Andrea Scardicchio
“Cittadini di mente e di cuore”Istanze educative nella letteratura italiana dell’Otto-Novecento (Castromediano, Pirandello, Deledda), Lecce, Pensa MultiMedia, 2014, pag.204.
Questo libro di Andrea Scardicchio, insegnante di Storia della critica letteraria italiana presso l’Università del Salento, in bella veste tipografica e articolato in quattro capitoli e un’ampia introduzione con funzione riepilogativa, analizza e mette in evidenza ad uno ad uno i temi principali dei singoli saggi, non mancando di avvertire che i lavori qui raccolti sono stati già pubblicati e lievemente modificati.
Sin dalle prime pagine, frutto di un puntuale e documentato lavoro di ricerca, appare evidente la capacità della letteratura di dare un contributo <<in termini di edificazione delle coscienze>> agli italiani dei primi governi del Regno. Si tratta quindi di un lungo viaggio cognitivo, puntuale e fluido, nella vasta e fitta produzione letteraria, che copre un arco di tempo che va dai primi anni dell’Ottocento all’inizio del Novecento. In questo originale cammino i primi personaggi che incontriamo sono i poeti improvvisatori giunti nella Puglia e quindi nel Salento e i nativi.
I cosiddetti improvvisatori di mestiere, sintesi straordinaria di abilità teorica e di spontaneità, a cui la critica accademica ha fatto mancare la propria voce relegando la loro creatività al << rango di sottoprodotto poetico-culturale, inficiata da aprioristiche valutazioni>>, erano poeti presenti in tutta la penisola e nelle isole che cantavano a braccio un componimento spesso creato al momento inventando i contenuti nello stesso istante in cui si recitava utilizzando lo schema metrico classico, l’endecasillabo già usato da Dante e Ariosto. Tra i più quotati presenti nel territorio della Puglia e del Salento sono: il novarese Giuseppe Regaldi <<l’annunziatore del verbo della redenzione italiana>> e alcuni nativi tra cui Salvatore Brunetti di Otranto, definito da Castromedino, un uomo, <<tutto cuore>>, Pasquale Cataldi, cantore pomposo gallipolino per <<naturale vocazione>> e il leccese Francesc’Antonio D’Amelio, definito da Donato Valli poeta da <<la musicalità raffinata dell’ultima Arcadia>>.
Di questi e di altri validi improvvisatori citati nel saggio vengono presi in considerazione i loro contributi di provata professionalità e di impegno poetico-politico all’indomani dell’Unità, che pur in forma di poesia rustica <<ebbero l’indubbio merito di aver tenuto acceso e alimentato, forse più di altri, il mito romantico della patria>>. Il secondo personaggio che incontriamo in questo nostro viaggio culturale è il duca cavallinese Sigismondo Castromediano, figura d’intellettuale di spicco nella società salentina del primo Ottocento, per i suoi trascorsi politici e ,soprattutto, per il suo costante impegno per la realizzazione del progresso civile, sociale, culturale e umano degli abitanti del Salento.
Caduto nelle elezioni politiche dell’ottobre del 1865, che sancirono la sconfitta del moderatismo in Meridione, Castromediano abbandonò la scena pubblica nazionale e abbracciò il sempre auspicato progetto, di chiare tematiche laiche e liberali, di dare nuova linfa vitale all’ambiente culturale, che da diversi anni si prodigava di diffondere e di realizzare in provincia di Lecce. Tuttavia, questo impulso riformistico nei riguardi del campo dell’istruzione e dell’educazione della nuova generazione salentina,veniva osteggiato da avversari politici e clericali, che mal digerivano quelle proposte di ammodernamento. Tuttavia i tempi dei cambiamenti erano maturi; così l’iniziativa ministeriale di promuovere un progetto per arginare il fenomeno dell’analfabetismo nel Mezzogiorno diede l’avvio anche alla “questione femminile”. Per cui, ai modelli tradizionali della moglie e della madre, alle donne si riconoscevano nuove figure femminili impegnate non solo nei ruoli di allieve del servizio scolastico, ma anche in quelli più diretti e attivi: maestre, direttrici, ispettrici scolastiche, pubbliciste e pedagogiste. A seguito di un tale cambiamento, Castromediano scelse l’educatrice progressista milanese Luisa Amalia Paladini, per dirigere il riformato Educandato “Vittorio Emanuele II”. Questo fu l’ultima fatica del patriota cavallinese che rese tangibile i suoi <<intendimenti di pedagogia etico-civile programmaticamente perseguiti>>.
