Marco
bussò alla porta della aula quinta “B” e alla risposta <<Avanti>>
si affacciò timidamente, guardando in direzione della cattedra. La maestra gli
fece cenno, con la testa, d’entrare e, come se nulla fosse accaduto, continuò
il suo discorso iniziato da un quarto d’ora. Marco sgattaiolò al suo posto con
la testa china e mentalmente di preparava a subire passivamente la razione quotidiana di benevole rimprovero
della maestra. A questi richiami egli si era abituato. Marco lo sapeva
benissimo d’essere un ritardatario abituale, ma cosa ci poteva fare? All'età di
sette anni aveva perduto il padre in un incidente stradale e da cinque mesi gli
era venuto a mancare improvvisamente la madre. Era rimasto, così, con il
fratello diciassettenni e la sorella quindicenne, i quali, per sopravvivere,
andavano a lavorare presso un’azienda agricola distante dieci chilometri dal
paese. Pertanto, ogni mattina loro due
si alzavano molto presto, preparavano una frugale colazione e prima di andare
via, alle sei e trenta svegliavano Marco.
Ma il bambino si attardava sempre di qualche
minuto, specie quando il brontolio dello stomaco vuoto e il freddo pungente del
mattino lo invitavano a rimanere intanato sotto le coperte, al caldo. Così, tra
uno sbadiglio e un cambio di posizione, riprendeva sonno; e questo era il sonno
più bello in quanto ritornava in campagna con i genitori a giocare e a
respirare l’aria satura degli odori del
pane e della focaccia che la nonna cucinava nel forno a legna.
Spesso, però, il sogno veniva interrotto dal
richiamo di una vicina di casa, che aveva l’incarico di guidarlo e di
preparargli un piatto di minestra a mezzogiorno. In quel momento Marco odiava
tutti, fratello, sorella, vicina e persino la scuola, perché loro complottavano
per sabotargli gli unici momenti belli della giornata. I parenti, la vicina, la
scuola e la maestra potevano attendere, c’era tutta la giornata da trascorre
insieme, invece con mamma e papà poteva giocare, tenere a bada la fame
solamente quando era a letto: ecco perché Marco indugiava al mattino tra le
lenzuola ruvide di tela.
Quel mattino, però, la maestra non lo
rimproverò, e ciò gli sembrò molto strano; tuttavia, quel segno lo ritenne un
buon auspicio. Che le cose stavano cambiando in suo favore? o forse la maestra
non voleva turbare il silenzio e l’aria di mistico ascolto, che si erano creati
nell’aula?
Marco cercò di seguire le parole della
maestra, ma non capiva un granché. Sbirciò sul sussidiario del compagno di
banco, ma continuava a non capire. Allora si decise di chiedergli sottovece:
<<Angelo,
a che pagina state leggendo?>>.
<<Pagina
quindici>> gli sussurrò. Poi, aggiunse:<< Quel paragrafo a destra,
“La piccola vedetta lombarda”,
infondo alla pagina, accanto a quell'immagine del bambino che sale sull'albero>> .
Marco seguì le indicazioni e guardò il
ritratto, attentamente. Quell'immagine gli ricordava qualche avvenimento già
vissuto; sì, ma dove? Mentre pensava fu colpito in modo particolare da una
frase della maestra, che diceva presso a poco così…<<sulla cima
dell’albero avviticchiato al fusto con le gambe, tra le foglie, ma il busto
scoperto, il sole gli batteva sul capo biondo…>>.
Ecco, ora ricordava. Anche lui nei mesi estivi
si arrampicava sugli alberi di fico per cogliere i frutti maturi. Lui sapeva di
quali alberi fidarsi. Farsi male in campagna era frequente e ritornare al
trullo con la testa rotta erano guai seri.
Il suono della campanella annunciò la fine
della lezione e l’inizio della colazione. L’aula divenne un ribollire di suoni.
Angelo sfilò dalla cartella sotto la banco il panino avvolto in una carta
crespa. Lo addentò. L’unico indifferente agli avvenimenti che gli accadevano
intorno era Marco
<<Tu
non mangi?>> gli chiese Angelo, notando l’insolito comportamento del
compagno di banco.
<<No,
non ho fame>> rispose con lo sguardo fisso sul banco.
Angelo esitò qualche secondo, poi afferrò il
panino con entrambi le mani e lo divise in due parti.
<<Toh!,
prendi>>, gli uscì con voce decisa.
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