La
malattia intesa come uno stato patologico
per alterazione della funzione di un organo o più organi (Il Nuovo
Zingarelli) ci fa diventare vulnerabili,
fragili nel corpo e nella mente, per questo ci sentiamo spaventati e,
soprattutto, disorientati. Con altre parole, la malattia porta con sé un
profondo malessere psicologico che, in alcuni casi, può arrivare a cambiare
anche in negativo il sistema di vita di ciascuno di noi. Inoltre, con diversi
valori prognostici la patologia porta con sé dolore, solitudine, limitazioni
alle normali attività quotidiane e a volte, nei momenti di maggiore sofferenza,
di fragilità ci pone di fronte alla morte con tutte le domande per il credente
e non, le paure, le angosce che generano in noi il pensiero finale della vita.
Dal punto di vista psicologico, ciascuno di
noi si comporta in modo diverso nell’accettare e vivere la malattia. Essere
malati d’influenza, per esempio, è una situazione del tutto diversa che essere
affetti di una grave patologia
neurologica o tumorale. D’altronde nessuno è contento di essere ammalato. Per
cui, quando si è colpiti da una patologia, si è pervasi da un senso d’angoscia
e di disperazione, da questi momenti di umana esperienza di fragilità,
originano le reazioni psicologiche più diverse perché varie sono le modalità di
affrontare la singola malattia.
Di sopra, abbiamo illustrato come ogni
paziente si costruisce una propria modalità per vivere le debolezze e le
fragilità generate dalle malattie. Ora passiamo ad analizzare i cambiamenti
psicologici dei malati rispetto al concetto evolutivo della malattia e, nello
specifico, delle categorie acute e croniche.
Si parla di malattia acuta quando un morbo si
manifesta improvvisamente e virulentemente e il suo effetto non comporta alla
base nessun rischio per l’individuo, inoltre il suo perdurare è ritenuto in
media breve, e ciò non lascia spazio a una riflessione e comprensione profonda della gravità. Ma pur vivendo in un contesto
di temporanee limitatezze e di emozioni
ferite, il paziente non perde mai la speranza per il futuro.
Quando la malattia da acuta perdura
nell’individuo per un periodo indeterminato, spesso per l’intero corso della
vita, si trasforma in cronica: l’esperienza del tempo cambia profondamente, i
giorni sono sempre uguali, viene meno la speranza verso il futuro. Per cui,
come afferma Eugenio Borgna, in ogni paziente non può non chiedersi con animo
doloroso e angosciato cosa sarà ancora
la mia vita, quali rapporti interpersonali saranno possibili, quali problemi
quotidiani e quale impegno di lavoro mi
saranno possibili, come accoglieranno gli altri, soprattutto la mia famiglia la
mia debolezza e la mia fragilità, e quale aiuto sarà loro possibile darmi.
Il primo punto di riferimento del malato
cronico è l’ospedale. In queste strutture sanitarie, l’ammalato può trovare
trattamenti adeguati al suo caso specifico, al di fuori della così detta
“alleanza terapeutica” tra medico e paziente. Il medico ha il compito di
prospettare al paziente e ai familiari, i vantaggi delle nuove terapie mediche
e chirurgiche che riguardano il suo caso. Spesso, però, i sanitari si dimenticano – per mancanza di disponibilità -
che dietro quel “caso” c’è una persona fragile, vulnerabile ferita dal dolore e
dall’angoscia; e sarebbe invece sufficiente uno sguardo dolce o un sorriso ad
alleviare il dolore psichico.
Raramente, per osservazione personale, gli
effetti di una malattia cronica si limitano al solo individuo malato, perché
l’ansia, l’angoscia che prova l’ammalato la prova anche la persona che gli è vicina.
La presenza in casa di un paziente con
patologia cronica incide, più o meno profondo, su tutti i componenti del nucleo
familiare, che diventano più vulnerabili, sostengono impegni quotidiani spesso
molto gravi, derivanti dal lavoro di cura, dalla continuità dell’impegno,
dell’intensità emotiva generata dal costante confronto con la sofferenza
psicofisica e la morte.
In conclusione, scoprirsi ammalato,
soprattutto cronico, l’esaurimento delle forze fisiche ed emozionali causato
dal morbo, diventa fonte di fragilità, di vulnerabilità per l’ammalato e anche
per il familiare, che giornalmente lo assiste.
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