Nella credenza
popolare si dice che commettere un errore è umano. Per cui essere
eventualmente ripresi non può essere
considerata per forza una umiliazione.
In
tutti i modi, nel caso in cui veniamo corretti in maniera che ci fa provare
vergogna, probabilmente è questo intervento che non ci fa sentire bene con noi
stessi, indipendentemente dal nostro bagaglio culturale. E allora cosa
s’intende per umiliazione?
Recenti
studi definiscono l’umiliazione l’emozione che avvertiamo allorquando la nostra
capacità viene svalutata in presenza di altre persone. Potremmo avvertire un
certo disagio quando commettiamo un errore o non ricordiamo la risposta a un
quesito, ma fino a che non vi è intorno nessun testimone, non accade niente d’
irreparabile. Normalmente occorre che sia presente qualche persona ad affermare
il presunto errore per sentirsi umiliati.
Come
abbiamo appreso per nostra diretta conoscenza, perciò, l’umiliazione è uno
stato emotivo del tutto avverso. Incredibilmente, è pure studiato non
abbastanza in ambito psicologico.
Al
contrario, altre emozioni negative, quali rabbia, ansia, gelosia e paura, sono
più soggette a studi sperimentali, probabilmente perché puntare l’attenzione su
di essi ha chiare implicazioni pratiche: la rabbia è deleteria per la salute,
l’ansia rende difficoltose le attività, la gelosia porta a contrasti
relazionali, la paura può essere un supporto per sviluppare delle fobie.
L’umiliazione è quindi un’emozione sgradevole
che almeno apparentemente non sembra avere molte conseguenze sul cervello.
Tuttavia, da diverse ricerche, possiamo evidenziare il fatto che il nostro
cervello non gradisce per nulla essere umiliato. Non soltanto ci sentiamo
delusi, ma il livello di attivazione della risposta cerebrale è più evidente
rispetto ad altri stati emotivi.
Sembra
abbastanza ovvio che venire ripresi davanti ad altre persone non ci fa sentire
bene. Però, se crediamo opportuno di dare una mano a un amico o a un familiare
ponendo in evidente i suoi errori, molto probabilmente calcoliamo in malo modo
il nostro aiuto. Vi sono modi cortesi e più tenui per dare un messaggio
correttivo alle persone cui siamo legati affettivamente che desideriamo
preparare o in qualche modo aiutare. Tenendo presente che il nostro parere o la
nostra lezione educativa sia un veicolo che conservi intatto l’amor proprio
dell’altro, questo è il modo più semplice per evitare di umiliarlo.
S’intende che come per tutte le emozioni,
dirigere l’umiliazione deriva da come si
capisce la situazione. Secondo la teoria cognitiva delle emozioni, la
maniera in cui avvertiamo disagio è direttamente proporzionale al modo in cui
si pensa. Se siamo così determinati e odiamo essere in errore davanti agli
altri, potremo usufruire dell’analisi dei pensieri che sono presenti durante
quella situazione. Se l’umiliazione è un’emozione che prende origine dal
percepirsi svalutato, allora dovremmo rivedere di nuovo la situazione di
disagio minimizzando l’effetto dell’episodio sulle nostre reali capacità
conoscitive.
Può
capitare che un amico, un nostro familiare o un insegnante desidera soltanto
evitare che ripetiamo lo stesso errore e pertanto il danno della capacità è
soltanto irreale. Rivedere la situazione di disagio mentale riducendo questo
aspetto mitigherebbe assai la sofferenza psichica. Pure se gli altri hanno
ragioni meno dignitose, tuttavia avremmo lo stesso dei benefici. Col concedere
a noi stessi la facoltà di avvertire la perdita di dignità, amor proprio o
reputazione, limiteremo il “loro” diletto nel vederci in difficoltà.
Per
concludere questo discorso diciamo che l’umiliazione si può mostrare in vari
aspetti, dal respingere all'essere ripresi davanti ad altre persone per un
fallo commesso volontario o meno. Capire il rapporto con le reazioni nel nostro
cervello ci può essere d’aiuto a superare, o anche a evitare, l’acuta
sofferenza di questa emozione negativa.
Nessun commento:
Posta un commento