Nel
linguaggio quotidiano contemporaneo il termine malinconia è un particolare
vissuto psicologico, o meglio, uno stato d’animo che tutti sperimentiamo nei
momenti di sosta nella nostra vita,
fatto di tristezza non così dolorosa, d’incapacità di avere un rapporto
costruttivo con gli elementi del mondo, di angoscia esistenziale. È associato a
una emozione positiva, perché conosce i limiti degli avvenimenti e delle cose
e, soprattutto, non blocca le iniziative giornaliere in quanto è antitetica
alla depressione. In breve, la malinconia positiva è un momento di tristezza
indispensabile per l’equilibrio delle emozioni, da assecondare e ascoltare.
Nella cultura medica, invece, il vocabolo
malinconia, in particolare sotto l’egida del padre della psicanalisi, Freud,
indica un disturbo psicologico grave, caratterizzato da mancanza di
fiducia, incapacità di provare emozioni,
di produrre iniziative e di idee suicide, la depressione appunto.
A differenza della nostalgia, della tristezza
o della depressione, la malinconia può non essere diretta verso alcun oggetto
esterno e può costituire per alcune persone un tratto preponderante della
personalità, mentre per altre solo alcune fasi della vita. Le persone
malinconiche, infatti, si distinguono dalla altre perché chiuse in sé e timide,
ma nel profondo sognatrici e romantiche.
Come stato dell’essere il malinconico ha una
capacità immaginativa più degli altri, e quindi è un creativo, basta pensare ai
numerosi scrittori, poeti, pittori e musicisti, è sufficiente citarne qualcuno come Leopardi, Van
Gogh, Saba, Proust, Baudelaire, Schopenhauer, che nei secoli hanno fatto della
loro malinconia un febbrile ambiente di produzione artistica, che ha permesso
di lasciare opere indelebili nella storia della cultura occidentale.
Scorrendo
rapidamente le pagine della letteratura italiana dalle origini ai nostri giorni
rilevo che, col trascorrere del tempo storico, il termine letterario di
malinconia si diversifica e si specifica in significati distinti e meno
sfumati, ricchi di esempi noti e meno conosciuti. Così partendo dall’età di
Dante trovo predominante la malinconia amorosa e passando per il periodo di
Leopardi caratterizzato dalla caducità , approdo al Novecento dove la malinconia
viene analizzata e incanalata dal mondo scientifico in un discorso fatto di
paura, di disillusione, di disperazione, al crollo del sogno e delle ideologie.
Questa contemporanea forma di malinconia
dolorosa divora la sensibilità mentale di scrittori, poeti e in generale di
artisti, e, per quanto mi riguarda, trova adeguato posto in diverse pagine di
Cesare Pavese e di Pier Paolo Pasolini, due intelligenti e coraggiosi
intellettuali della seconda metà del
Novecento in Italia, che di seguito analizzeremo.
Cesare Pavese è certamente uno scrittore
poliedrico capace di dare patine sentimentali e tinte melodiose ai suoi
personaggi e nel contempo covare segretamente desideri e oscuri pensieri, che
appena velati appaiono nelle pagine de Il
mestiere di vivere:
<<Non ci si uccide
per amore di una donna, ci si uccide perché un amore qualunque, ci rivela nella
nostra nudità, miseria, infermità, nulla>>; in quelle del romanzo La luna e i falò:
<<Quello
che restava era come una piazza l’indomani della fiera, una vigna dopo la
vendemmia, il tornar solo in trattoria quando qualcuno ti ha piantato>> e
ancora nel racconto La spiaggia:
<<Niente
è più inabitabile di un posto dove siamo
stati felici>>.
In questa brevissima panoramica Pavese ci
appare un uomo malinconico e pensieroso: si affacciano le certezze dolorose,
crollano i sogni, non trova la possibilità di amare un’altra persona. La
malinconia perdurante nella sua attività si sta mutando in depressione: si è
insinuata oramai la pulsione all’autodistruzione.
La personalità di Pier Paolo Pasolini è senza
alcun dubbio una delle più produttive e originali della letteratura italiana.
Egli è stato, infatti, poeta in lingua e in dialetto, narratore, regista, giornalista
e critico militante secondo certi parametri valutativi scomodo,
anticonformista, ma atto a suscitare dissenso e scandalo e nel contempo a
raccogliere diversi consensi tali che ha lasciato un’orma incancellabile nella
cultura italiana del secondo Novecento.
Dai suoi numerosi scritti, ho tratto i
seguenti esempi nei quali Pasolini usa la malinconia come un grimaldello
emozionale per evadere da uno stato precario generato da un doloroso pessimismo
nei confronti della realtà violentemente degradata.
Iniziamo la lettura dalla raccolta Il meglio della gioventù, che racchiude
alcuni pensieri più significativi della produzione in versi di Pasolini, l’autore rivive con malinconia
sulla sua coscienza di adulto le prime esperienze di vita, ormai trasformate in
nostalgico rimpianto:
<<Venite,
treni, portate lontano la gioventù
a cercare per il mondo ciò che qui è
perduto.
Portate,treni, per il mondo, a non ridere
mai più,
questi allegri ragazzi scacciati dal
paese>>.
Segue
la poesia Le ceneri di Gramsci, in
cui l’amore per il mondo proletario destinato a scomparire, è evidente nella
malinconica descrizione finale:
<<
È un brusio di vita, e questi persi/ in essa, la perdono serenamente,/ se il
cuore ne hanno pieno: a godersi// eccoli, miseri, la sera: e potente/ in essi,
inermi, per essi, il mito/ rinasce…Ma io, con il cuore cosciente// di chi
soltanto nella storia ha vita,/ potrò mai più con pura passione operare,/ se so
che la nostra storia è finita?>>.
Le tematiche della raccolta di articoli per
il Corriere della Sera, pubblicate col
titolo Scritti corsari sono la
società italiana contemporanea, i suoi endemici mali e le sue angosce:
<<
L’uomo medio dei tempi del Leopardi poteva interiorizzare ancora la natura e
l’umanità nella loro purezza ideale oggettivamente contenuta in esse; l’uomo
medio di oggi può interiorizzare una Seicento o un frigorifero, oppure un weekend
a Ostia>>, in cui è evidente la nostalgia del sottoproletariato di una
volta , che era adorabile, mentre quello presente fa schifo.
Concludo la rassegna con la lettura di alcuni
versi di Transumanar e organizzar,
una raccolta in cui rilevo la frattura psicologica tra il poeta e il suo tempo
storico, che viene da lui avvertita e tradotta in un verso adatto ad
esprimerla:
<<
Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga
una camminata senza fine per le strade povere,
dove bisogna essere disgraziati e forti,
fratelli dei cani.>>.
A questo punto posso concludere dicendo che la
malinconia è una emozione positiva che fa parte della nostra quotidianità,
vivendola fino in fondo, può favorire
un’attenta introspezione, una nuova ricerca più riservata o nascosta nella
nostra interiorità.
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