a Saba di sentirsi vicino a tutti gli aspetti della vita quotidiana, agli uomini e ai sensi concreti delle cose, che rappresentano solo una parte delle ispirazioni della sue poesie perché egli non sarebbe stato riconosciuto come un uomo del nostro tempo se non avesse sentito questa ispirazione resa opaca anche da una tristezza profonda, da una disperazione insuperabile, dalla sua scissione in due personalità: con un occhio vede le cose migliori e l’altro non sa rinunciare alla propria tristezza, a svincolarsi dalla solitudine che esclude dal ritmo della vita.
 Tante sono le poesie amorose  che posso citare e visitare per cogliere empaticamente il linguaggio delle emozioni rappresentate dai vari segni semantici; preferisco leggere La foglia, daIl canzoniere”(1900-1954),  la cui voce, simile a quella delle Sirene, cattura e mi conduce tra i versi, a rivivere gli stessi stati d’animo del poeta.  
LA FOGLIA
 Io sono come quella foglia – guarda –
sul nudo ramo, che un prodigio ancora
tiene attaccata.
 Negami dunque. Non ne sia rattristata
 la bella età che a un’ansia ti colora,
e per me a slanci infantili s’attarda.
Dammi tu addio, se a me dirlo non riesce.
Morire è nulla, perderti è difficile.
 È autunno. Il paragone con la foglia che sta per cadere è, dal punto di vista stilistico efficace come anche da quello emotivo, perché comunica la tristezza di un’ anima ferita sul punto di abbandonare un sentimento non corrisposto. Nella seconda terzina la supplica,<<Negami>>, mette a nudo il dolore patito dalla defezione dell’essere amato. Da qui le parole spandono molecole di malinconia. Sono le emozioni che comunicano l’incapacità dell’uomo di staccarsi naturalmente, perché <<a slanci infantili s’attarda>>  cioè è trattenuto da una forte carica di intimi sentimenti stipati gelosamente nello scrigno della mente.
Allora <<Dammi tu addio>> implora l’anima disperata, distrutta da un dolore profondo alla persona amata, per porre fine ai tormenti dell’abbandono. Certamente  
nelle ultime parole l’amore raggiunge il suo massimo valore emotivo: è il momento in cui la pena della perdita dell’amata è di gran lunga minore della stessa morte.
  Italo Svevo è uno dei più importanti autori del Novecento italiano. Oltre ai racconti e a qualche piéce in prosa , ha scritto tre romanzi, Una vita, Senilità e La coscienza di Zeno. In questa trilogia  Svevo ha espresso il fallimento dei grandi ideali dell’Ottocento italiano, con un linguaggio ironico e amaro, scavando nella coscienza e rivelando miseria e debolezza della vita umana, osservata però con amorevole e rassegnata tristezza. Qui prenderò in considerazione alcuni frammenti utili al mio discorso dalle pagine l’ultimo libro, “La coscienza di Zeno”, un romanzo vastissimo  la cui narrazione non offre la cronologia, lineare successione degli eventi, ma segue il filo della memoria; i fatti della vita dei protagonisti sono giudicati dallo stesso autore secondo prospettive, modificazioni e ripensamenti che variano nel tempo.
 Dalle varie storie, scelgo non in maniera capillare alcuni frammenti di confessioni del protagonista/autore, senza però dare visibilità ulteriore alla scrittura, ma  per cogliere il linguaggio di alcune emozioni ben inserite nell’introspezione psicologica del nevrotico Zeno. Leggiamo:
<<Una confessione in iscritto è sempre menzognera! Se egli sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose per le quali abbiamo pronto la frase e come evitiamo quelle che ci obbligherebbero da ricorre al vocabolario…si capisce come la nostra vita avrebbe tutt’altro aspetto se fosse detto nel nostro dialetto>>.
 In questo frammento emerge non una edificazione della menzogna, ma una emozione piacevole, che comunica empaticamente al lettore l’idea del protagonista di vedere la  vita come una commedia.
 <<Tutto ciò giaceva nella mia coscienza a portata di mano. Risorge ora perché non sapevo prima che potesse avere importanza. Ecco che ho registrato l’origine della sozza abitudine e (chissà?) forse ne sono già guarito. Perciò. Per provare, accendo un’ultima sigaretta e forse la getterò via, disgustato>>. 
 È il grande sollievo dell’animo che comunica la sospirata guarigione, dopo numerosi tentativi falliti messi in atto per smettere di fumare.
<<Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in piedi, alzò la mano alto alto, come se avesse saputo ch’egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo peso e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e di là sul pavimento. Morto>>.    Più che imbarazzo per lo schiaffo (Volontario?)  lo stato d’animo di  Zeno sente un fortissimo affetto per il padre,  una devozione  che custodirà  nella sua memoria per  tutta la vita .
<< Non v’è niente di più difficile a questo mondo che di fare un matrimonio proprio come si vuole. Lo si vede dal caso mio ove la decisione di sposarmi avevo preceduto di tanto la scelta della fidanzata. Perché non andai a vedere tante e tante ragazze prima di sceglierne una ?>>. 
 In questa confessione non c’è esitazione. La motivazione a decidere per non decidere è una geniale trovata per non assumersi responsabilità. In fondo, Zeno apprezza le donne, almeno dal punto di vista estetico (la dichiarazione ad Ada e l’amante Carla), tuttavia si affida casualmente nel corso della vita. E le sue scelte accidentali si dimostrano alla fine più convincenti e vantaggiose, a cominciare dalla moglie Augusta Malfenti.
<< Io sono guarito! […] Io sono sano. Da lungo tempo io sapevo che la mia salute non poteva essere altro che la mia convinzione e ch’era una sciocchezza degna di un  sognatore ipnagogico di volerla curare anziché persuaderla>>. 
 È una emozione liberatoria. Si è vero,  Zeno ha raccontato un sacco di storie, ha finto d’essere un malato mentale, ma in fondo, per essere sani non c’è che un mezzo,

persuadersi di esserlo

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