Nel terzo saggio facciamo conoscenza con il più grande drammaturgo italiano, l’agrigentino premio Nobel per la letteratura nel 1934, Luigi Pirandello, nelle vesti di professore presso l’Istituto di Magistero di Roma, che però insegnava con poco entusiasmo, perché sentiva forse di non aver scelto la strada giusta. C’è da dire, inoltre, che l’impegno di contrastare antiche forme prive di idee innovative e di privilegiare con un metodo sperimentale fondato su basi <<anti-libresca e anti-meccanicistica, ancorato attorno all’espressione delle singole individualità degli allievi>>, non mancò mai, perché, sosteneva, tante giovani menti non potevano essere lasciate deluse e prive di qualsiasi didattica.
Certamente il tracollo dell’impresa paterna in cui erano stati investiti i beni della famiglia e, soprattutto, il figlio in guerra e l’acuirsi dei disturbi mentali della moglie, che resero necessario il ricovero in una clinica psichiatrica di Roma, ebbero gravi ripercussioni sui rapporti con gli obblighi burocratici e con gli impegni derivanti dal ruolo del professore e non solo. Tuttavia, Scardicchio, dando per scontato il <<lassismo scolastico>>, mette in evidenza il sicuro contributo dell’agrigentino all’attuazione di un piano di lavoro propriamente <<educativo-didattico>>. Inoltre il saggista avvalora questa sua linea interpretativa non solo con la sua acuta lettura educativa (“paideutica”) della vasta produzione letteraria di Pirandello, ma anche con la testimonianza di colleghi e di allieve del Nostro, che in più riprese hanno messo in luce l’impegno del docente siciliano a modernizzare i metodi d’insegnamento, già avvallati da alcune iniziative ministeriali. Tutti fatti, insomma, ascrivibili al caso Pirandello educatore, che denotano <<una vocazione pedagogica tutta personale, sostanziata di motivi e di cardini ideologico-concettuali del suo pensiero>>.
Termina il nostro meraviglioso viaggio con l’incontro della scrittrice sarda, Grazia Deledda, autrice feconda, nonostante la perplessità di parte della critica, conosciuta anche all’estero, cui nel 1926 fu conferito il premio Nobel per la letteratura.
La Deledda si rivelò scrittrice giovanissima (diciassettenne) pubblicando i suoi primi lavori come <<bozzetti>> (ma anche <<novelline ingenue>>, <<scritti puerili>> e così via>>, prove lievi che se dal punto di vista di alcuni detrattori erano caratterizzati da una sostanziale <<ingenuità di sentire e d’espressione>> da quello del reale valore delle opere, quelle novelle esordiali non solo risultano anticipatrici di una futura crescita letteraria, soprattutto portano nel loro dna l’imprinting giovanile dell’autodidatta Deledda di una chiara <<vocazione etico-didattica>>.
Questa ricca produzione iniziale di Grazia Deledda rappresenta,quindi,i nuovi canali per comunicare non più contenuti nozionistici scolastici ma nuove istanze e valori pratici della vita. Il tutto <<all’insegna di una proposta pedagogica dagli effetti più incisivi sulle dinamiche di costruzione della nuova cittadinanza italiana, con ricadute concrete nella vita politica e sociale coeva>>.
Nella lettura di questo saggio, scritto con grande e solida competenza, ho subito il fascino dello spessore stilistico, dell’indagine appassionata e della particolare analisi dei personaggi presenti nel cammino narrativo. Un testo che focalizza bene l’attenzione sull’attività di un nucleo d’intellettuali meridionali, che contribuirono a risollevare la triste condizione materiale, culturale e sociale delle regioni estreme del Regno post unitario.
