Da una
sensazione di stretta al torace in seguito ad uno scontro verbale con un
familiare o con un caro amico, all'improvviso e apparente immotivato vuoto
mentale alla vigilia di un esame a scuola o all'università oppure di un
importante dibattito pubblico e, ancora, la sensazione d’angoscia alla notizia
di una grave malattia fisica, la nostra umana fragilità è presente in diverse
forme in ogni ora e in ogni stagione della
nostra vita.
Come definire e percepire la
fragilità umana?
Il concetto di fragilità è stato
oggetto di continuo interesse in questi ultimi decenni e, benché ampio spazio
vi sia stato dato dalla letteratura scientifica non si è raggiunto pieno
accordo sui criteri per individuarlo. Tuttavia, per quanto riguarda la nostra
ricerca, il Professore Eugenio Borgna, psichiatra e fenomenologo di fama,
sostiene che a differenza di quanto abitualmente i dizionari considerano la
fragilità come indice di gracilità, di scarsa consistenza, di debolezza, oggi le
cose sono cambiate nel senso semantico, perché accanto ai significati ora
indicati, il dizionario ( Il
Dizionario analogico della lingua italiana edito
nel 2011 da Zanichelli) assegna alla fragilità i significati di sensibilità, di
vulnerabilità, di delicatezza e del loro possibile incrinarsi nel corso della
vita. Borgna conclude definendo la fragilità come qualcosa che facilmente si
rompe, e fragile è un equilibrio psichico che facilmente si frantuma.
Presente sin dalla nascita, la
fragilità umana come una via attraversa zigzagando e oscillando le varie
stagioni dell’esistenza, lambendo varie aree tematiche talora apparentemente
lontane tra loro. Se,
quindi, la fragilità è una esperienza umana, ci sono anche momenti in cui la
presenza, o almeno la sua percezione, si accentua, o si inaridisce, ma in ogni
caso dovremmo educarci a riconoscerla negli altri e in noi.
Su questo particolare aspetto pare che
la cultura contemporanea non dia risposte adeguate, o sufficienti. Il nostro,
infatti, è il tempo della ricerca dell’effimero, del benessere psicofisico e
della rinuncia delle mete di alto profilo. Un siffatto vivere permette di
favorire il nascere di tipi ideali: l’uomo efficiente fisicamente e
psicologicamente, esteticamente disposto al perfetto, in continua ricerca di
successo. Ma dietro la facciata di tanta sicurezza e forza, fioriscono diversi
drammi d’inferiorità psicofisica, dipendenza e solitudine, grettezza ed
egoismo.
Dal punto di vista psicologico, il
problema non ha facili risoluzioni, anche
se non manchino echi di future speranze. Rimangono soprattutto da
risolvere i molteplici fattori che oggi rendono la persona indifesa ed esposta
alle intemperie quotidiane della vita e resi più crudi da una cultura che ha
insegnato e continua ad insegnare a nascondere le debolezze, a non far emergere
i difetti che impediscono di far risaltare i pregi e la stima di se stessi.
Di seguito, analizzeremo
brevemente alcune situazioni di particolare disagio psichico:
- L’arrivo del bambino.
Nelle prime fasi di vita, il neonato
deve ricevere dai genitori, e in modo particolare dalla madre, moltissime cure,
perché noi siamo, tra i primati, gli individui più vulnerabili. Compito
abbastanza arduo per molte giovane madri, che oggi sono disoccupate e non hanno
disponibilità economiche per accogliere e crescere la propria creatura.
- La malattia.
La
malattia modifica il modo di vivere di ciascuno di noi, ci rende fragili nell'anima e nel corpo, e bisognevoli di accoglienza di chi circonda il letto. Spesso i
ritmi quotidiani della famiglia si dissestano, creando un notevole disagio
assistenziale e organizzativo tra i componenti.
- Relazioni interpersonali.
La nostra fragilità si svolge e si
articola con l’ambiente naturale e con gli altri esseri umani. Questa innata
capacità di stare insieme, è a volte resa difficile dalla presa di coscienza
della propria debolezza psichica. Tuttavia, non essendo auto
sufficienti, siamo aperti alle parole e ai gesti degli altri.
- La condizione anziana.
Un evidente pregiudizio assedia la terza età della vita nella
sua fragilità, di questa età considerata inutile, forse perché gli anziani non
possono più avere un ruolo attivo nella società contemporanea; e non è facile
sfuggire al fascino malefico del pregiudizio che nel suo intimo nasconde il
disprezzo per la debolezza psicofisica che
si manifesta nella vita incrinata dalla malattia, dagli handicap e dalla
condizione anziana intesa come una vita nella quale le emozioni e gli stati
d’anima si inaridiscono e si svuotano di aspetto spirituale e religioso. Ma ciò
non risponde al vero, perché la vita emozionale rimane autentica e dotata di
senso anche nella condizione di terza età.
L’anziano va dunque
considerato soggetto attivo alla costruzione della società, secondo le
possibilità di ciascuno. In tal senso una società matura è chiamata a non
tralasciare l’anziano bensì a promuoverne le risorse di cultura, di
trasmissioni di valori e di vissuti, di abilità e capacità attuali individuali
e di spiritualità.
Argomento attuale, la
fragilità umana, di grande interesse, che sarà oggetto dei nostri prossimi
interventi.
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