Enrico Castrovilli
“Cittadini di mente e di cuore”Istanze educative nella letteratura italiana dell’Otto-Novecento (Castromediano, Pirandello, Deledda), Lecce, Pensa MultiMedia, 2014, pag.204.
Questo libro di Andrea Scardicchio, insegnante di Storia della critica letteraria italiana presso l’Università del Salento, in bella veste tipografica e articolato in quattro capitoli e un’ampia introduzione con funzione riepilogativa, analizza e mette in evidenza ad uno ad uno i temi principali dei singoli saggi, non mancando di avvertire che i lavori qui raccolti sono stati già pubblicati e lievemente modificati.
Sin dalle prime pagine, frutto di un puntuale e documentato lavoro di ricerca, appare evidente la capacità della letteratura di dare un contributo <<in termini di edificazione delle coscienze>> agli italiani dei primi governi del Regno. Si tratta quindi di un lungo viaggio cognitivo, puntuale e fluido, nella vasta e fitta produzione letteraria, che copre un arco di tempo che va dai primi anni dell’Ottocento all’inizio del Novecento. In questo originale cammino i primi personaggi che incontriamo sono i poeti improvvisatori giunti nella Puglia e quindi nel Salento e i nativi.
I cosiddetti improvvisatori di mestiere, sintesi straordinaria di abilità teorica e di spontaneità, a cui la critica accademica ha fatto mancare la propria voce relegando la loro creatività al << rango di sottoprodotto poetico-culturale, inficiata da aprioristiche valutazioni>>, erano poeti presenti in tutta la penisola e nelle isole che cantavano a braccio un componimento spesso creato al momento inventando i contenuti nello stesso istante in cui si recitava utilizzando lo schema metrico classico, l’endecasillabo già usato da Dante e Ariosto. Tra i più quotati presenti nel territorio della Puglia e del Salento sono: il novarese Giuseppe Regaldi <<l’annunziatore del verbo della redenzione italiana>> e alcuni nativi tra cui Salvatore Brunetti di Otranto, definito da Castromedino, un uomo, <<tutto cuore>>, Pasquale Cataldi, cantore pomposo gallipolino per <<naturale vocazione>> e il leccese Francesc’Antonio D’Amelio, definito da Donato Valli poeta da <<la musicalità raffinata dell’ultima Arcadia>>.
Di questi e di altri validi improvvisatori citati nel saggio vengono presi in considerazione i loro contributi di provata professionalità e di impegno poetico-politico all’indomani dell’Unità, che pur in forma di poesia rustica <<ebbero l’indubbio merito di aver tenuto acceso e alimentato, forse più di altri, il mito romantico della patria>>. Il secondo personaggio che incontriamo in questo nostro viaggio culturale è il duca cavallinese Sigismondo Castromediano, figura d’intellettuale di spicco nella società salentina del primo Ottocento, per i suoi trascorsi politici e ,soprattutto, per il suo costante impegno per la realizzazione del progresso civile, sociale, culturale e umano degli abitanti del Salento.
Caduto nelle elezioni politiche dell’ottobre del 1865, che sancirono la sconfitta del moderatismo in Meridione, Castromediano abbandonò la scena pubblica nazionale e abbracciò il sempre auspicato progetto, di chiare tematiche laiche e liberali, di dare nuova linfa vitale all’ambiente culturale, che da diversi anni si prodigava di diffondere e di realizzare in provincia di Lecce. Tuttavia, questo impulso riformistico nei riguardi del campo dell’istruzione e dell’educazione della nuova generazione salentina,veniva osteggiato da avversari politici e clericali, che mal digerivano quelle proposte di ammodernamento. Tuttavia i tempi dei cambiamenti erano maturi; così l’iniziativa ministeriale di promuovere un progetto per arginare il fenomeno dell’analfabetismo nel Mezzogiorno diede l’avvio anche alla “questione femminile”. Per cui, ai modelli tradizionali della moglie e della madre, alle donne si riconoscevano nuove figure femminili impegnate non solo nei ruoli di allieve del servizio scolastico, ma anche in quelli più diretti e attivi: maestre, direttrici, ispettrici scolastiche, pubbliciste e pedagogiste. A seguito di un tale cambiamento, Castromediano scelse l’educatrice progressista milanese Luisa Amalia Paladini, per dirigere il riformato Educandato “Vittorio Emanuele II”. Questo fu l’ultima fatica del patriota cavallinese che rese tangibile i suoi <<intendimenti di pedagogia etico-civile programmaticamente perseguiti>>.
Nel terzo saggio facciamo conoscenza con il più grande drammaturgo italiano, l’agrigentino premio Nobel per la letteratura nel 1934, Luigi Pirandello, nelle vesti di professore presso l’Istituto di Magistero di Roma, che però insegnava con poco entusiasmo, perché sentiva forse di non aver scelto la strada giusta. C’è da dire, inoltre, che l’impegno di contrastare antiche forme prive di idee innovative e di privilegiare con un metodo sperimentale fondato su basi <<anti-libresca e anti-meccanicistica, ancorato attorno all’espressione delle singole individualità degli allievi>>, non mancò mai, perché, sosteneva, tante giovani menti non potevano essere lasciate deluse e prive di qualsiasi didattica.
Certamente il tracollo dell’impresa paterna in cui erano stati investiti i beni della famiglia e, soprattutto, il figlio in guerra e l’acuirsi dei disturbi mentali della moglie, che resero necessario il ricovero in una clinica psichiatrica di Roma, ebbero gravi ripercussioni sui rapporti con gli obblighi burocratici e con gli impegni derivanti dal ruolo del professore e non solo. Tuttavia, Scardicchio, dando per scontato il <<lassismo scolastico>>, mette in evidenza il sicuro contributo dell’agrigentino all’attuazione di un piano di lavoro propriamente <<educativo-didattico>>. Inoltre il saggista avvalora questa sua linea interpretativa non solo con la sua acuta lettura educativa (“paideutica”) della vasta produzione letteraria di Pirandello, ma anche con la testimonianza di colleghi e di allieve del Nostro, che in più riprese hanno messo in luce l’impegno del docente siciliano a modernizzare i metodi d’insegnamento, già avvallati da alcune iniziative ministeriali. Tutti fatti, insomma, ascrivibili al caso Pirandello educatore, che denotano <<una vocazione pedagogica tutta personale, sostanziata di motivi e di cardini ideologico-concettuali del suo pensiero>>.
Termina il nostro meraviglioso viaggio con l’incontro della scrittrice sarda, Grazia Deledda, autrice feconda, nonostante la perplessità di parte della critica, conosciuta anche all’estero, cui nel 1926 fu conferito il premio Nobel per la letteratura.
La Deledda si rivelò scrittrice giovanissima (diciassettenne) pubblicando i suoi primi lavori come <<bozzetti>> (ma anche <<novelline ingenue>>, <<scritti puerili>> e così via>>, prove lievi che se dal punto di vista di alcuni detrattori erano caratterizzati da una sostanziale <<ingenuità di sentire e d’espressione>> da quello del reale valore delle opere, quelle novelle esordiali non solo risultano anticipatrici di una futura crescita letteraria, soprattutto portano nel loro dna l’imprinting giovanile dell’autodidatta Deledda di una chiara <<vocazione etico-didattica>>.
Questa ricca produzione iniziale di Grazia Deledda rappresenta,quindi,i nuovi canali per comunicare non più contenuti nozionistici scolastici ma nuove istanze e valori pratici della vita. Il tutto <<all’insegna di una proposta pedagogica dagli effetti più incisivi sulle dinamiche di costruzione della nuova cittadinanza italiana, con ricadute concrete nella vita politica e sociale coeva>>.
Nella lettura di questo saggio, scritto con grande e solida competenza, ho subito il fascino dello spessore stilistico, dell’indagine appassionata e della particolare analisi dei personaggi presenti nel cammino narrativo. Un testo che focalizza bene l’attenzione sull’attività di un nucleo d’intellettuali meridionali, che contribuirono a risollevare la triste condizione materiale, culturale e sociale delle regioni estreme del Regno post unitario.
Enrico Castrovilli
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